Poveri noi Bilancio di un anno nella storia italiana: il rapporto 2025 dell’Istat. L’aumento dell’occupazione, un «record» per il governo Meloni, è trainato dagli occupati over 50 ed è basato sul lavoro povero. Giovani e donne i più penalizzati. Aumenta la povertà tra chi è in attività, crollo del potere d’acquisto del 10% negli ultimi cinque anni. Landini (Cgil): «Il paese è in difficoltà, il referendum dell’8-9 giugno può cambiarlo»
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni quando inviava messaggi autoironici agli italiani dai suoi canali Web – Ansa
La strategia è quella dell’opossum: fingersi morti in attesa che i problemi scompaiano, senza però sapere quando. Tranne qualche uscita estemporanea sulla crisi delle nascite in Italia, Meloni e il suo governo ieri hanno rispettato la consegna del silenzio mentre il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli snocciolava i dati sulla profonda crisi sociale, economica e lavorativa contenuti nel rapporto annuale presentato nella Sala della Regina di Montecitorio.
LA CONSEGNA è quella di commentare solo i dati che attestano l’aumento meramente quantitativo dell’occupazione, segno di un governo dei record «sin dal tempo di Garibaldi», mai il contesto socio-economico e produttivo che dimostra come quel «record» non è riuscito nemmeno a riportare il tasso di occupazione a livelli accettabili. È il più basso d’Europa tra i 15 e i 64 anni , soprattutto a causa dei livelli inferiori di partecipazione e occupazione dei giovani e delle donne. Tra l’altro va letto insieme al tasso di inattività che in Italia è il più elevato dell’Europa a 27 (33,4% contro una media del 24,6%).
LA PRIMA PRESIDENTE del Consiglio donna in Italia non riesce a dire nulla di significativo alle donne che non riescono a lavorare, se non per «part-time involontari» e altri contratti intermittenti : siamo al 42,4%, oltre 13 punti sopra alla media europea. Salvo promesse di punizioni esemplari, e sfoggio di «licei made in Italy» il governo ieri ha incassato un altro «record», quello dei giovani tra i 15 e 29 anni definiti dalla triste statistica come «Neet», cioè non inseriti in percorsi scolastici o formativi né impegnati in un’attività lavorativa. L’Italia, nonostante il calo di 7 punti percentuali dal 2019, è seconda dopo la Romania, con il 15,2%.
L’OCCUPAZIONE è cresciuta, ma è stata trainata da settori a bassa produttività e con bassi salari che sono una costante in un paese che dagli anni Novanta, è stato pensato a partire dalla sistematica svalutazione dei lavoratori. L’incremento dei contratti è stato trainato da quelli a tempo indeterminato, mentre si sono ridotti quelli a termine (-6,8%). Per capire il problema, cosa che il governo non intende fare non per motivi scaramantici ma di propaganda, bisogna capire la composizione del lavoro. L’80% della crescita (285mila unità in più) è stata dovuta all’aumento degli occupati con 50 anni e oltre. Il dato è legato alla «riforme» pensionistiche (Dini, Fornero) che hanno trattenuto più a lungo al lavoro e alle tendenze demografiche. I «baby boomers» e i nati nei primi anni 70, sono più numerosi di chi è nato dopo, e oggi si trovano a lavorare sempre peggio e pagati male. Non è l’esito di una sciagura, come di solito viene fatto credere, ma di un’idea economica e di società.
NEL FALÒ DELLE VANITÀ governative sono state bruciata tante parole sull’aumento dei salari. Negli ultimi sei anni è stato perso il 10,6% del potere di acquisto. Nell’ultimo anno la retribuzioni contrattuali orarie sono aumentate del 3,1%, mentre un tasso di inflazione Ipca cresciuto del +1,1%. Bisogna però ricordare che ciò è avvenuto solo perché l’inflazione è diminuita. Poco o nulla è stato recuperato sul potere di acquisto perso dagli anni del Covid.
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Sistema precario: l’unico record è di lavoratori poveriNASCE COSÌ l’allargamento della base dei «lavoratori poveri», le persone che lavorano ma i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato. Nel 2023, il 21 per cento di tutti i lavoratori in Italia risultava a basso reddito, una condizione più frequente tra le donne (26,6 per cento), i giovani con meno di 35 anni (29,5) e i cittadini stranieri (35,2 ).
UN QUINTO della popolazione residente in Italia è a rischio di «esclusione sociale» (11 milioni), In povertà «assoluta» ci sono oltre 5 milioni 700 mila persone. Un altro «record» raggiunto di nuovo sotto il governo Meloni che tra l’altro ha tagliato, ridimensionato e peggiorato il cosiddetto «reddito di cittadinanza».
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Boom del lavoro, storia di un’illusione venduta ad AtrejuL’IMPOVERIMENTO programmatico di un paese lo si vede anche dal punto di vista dell’istruzione. Aumentano i giovani 25-34enni espatriati con una laurea: «21 mila nel 2023, un record storico; il risultato è una perdita netta di 97 mila giovani laureati in 10 anni» ha detto Chelli dell’Istat. E il governo si prepara a 700 milioni di tagli agli atenei nel prossimo triennio. Altra benzina nel motore di chi fugge. Il problema non è l’immigrazione, ma semmai l’aumento dell’emigrazione dei giovani, con o senza laurea.
L’OPPOSIZIONE ha giocato di nuovo la carta della «realtà» contro «Meloni-nel-mondo-dei-sogni». Per Conte(M5S) «i cittadini sono dimenticati, le priorità di Meloni sono armi e banche». “Inebriati dai successi che attribuiscono all’operato del governo sull’occupazione, i rappresentanti della maggioranza si astengono oggi dal commentare” ha osservato Maria Cecilia Guerra del Pd. Per Tino Magni (Avs). I referendum dell’8 e del 9 giugno sono l’occasione per cambiare le cose e invertire la rotta. Sì ai referendum per dire no alla precarietà, no ai licenziamenti illegittimi, no ai subappalti che mettono a rischio la sicurezza nei luoghi di lavoro”. Per il segretario della Cgil Maurizio Landini i 5 Sì ai quesiti possono “aprire una fase nuova per il Paese per rimettere al centro i diritti, soprattutto delle nuove generazioni”. Questo, in fondo, è il nodo politico.