Palestina Commemorazione nella «rossa» Dheisheh e nella parrocchia nella Striscia. «Aveva compreso il nostro dramma. Ora aspettiamo la visita del suo successore»
Labandiera palestinese all'arrivo della bara del papa a Santa Maria Maggiore – Andrei Pungovschi/Getty Images
Gaza e il campo profughi di Dheisheh, in Cisgiordania, ieri sono stati collegati con piazza San Pietro. Nella chiesa della Sacra Famiglia di Gaza City, con cui Bergoglio è rimasto in contatto fino al suo ultimo giorno di vita, hanno allestito uno schermo con la diretta delle esequie. A tenere gli occhi fissi sulle immagini che giungevano dal Vaticano non sono stati solo i cattolici. La chiesa, dall’inizio dell’offensiva israeliana, ospita circa 500 persone, tra cui alcuni cristiani di rito ortodosso e musulmani.
EPPURE, anche questo luogo di fede non sempre è riuscito a proteggere gli sfollati. Il 16 dicembre 2023, due donne palestinesi, Nahida Anton e sua figlia Samar, furono colpite dal fuoco di cecchini e caddero uccise a pochi metri dalla chiesa. Padre Gabriel Romanelli, parroco di Gaza City, si dice sicuro «di poter continuare con Roma il contatto stretto avuto sino a pochi giorni fa con papa Francesco».
A Dheisheh già si preparano ad accogliere il nuovo pontefice. «Negli anni abbiamo ricevuto papa Francesco e i suoi predecessori e ci auguriamo di poter dare presto il benvenuto al prossimo papa», ci dice Abu Khalil Lahham, uno dei rappresentanti più autorevoli del campo profughi, situato alle porte di Betlemme e noto per essere ancora una roccaforte della sinistra palestinese.
Gli ultimi papi, nei loro viaggi in Terra Santa, hanno voluto visitare Dheisheh ricevendo accoglienze calorose. Abu Khalil e altri profughi hanno organizzato una commemorazione al Phoenix Center, con decine di bambini che non erano ancora nati quando il papa scomparso visitò il campo nel 2014, subito dopo aver pregato per la pace e l’abbattimento di ogni barriera al Muro costruito da Israele in Cisgiordania.
«Nella mia vita ho avuto la fortuna di conoscere quattro papi venuti in Palestina, da Paolo VI, quando ero un bambino, fino a Francesco. L’ultimo per me è speciale: aveva compreso interamente il dramma del popolo palestinese, riconosceva i nostri diritti e con grande coraggio ha parlato contro il genocidio a Gaza», spiega Abu Khalil, mentre un gruppo di bambini con bandierine del Vaticano entra nella sala grande del Phoenix Center.
AMR, un sessantenne, ricorda quando Francesco visitò nel 2014 Dheisheh: «Le sue parole in quell’occasione furono importanti. Parlò a sostegno del nostro diritto a un’esistenza da persone libere e disse ai nostri ragazzi e giovani di vivere guardando al futuro». Amr auspica che il futuro pontefice prosegua il percorso tracciato da Bergoglio «in appoggio agli oppressi, ai palestinesi, a tanti altri popoli e ai diseredati in tutto il mondo».
Papa Francesco, aggiunge, «aveva una visione del mondo, dello sviluppo economico slegato dal profitto e del rispetto dell’ambiente diversa da tante altre personalità mondiali». Il pensiero è già rivolto al nuovo pontefice: «Abbiamo bisogno che venga anche lui a Dheisheh. Le incursioni dell’esercito israeliano sono continue: qualche settimana fa i soldati hanno distrutto negozi, danneggiato case e minacciato di trasformare il nostro campo in un ammasso di macerie come quello di Jenin. Il nuovo papa, come Francesco, dovrà sostenere Gaza e tutti i palestinesi».