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Secondo l’Associazione nazionale magistrati è incostituzionale e a Milano c’è già il primo richiamo alla Consulta. Il decreto sicurezza arriva in parlamento ma al governo la stretta non basta ancora. Piantedosi: «Servono nuove misure per proteggere i poliziotti»

Arrestatela «Incostituzionale» per l’Associazione nazionale magistrati. Il decreto incardinato alla Camera. Le toghe auspicano «tutti i correttivi necessari a scongiurare i rischi di un diritto penale simbolico»

Sgomberi della polizia a Milano foto Ansa Agenti di polizia durante l'operazione di sgombero di un'abitazione occupata a Milano – Ansa

In vigore da appena trentasei ore e già rischia il marchio di incostituzionalità. È l’Associazione nazionale magistrati, soprattutto, a riconoscerne i chiari tratti – subodorati anche dalla difesa di un imputato che ha sollevato la questione davanti al tribunale di Milano – nel decreto Sicurezza che ieri è stato assegnato alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia della Camera per la conversione in legge entro 60 giorni. I rappresentanti delle toghe infatti – sul solco della denuncia già avanzata dagli avvocati penalisti e da numerosi accademici prima che il decreto assorbisse come carta carbone il ddl – ammoniscono l’esecutivo e il parlamento riguardo i «seri problemi di metodo e di merito» posti dal nuovo provvedimento che ha creato d’emblée «14 nuove fattispecie incriminatrici, l’inasprimento delle pene di altri 9 reati», e che ha ridotto in cenere «un fecondo dibattito in Parlamento che durava da oltre un anno». Mostrando platealmente la carenza dei «requisiti della straordinarietà del caso di necessità e d’urgenza». Eppure, il ministro dell’Interno Piantedosi già annuncia «ulteriori misure» per proteggere le forze dell’ordine.

E DA QUANDO è stato pubblicato sabato scorso sulla Gazzetta ufficiale, il decreto legge ha già creato scompiglio. In particolare già dalle primissime ore ha mandando in tilt migliaia di imprenditori e gestori di negozi di cannabis light che non sanno cosa fare della loro merce regolarmente comprata e che ormai guardano all’estero come unica chance di salvezza. Inoltre, ha mandato in confusione pure i centralini delle questure che non sanno dare risposte certe sull’applicabilità di alcune delle norme più insensate del pacchetto “salva Salvini”. Norme contro le quali si è alzata la voce, tra le altre, dell’ex sottosegretario alla Giustizia Franco Corleone che da ieri e fino a Pasqua digiunerà sperando in una mobilitazione che accompagni la conversione in legge del decreto. «Di fronte alla criminalizzazione della resistenza passiva e della nonviolenza in carcere occorre che fuori dalle galere si manifesti con forme originali di disobbedienza civile», scrive Corleone auspicando «una sollevazione di massa anche attraverso un referendum popolare per cancellare la scelta panpenalistica che arriva al ridicolo equiparando la canapa tessile a quella con proprietà terapeutiche e di piacere».

LA GIUNTA ESECUTIVA centrale dell’Associazione nazionale magistrati, che chiede «correttivi» in sede di conversione del decreto, ricorda invece i «nuovi reati per sanzionare in modo sproporzionato condotte che sono spesso frutto di marginalità sociale e non di scelte di vita» inseriti in una normativa «che non si concilia facilmente con i principi costituzionali di

offensività, tassatività, ragionevolezza e proporzionalità». «Basti pensare – scrive l’Anm – che la pena per l’occupazione abusiva di immobili coincide con quella prevista per l’omicidio colposo con violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Inoltre, incriminare la resistenza passiva nelle carceri e nei Cpr, e dunque la resistenza non violenta e la semplice manifestazione del dissenso, produce effetti criminogeni, con il rischio concreto che lo stato di detenzione diventi il presupposto per l’irrogazione di nuove e ulteriori condanne». E ancora, insistono le toghe, «nonostante la gravissima situazione carceraria, più volte denunciata, si introducono nuove ipotesi di esclusione delle misure alternative e dei benefici penitenziari, oltre al carcere per le donne incinte», senza prevedere «misure per fronteggiare la drammatica situazione degli istituti penitenziari o per potenziare gli strumenti a disposizione della magistratura di sorveglianza».

UNA DENUNCIA che la maggioranza ha preso, as usual, come una indebita interferenza. Tra i primi, Maurizio Gasparri: «Le critiche dell’Anm  non intaccheranno il lavoro del Parlamento, che superando l’ostruzionismo della sinistra voterà al più presto il decreto Sicurezza anche con lo strumento della fiducia». Il senatore di FI plaude, come fa da Osaka anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, all’annuncio di Piantedosi secondo il quale il governo è determinato «a portare avanti ogni ulteriore misura necessaria per garantire l’incolumità degli uomini e delle donne in divisa».

Auspico una sollevazione di massa anche con referendum per cancellare la scelta panpenalistica che arriva al ridicolo equiparando la canapa tessile a quella con Thc.Franco Corleone

TRA LE TANTE misure repressive del decreto ce n’è una che confligge gravemente con una realtà produttiva già ben avviata nel Paese e tutelata dal diritto europeo, quella dei negozi di cannabis light, una sostanza che non contiene principio attivo psicotropo sopra i limiti di legge e il cui commercio, perciò, è stato considerato non punibile ai sensi del T.U. 309/90 sugli stupefacenti da varie sentenze tra cui quella del 2019 delle Sezioni unite penali della Cassazione. Ma soprattutto il dl Sicurezza «non avendo previsto un regime transitorio, penalizza gli imprenditori italiani a vantaggio di quelli di altri Paesi», come spiega al manifesto l’avvocato Giuseppe Libutti dell’Associazione Canapa sativa italiana. Antonella Soldo di Meglio Legale precisa che «mancano i decreti attuativi»: ad esempio, «molti negozianti di cannabis light hanno già pagato l’anticipo dell’Irpef e l’Iva sui prodotti stivati per essere venduti, e non sanno come riavere indietro quei soldi».

Proprio per questo, il segretario di +Europa Riccardo Magi ha annunciato «una interrogazione per tutelare le imprese del settore dal punto di vista fiscale» pur «non escludendo alcuno strumento e neanche il referendum abrogativo». Perché, afferma, «un Paese nel quale un governo da un giorno all’altro per decreto decide che una cosa che fino al giorno prima era legale e legittima e garantiva posti di lavoro a migliaia di persone diventa illegittima è un Paese che a me fa paura».