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Guerra ucraina Il leader russo proclama un cessate il fuoco unilaterale di 30 ore dopo la minaccia Usa di sfilarsi dai negoziati. Ma Kiev non si fida

Il presidente russo Vladimir Putin foto Ap Vladimir Putin – Ap

Per un raro allineamento fra calendari e cicli lunari, quest’anno pasqua ortodossa e cattolica coincidono e, pure nel contesto della guerra in Ucraina, sembra verificarsi qualche convergenza in più del solito. Con una mossa a sorpresa, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato una tregua unilaterale nei combattimenti di trenta ore, entrata ufficialmente in vigore ieri alle 17 italiane. Durante un incontro con il capo di stato maggiore Valery Gerasimov, il leader del Cremlino si è detto ispirato da «considerazioni umanitarie» e ha esortato Kiev ad adeguarsi alla pausa – pur specificando che il suo esercito sarebbe rimasto pronto a respingere ogni attacco o provocazione di sorta.

DALL’ALTRO LATO, però, immediato scetticismo. Poco prima del momento di tregua dichiarata, in Ucraina gli allarmi aerei hanno iniziato a suonare e le autorità hanno denunciato un attacco con droni. Duro il presidente Zelensky: «Un altro tentativo da parte di Putin di giocare con le vite umane», ha scritto sui social. Il ministero degli esteri Andrii Sybiha cerca di rilanciare, dicendo che si può arrivare a una tregua di trenta giorni. «La Russia può accettare la proposta per un cessate il fuoco pieno di un mese, che è sul tavolo da marzo», ha affermato. «Purtroppo, ci confrontiamo con una lunga storia di parole da parte del Cremlino cui non seguono azioni. Sappiamo di non poterci fidare».

Una posizione echeggiata in qualche modo anche dal ministro della difesa Rustem Umerov che – stando a indiscrezioni del New York Post – avrebbe fatto sapere a dei funzionari statunitensi che «Kiev è pronta ad accettare al 90% la proposta di pace formulata dalla Casa bianca», con riferimento ai colloqui avvenuti giovedì a Parigi fra il segretario di stato Marco Rubio e rappresentanti di Francia, Germania, Inghilterra e Ucraina.

DI CERTO, sembra esserci da più parti la volontà di accelerare per smuovere un po’ le acque di un conflitto che da un lato non conosce da mesi grosse svolte militari e dall’altro, in particolare coi bombardamenti russi delle ultime settimane, sta lasciando sul campo numerose vittime civili (le Nazioni unite hanno conteggiato 164 ucraini uccisi e 915 feriti a marzo, il 50% in più del mese precedente).

IL PRESIDENTE statunitense Donald Trump venerdì ha dichiarato che i negoziati fra Mosca e Kiev stanno finalmente «giungendo a un punto fermo» e che entrambi i paesi vi stanno partecipando senza secondi fini. Affermazioni che arrivano dopo che altri membri del suo entourage, come il già citato Rubio, avevano espresso una certa impazienza nel raggiungere risultati concreti. In effetti, sotto la coltre di fumo lasciata dalle sparate retoriche, la nuova amministrazione a stelle e strisce pare essere sempre più improntata a uno scapicollato equilibrismo fra le due nazioni in guerra: l’atteggiamento verso l’Ucraina è andato ammorbidendosi rispetto ai tempi dello strappo fra Trump e Zelensky nello Studio ovale, con il conseguimento di accordi economici e il mantenimento sostanziale dell’assistenza di intelligence, mentre Putin e i suoi vengono costantemente ammansiti con aperture al dialogo e qua e là richiamati con bacchettate verbali.

BISOGNERÀ VEDERE però cosa succederà se e quando si oltrepasseranno le “linee rosse”, implicite o esplicite, poste dalle due parti. Per esempio, la questione dei territori occupati: secondo Bloomberg, gli Stati Uniti sarebbero pronti a riconoscere il controllo russo della penisola di Crimea (annessa nel 2014). Una concessione non da poco, a livello di diritto internazionale, che rischia di essere molto invisa alla dirigenza di Kiev. Ieri, peraltro, fonti militari russe hanno molto insistito sul fatto che Mosca stia per rientrare in possesso della quasi totalità dell’area occupata dall’Ucraina con l’incursione dello scorso agosto nella regione di Kursk. Al di là della realtà sul campo (che comunque vede schermaglie anche al confine della oblast russa di Belgorod), potrebbe trattarsi di un preludio a una situazione soddisfacente per accettare una pausa nei combattimenti.

A contare, alla fine, sono le considerazione materiali (più che “umanitarie): se Zelensky deve fronteggiare una crescente stanchezza nelle fila militari e presso l’opinione pubblica, Putin non può smarcarsi troppo dalla sua immagine muscolare e abbisogna di una qualche vittoria da presentare alla popolazione. In più, chissà che il recente calo dei prezzi del petrolio – la maggiore fonte di “galleggiamento” dell’economia russa – non stia rientrando nei calcoli del Cremlino. A ogni modo, un vero accordo c’è stato: ieri il più grande scambio di prigionieri dall’inizio dell’invasione (246 russi e 277 ucraini), grazie alla mediazione degli Emirati Arabi.