Palestina Trump annuncia un cessate il fuoco che ancora non esiste, Israele uccide 140 palestinesi in 24 ore. Tra le vittime il direttore dell’ospedale Indonesiano, Marwan al-Sultan: l'ennesima ipoteca sul futuro
I corpi di due sorelline, Mira Bashir di 8 anni e Sabah Bashir di 10, uccise a Deir al-Balah – Ap
«Siamo sotto choc e addolorati. Non può essere sostituito. Era un importante studioso e uno dei soli due cardiologi rimasti a Gaza. Migliaia di pazienti subiranno conseguenze per la sua uccisione». Sono un mix tra ricordo e denuncia le parole che ieri il direttore dell’ospedale al-Shifa, Mohammed Abu Selmia, ha affidato al Guardian. Sta parlando del collega Marwan Al-Sultan, direttore dell’ospedale Indonesiano di Beit Lahiya, nel nord della Striscia. «La sua unica colpa – conclude – era essere un dottore».
AL-SULTAN È STATO ammazzato a Gaza City da un raid israeliano ieri, insieme alla sua famiglia di sette persone. Con Abu Selmia ha condiviso un identico percorso: guidare ospedali trasfigurati in trappole di morte dai prolungati assedi dell’esercito israeliano, rimetterli pian piano in piedi con i pochi strumenti a disposizione, vederli attaccati di nuovo fino a diventare gusci vuoti e inservibili. Il suo ospedale ha cessato ogni operazione il 21 maggio scorso, dopo che i raid aerei hanno messo fuori uso il sistema di generatori elettrici.
Come Abu Selmia, Al-Sultan è stato uno dei volti dell’offensiva lanciata da Israele contro il sistema sanitario gazawi, demolito nelle infrastrutture e privato della componente umana: sono 1.400 gli operatori sanitari palestinesi uccisi dall’esercito israeliano dal 7 ottobre 2023 (dati Onu) mentre lavoravano, evacuavano feriti, a bordo delle ambulanze; altri 200, forse 300 sono tuttora prigionieri politici.
Uccidere medici o arrestarli (come il dottor Hussam Abu Safiya, scomparso nelle carceri israeliane da sei mesi) significa privare Gaza della cura futura. Gli ospedali si ricostruiscono; medici, infermieri, tecnici, paramedici richiedono anni per essere formati. È una strategia precisa, non frutto del caso, ed è una delle tante ipoteche sul dopoguerra, se mai ci sarà.
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Fame, torture e isolamento: il calvario del dottor Abu Safiya, accusato di nienteNon sorprende dunque che a Gaza le voci di un accordo di tregua siano accolte da scetticismo. «Dicono tutti che non c’è cessate il fuoco finché non c’è un cessate il fuoco – scrive il giornalista Hani Mahmoud – Si parla di un possibile accordo, ma qui la realtà racconta un’altra storia. Una media di 100, 120 palestinesi uccisi ogni giorno…se parli di cessate il fuoco, devi creare le condizioni, non aumentare la violenza».
È STATO DONALD TRUMP, presidente degli Stati uniti, a rimettere sul tavolo la possibilità di un accordo tra Israele e Hamas con il solito metodo, un post su TruthSocial martedì pomeriggio (ora di Washington): «Israele ha accettato le condizioni necessarie per finalizzare un cessate il fuoco di 60 giorni, durante i quali lavoreremo con tutte le parti per porre fine alla guerra. Qatarini ed egiziani consegneranno questa proposta finale. Spero che Hamas accetti perché non andrà meglio – ANDRÀ SOLO PEGGIO».
Di quale proposta si tratti, se il piano Witkoff già respinto dal movimento islamico palestinese, non è ancora chiaro. Quella bozza prevedeva il rilascio degli ostaggi israeliani (ne rimangono 50 ancora a Gaza, di cui almeno trenta si ritengono morti) in cambio di 60 giorni di tregua, ma nessuna certa previsione di ritiro israeliano e cessate il fuoco permanente.
Ieri Hamas, che ha inviato subito una delegazione al Cairo, ha preso tempo: sta «studiando la proposta» e vuole giungere a un accordo che «garantisca la fine dell’aggressione, ottenga il ritiro (delle truppe israeliane) e sostenga con urgenza la nostra gente nella Striscia». Il gruppo non ha fiducia nella controparte: ricorda bene quanto accaduto il 18 marzo scorso con la rottura improvvisa della tregua da parte di Israele.
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Il dialogo, poi la strage. Tutte le volte che Netanyahu ha bombardato il negoziatoDall’altra parte c’è Tel Aviv: il primo ministro Netanyahu insiste per l’eliminazione di Hamas come prerequisito («Non ci sarà Hamas, non ci sarà un Hamastan) necessario a lasciarsi le mani libere, mentre il ministro degli esteri Sa’ar ha confermato l’esistenza di una «larga maggioranza» nell’esecutivo a favore della tregua.
Contrari, com’è noto, gli esponenti dell’ultradestra, i ministri Smotrich e Ben Gvir, che nella serata di ieri si sono riuniti per – riporta Haaretz – ideare un piano per boicottare il negoziato. Uno lo ha trovato Yair Levin, ministro della giustizia e braccio destro di Netanyahu, che ieri è tornato sulla volontà di annettere la Cisgiordania, parlando di «opportunità storica che non possiamo perdere», a dimostrazione degli obiettivi reali di Israele e del totale disprezzo per i diritti dei palestinesi, ovunque essi siano.
INTANTO, MENTRE Gaza piangeva 78 uccisi dall’alba e 140 in 24 ore, Berna avviava le procedure per chiudere la filiale svizzera della Gaza Humanitaria Foundation, la società Usa dal 27 maggio scorso incaricata da Israele di «consegnare» pacchi alimentari, in violazione aperta del diritto internazionale.
Le ragioni ufficiali sono meramente tecniche: mancano il numero giusto di membri del consiglio di amministrazione e un conto bancario locale. Forse, sullo sfondo, si cela la preoccupazione per le crescenti denunce contro le pratiche della Ghf, parte di un meccanismo volto ai massacri di massa di chi cerca di sfamarsi.