Elezioni Confermato il premier laburista con percentuali altissime. Il rivale Peter Dutton perde anche il seggio
Sydney, il primo ministro Anthony Albanese festeggia i risultati con il figlio Nathan e la compagna Jodie Haydon – Dean Lewins/Epa
Quando Peter Dutton ha conquistato per la prima volta il seggio parlamentare di Brisbane, era il 2001. Dopo 24 anni, quel seggio non è più suo. Di anni ne erano passati addirittura 125, senza che un leader dell’opposizione rimanesse senza poltrona. Ieri è successo anche quello. Già, perché le elezioni in Australia si sono rivelate una storica umiliazione per il Partito liberale e per il suo candidato premier. È invece un trionfo dalle dimensioni insperate per i laburisti di Anthony Albanese, che diventa il primo capo del governo a venire confermato per un secondo mandato dopo due decenni. Ci voleva l’effetto Donald Trump, per spazzare via tutti i record consolidati. Ma, nel farlo, ha spazzato via anche i candidati percepiti come più vicini alla Casa bianca. Come si era capito già alla vigilia, l’Australia conferma gli indizi arrivati solo pochi giorni fa dal Canada: resistere al bullismo commerciale di Trump è visto con favore dagli elettori.
CI SI ASPETTAVA comunque un distacco minimo e i laburisti erano già pronti a dover avviare le trattative con gli eletti indipendenti per raggiungere i 76 seggi necessari ad avere la maggioranza assoluta. E invece no. Nel giro di poche ore di conteggi, il centrosinistra aveva già raggiunto quota 86, più che abbastanza per governare da solo. Albanese, visibilmente commosso, ha promesso di governare «per tutti gli australiani». Nella notte di Canberra, ha garantito «lavoro equo, salari equi e il diritto di staccare la spina quando si finisce di lavorare», annunciato «un’azione decisa per il clima e le energie rinnovabili», per poi citare il fiore all’occhiello del suo piano di assistenza sanitaria. Un’agenda assai progressista. D’altronde, già a 12 anni Albanese scendeva per strada a protestare contro la vendita delle case popolari in cui viveva con la madre nei sobborghi di Sydney. Ma il premier è chiamato anche a dare nuove risposte alle First Nations, dopo che il referendum da lui promosso sulla rappresentanza parlamentare per le popolazioni indigene è naufragato. Se ancora non fosse abbastanza chiara la distanza siderale dalle posizioni di Trump, Albanese ha aggiunto che «governerà con stile australiano, perché siamo orgogliosi di ciò che siamo. Non abbiamo bisogno di elemosinare, prendere in prestito o copiare da nessun altro».
DIFFICILE non cogliere qualche eco delle accuse allo sconfitto centrodestra di essersi ampiamente ispirato alla piattaforma Maga durante la campagna elettorale. Dutton, soprannominato dai rivali “Temu Trump” come fosse una versione a basso costo del presidente americano, puntava a una profonda riorganizzazione della burocrazia federale, con tagli alle assunzioni pubbliche e uno snellimento dell’apparato statale che pareva disegnato sulle mosse di Elon Musk. I liberali hanno provato una correzione in corso d’opera, quando si sono accorti che i dazi del Liberation Day stavano cominciando a ribaltare i sondaggi che fin lì erano a loro favorevoli. Troppo tardi, tanto che persino Dutton ha perso il suo storico seggio, conquistato dalla paladina dei laburisti: Ali France, campionessa paralimpica che ha perso da pochi mesi il figlio 19enne, morto di leucemia. Non è bastata nemmeno la corsa alle app cinesi (che fin lì i liberali volevano vietare) per conquistare i voti della comunità di origine asiatica. «Molti australiani si sono sentiti a disagio per le politiche dell’America, proprio mentre i liberali avevano assunto toni Maga», ha commentato l’ex ministro laburista Bill Shorten.
ALBANESE, figlio di madre australiana e padre italiano che ha creduto morto fino a quando aveva 14 anni, ha invece enfatizzato due concetti chiave: stabilità e autonomia. La prima, garantita dalla continuità dell’azione di governo. La seconda, perseguita sulle politiche commerciali e diplomatiche. Il premier lo ha in parte già fatto negli scorsi anni, quando ha sì confermato il patto Aukus con Usa e Regno unito per il dispiegamento di sottomarini a propulsione nucleare nel Pacifico, ma ha nello stesso tempo anche ricucito i dilaniati rapporti con la Cina. Dopo un incontro con Xi Jinping, Canberra è infatti riuscita a chiudere una lunga e dolorosa guerra commerciale con Pechino. Ora Albanese è chiamato a trovare un complicato equilibrio con Trump, con l’economia australiana che rischia di risentire parecchio del protezionismo americano.
IERI SI VOTAVA anche a Singapore, nel primo test elettorale per il premier Lawrence Wong, che ha assunto la guida del governo l’anno scorso dopo il lungo dominio della dinastia Lee. Il suo Partito d’azione popolare si avvia alla conquista di 87 seggi parlamentari su 97. Anche qui, le proporzioni della vittoria sono inattese e prendono forma dopo che Wong ha molto criticato i dazi di Trump, abbandonando parzialmente la storica cautela diplomatica della città-stato