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Crisi Ucraina Il «primo passo necessario» deciso a Istanbul verso la conclusione, per ora senza incidenti

Soldati ucraini al ritorno dalla prigionia durante uno scambio di prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina. (AP) Soldati ucraini al ritorno dalla prigionia durante uno scambio di prigionieri di guerra tra Russia e Ucraina – AP

«Guarda bene, è stato preso vicino a…». È un assedio per gli uomini che scendono dai pullman. Testa rasata, zigomi sporgenti e bandiere ucraine sulle spalle, portano i segni di mesi – anni, per alcuni – di prigionia nel Paese nemico. Prima di abbracciare le mogli e le madri che sono riuscite ad accorrere al confine con la Bielorussia devono passare attraverso le domande di chi oggi non ritroverà nessuno. Sono i familiari, per la maggior parte donne, di tutti quei militari che ufficialmente sono classificati come «dispersi in azione» perché di loro non si hanno più notizie e i loro corpi non sono mai stati ritrovati o recuperati. Gli altri, i 307 che da ieri sono rientrati in patria nell’ambito dello scambio di mille prigionieri di guerra per parte deciso da Russia e Ucraina ai colloqui di Istanbul dello scorso 9 maggio, guardano altrove, danno risposte evasive e cercano tra la folla un volto noto. Poi la foto dietro gli ufficiali e l’urlo di rito: «gloria agli eroi!». Infine tutti a casa, perlomeno quelli che ce l’hanno ancora una casa e non devono raggiungere le famiglie in qualche centro per sfollati interni lontano dall’est. Restano in disparte, a favore di telecamere, le donne con i manifesti e le bandiere stampate.

NOMI, FOTOGRAFIE, numeri di reparti e campi di battaglia con i quali si spera di attirare qualche militare che magari ha incontrato proprio il congiunto disperso. Portano quei simboli come icone e le alzano come se mostrarle potesse cambiare qualcosa. È una flebile speranza, persino un’illusione consapevole, ma porta avanti migliaia di famiglie. Anche perché i casi in cui qualcuno dato per spacciato riemerge dall’oblio esistono e li abbiamo documentati diverse volte in questi anni. Ma sono comunque pochi rispetto ai numeri dei caduti, che ormai superano ampiamente, ma non si sa di quanto, i centomila militari per parte. Secondo la vice-capo dell’Ufficio presidenziale ucraino, Iryna Vereshchuk, al 1° maggio scorso risultavano almeno 8mila soldati ucraini prigionieri in Russia. Inoltre, secondo l’inchiesta svolta dal Guardian e da altri media, confluita nel «progetto Viktoriia», ci sarebbero migliaia di civili deportati coattamente in Russia dall’invasione del 2022. Per Kiev potrebbero essere fino a 16mila uomini, donne e bambini. Per il Centro di coordinamento ucraino per il trattamento dei prigionieri di guerra quello di questi giorni (23-25 maggio) è il sesto scambio di quest’anno e il 65° dall’inizio della guerra. In totale, secondo la stessa fonte, dal marzo 2022 sono stati rilasciati dai russi 5757 cittadini ucraini. Non disponiamo delle cifre della parte russa perché Kiev non ha mai voluto rivelare il numero di soldati nemici catturati e Mosca non ha pubblicato resoconti ufficiali.

«Altri 307 difensori ucraini sono tornati a casa. Oggi è il secondo giorno dello scambio 1000 per 1000, concordato in Turchia. Solo in questi due giorni sono già state restituite 697 persone. Domani ci aspettiamo che si continui» ha dichiarato ieri il presidente Zelensky in un video-messaggio sul suo canale Telegram. Zelensky in precedenza aveva affermato che lo scambio è l’unico «risultato tangibile» dei negoziati di Istanbul e che bisogna «continuare a esercitare pressioni» sulla Russia affinché accetti il cessate il fuoco.

IL MINISTERO degli esteri russo ha confermato il numero di 307 uomini rimpatriati ieri e, tramite le parole del titolare del dicastero, Sergei Lavrov, ha fatto sapere che «Non appena lo scambio di prigionieri sarà completato, saremo pronti a consegnare alla parte ucraina la bozza del documento – con le proposte per giungere a una tregua – che la parte russa sta attualmente finalizzando». La portavoce del ministero, Maria Zakharova, ha anche aggiunto, agli antipodi di Zelensky, che lo scambio di prigionieri è «un’iniziativa concreta» che ha «vanificato tutti gli intrighi orditi dagli occidentali, dal presidente francese Emmanuel Macron, dal cancelliere tedesco Friedrich Merz e dal primo ministro britannico Keir Starmer» per cercare di dimostrare che «la Russia non vorrebbe i negoziati e non sarebbe pronta».

Intanto nella notte l’aviazione di Mosca ha colpito duramente come non accadeva da tempo. Per gli ucraini sono state lanciati almeno 250 droni a lungo raggio e 14 missili balistici, dei quali la maggior parte abbattuti sui cieli della capitale. Tuttavia, l’ondata di attacchi ha causato, secondo fonti citate dalla Bbc, almeno 13 morti e 56 feriti.