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Giro di vite La decisione della Cassazione su chi chiede asilo nei Cpr. Intanto a Gjader sono rimaste 30 persone: aumentano atti di autolesionismo e proteste

Shengjin, l’arrivo dei migranti sulla nave militare Libra Shengjin, l’arrivo dei migranti sulla nave militare Libra – Ap

C’è una sentenza della Cassazione che potrebbe aiutare il governo a sbrogliare alcuni dei problemi incontrati nella seconda fase del protocollo Albania. Quella dedicata ai migranti “irregolari” trasferiti dall’Italia al Cpr di Gjader.

La decisione degli ermellini, sezione penale, è di martedì scorso e afferma che se un cittadino straniero chiede asilo mentre si trova in detenzione amministrativa il questore non è obbligato a disporre un nuovo trattenimento entro 48 ore. Finora era questa la prassi adottata nella maggior parte dei casi, con alcune eccezioni nei Cpr lontani dall’attenzione pubblica.

Con la domanda di protezione internazionale, infatti, cambia lo status giuridico del migrante e anche il magistrato competente: non più il giudice di pace, ma la Corte di appello. Quest’ultima veniva dunque chiamata a convalidare o meno la misura di privazione della libertà personale, che per i richiedenti asilo risponde a criteri diversi rispetto ai migranti privi di documenti.

Secondo questa sentenza, senza il provvedimento dell’autorità amministrativa la Corte d’appello può ritenersi non competente. L’unico termine perentorio per un nuovo intervento del giudice diventa così la scadenza della precedente convalida al trattenimento decisa dal giudice di pace (vale 30 giorni all’ingresso e poi 60 per le successive proroghe). Un orientamento diverso da quello stabilito a dicembre 2024 sempre dalla Cassazione ma in sede civile.

Questa decisione è importante per i centri in Albania perché nei giorni scorsi era emerso un errore di sistema: chiedendo asilo da dietro le sbarre di Gjader si creava una situazione giuridica non prevista dal protocollo con Tirana, che consente la permanenza nelle strutture d’oltre Adriatico solo per le «procedure di frontiera o rimpatrio». In pochi giorni tre casi sono finiti davanti alla Corte d’appello di Roma, che ha detto no alla detenzione. Il primo, un cittadino del Marocco, al rientro in Italia è stato chiuso nel Cpr di Bari ma anche qui ha vinto l’udienza davanti alla locale Corte d’appello ed è tornato libero.

Adesso è possibile che le autorità di polizia non trasmettano le nuove richieste di convalida entro due giorni dalla richiesta di asilo. Certo, i difensori dei migranti potranno sempre fare domanda di riesame della misura detentiva. A quel punto, però, bisognerà capire se questa finirà davanti al giudice di pace, l’unico che finora ha convalidato la reclusione in Albania, o alla Corte d’appello.

Intanto oltre Adriatico le cose peggiorano ogni giorno. Al momento nel Cpr ci sono 30 persone. In totale ne erano state portate 41: una è stata rimpatriata in Bangladesh, ma passando dall’Italia; tutte le altre, in pratica una su quattro in appena quindici giorni, sono state rimandate indietro per motivi giuridici o sanitari.

Nel centro si stanno moltiplicando proteste, risse, atti di autolesionismo e tentativi di suicidio. Ogni tanto i familiari dei reclusi riescono a sapere qualcosa in più: i racconti descrivono situazioni analoghe a quelle che si ripetono nei Cpr attivi sul territorio nazionale, tra violenze e abuso di psicofarmaci. Con l’aggravante che in questo caso tutto avviene in un altro paese, con un diverso sistema sanitario, più lontano dalle famiglie.