Palestina Quelli sull’utilizzo dei civili palestinesi come scudi umani non sono resoconti isolati, ma indicano un fallimento sistemico e un orribile collasso morale Nadav Weiman
Operai raccolgono resti umani dopo un attacco israeliano su un'abitazione a Khan Younis – AP
Quando ha visto i corpi carbonizzati dei suoi sette figli, ha perso i sensi. La dottoressa Alaa al-Najjar, pediatra all’ospedale Nasser di Khan Younis, aveva passato la giornata a curare bambini. Era uscita la mattina con suo marito Hamdi al-Najjar, anche lui medico, rincasato prima di lei. Un bombardamento israeliano ha colpito l’abitazione, trasformandola in un mucchio di macerie e scatenando un violento incendio. I video girati sulla scena mostrano i soccorritori tirare fuori i corpi dei bambini, uno dopo l’altro.
LA DOTTORESSA AL-NAJJAR aveva dieci figli. Le bombe israeliane gliene hanno uccisi nove. Yahya, Rakan, Ruslan, Jubran, Eve, Revan, Sayden, Luqman e Sidra. Sette sono stati portati al Nasser mentre due, compreso l’ultimo di sei mesi, sono rimasti sotto le macerie. Solo un bambino è sopravvissuto, Adam di 11 anni, trasportato in sala operatoria come suo padre, pure in gravi condizioni. Tutti hanno riportato, oltre ai traumi, terribili ustioni.
Quando Alaa ha visto i corpi deturpati, è svenuta. Un orrore troppo grande da poter concepire. Ha dato alla luce il suo ultimo figlio solo sei mesi fa e poco dopo ha insistito per tornare al lavoro, in una situazione terribile soprattutto per i bambini, con gli ospedali che soffrono di una grave carenza di personale.
La casa di Alaa e Hamdi al-Najjar è uno dei «cento obiettivi» che l’esercito israeliano ha comunicato di aver colpito. Come sempre, i resoconti militari blaterano di tunnel, piattaforme per il lancio di razzi, postazioni militari, camuffando le stragi di civili con racconti di successi e vittorie.
I colleghi della coppia hanno raccontato che la famiglia non aveva legami con Hamas. Consapevoli che il sospetto basterebbe a Israele per giustificare l’assassinio di nove bambini tra i 12 anni e i 6 mesi. E che non è nemmeno necessario, perché da tempo ormai l’esercito stermina intere famiglie con l’aspirazione dichiarata di cacciare tutti da Gaza. Evidentemente non importa che siano vivi o morti.
Yaqeen Hammad era conosciuta come la più giovane volontaria umanitaria e attivista social. Pubblicava video-racconti della vita da Gaza, immagini di resistenza, ricostruzione, coraggio. Passava molto tempo con i bambini, preparando per loro giochi e regali. Partecipava a raccolte fondi e al lavoro di diverse associazioni. Un missile ha colpito ieri la sua casa a Deir al-Balah, uccidendola. Altre cinque persone sono state ammazzate e 50 ferite mentre si trovavano vicino ai pochi camion che trasportavano farina ad al-Mawasi, zona «umanitaria» in cui un nuovo attacco ha ucciso 7 persone.
SONO ALMENO 48 LE VITTIME di sabato. L’ospedale al-Awda, nel nord della Striscia, è ancora sotto assedio. La direzione sanitaria ha fatto sapere che i militari stanno pesantemente bombardando l’area e attaccando le ambulanze che tentano di trasportare pazienti e feriti.
Secondo un’inchiesta pubblicata ieri dall a Associated Press (Ap) l’utilizzo dei civili palestinesi come scudi umani è diventata una pratica sistematica per l’esercito israeliano. Non si tratta di iniziative occasionali di singoli soldati o ufficiali ma di ordini dall’alto. Un militare, che ha chiesto di rimanere anonimo, ha raccontato all’agenzia che quasi ogni plotone ha utilizzato residenti per accedere a edifici e tunnel in cui si sospettava potessero trovarsi trappole esplosive. Nadav Weiman, direttore esecutivo di Breaking the Silence, l’organizzazione che raccoglie le testimonianze dei soldati israeliani, ha dichiarato: «Non sono resoconti isolati, ma indicano un fallimento sistemico e un orribile collasso morale».
INTANTO, NAZIONI UNITE e organizzazioni umanitarie continuano a chiedere di far entrare aiuti a Gaza. I camion a cui Israele ha permesso l’accesso sono nulla rispetto alle necessità della popolazione. E tra due giorni, lunedì o martedì al massimo, tutta la gestione del cibo dovrebbe passare nelle mani della fumosa fondazione statunitense (Ghf) realizzata per l’occasione. Proprio ieri è arrivata notizia che una Ong svizzera ha formalmente chiesto alle autorità del Paese (dove la fondazione è stata registrata) di investigarne le attività. Da più parti, infatti, stanno giungendo dubbi sulle capacità e sugli obiettivi reali della struttura guidata da funzionari della difesa e da ricchi dirigenti d’azienda statunitensi. Il Washington Post ha pubblicato ieri alcuni documenti riservati che rivelano come gli stessi responsabili nutrano seri dubbi sulla buona riuscita del progetto.
ANCHE I VERTICI delle forze armate israeliane avrebbero espresso parere negativo. Ma Tel Aviv sarebbe disposta solo, secondo un documento riservato ottenuto dall’Ap, a lasciare che le organizzazioni internazionali si occupino dell’assistenza non alimentare. Per il cibo il governo, con il sostegno degli Stati uniti, punta tutto sul suo nuovo «meccanismo», escludendo Onu e associazioni umanitarie, in quella che potrebbe trasformarsi in una tragedia ancora più grande per il popolo palestinese.