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Negoziati La Russia non farà marcia indietro sui suoi obiettivi in Ucraina. Lo ha detto Vladimir Putin a Donald Trump durante una telefonata di circa un’ora che si è tenuta ieri pomeriggio

Carico di Patriot per l’Ucraina in una base militare in Germania foto Ap Carico di Patriot per l’Ucraina in una base militare in Germania – AP

La Russia non farà marcia indietro sui suoi obiettivi in Ucraina. Lo ha detto Vladimir Putin a Donald Trump durante una telefonata di circa un’ora che si è tenuta ieri pomeriggio. Il Cremlino è comunque «interessato a una soluzione diplomatica per la fine del conflitto» ma, come spiega il consigliere presidenziale Yuri Ushakov, «l’eliminazione delle cause alla base della guerra in Ucraina non sono negoziabili». Si ritorna sempre allo stesso punto, le moine di Trump non funzionano, Putin vuole la resa dell’Ucraina o qualcosa che si possa spacciare come tale ai media. E la sesta telefonata tra i due presidenti dall’insediamento del tycoon alla Casa bianca non getta alcuna luce sulla domanda che tutti iniziano a farsi: per quanto ancora?

«Putin – continua Ushakov – ha informato Trump sull’attuazione degli accordi di Istanbul di natura umanitaria, raggiunti durante il secondo ciclo di contatti diretti russo-ucraini in Turchia. Donald Trump ha sollevato ancora una volta la questione di una cessazione anticipata delle ostilità», ma non c’è nulla da fare, per ora i reparti russi continueranno a combattere e l’artiglieria a lanciare ordigni sulle città della controparte. Si è parlato anche di Iran, in «modo molto dettagliato», e su questo le parti si sono invertite: è stato Putin a cercare di convincere l’altro a trovare una soluzione diplomatica, «che – per Mosca – è l’unica possibile». Sappiamo che, almeno ufficialmente, non si è toccata l’interruzione delle forniture di contraerea Usa all’Ucraina, mentre i bombardamenti russi continuano a mietere vittime, come ieri a Odessa. È evidente che privare Kiev di capacità difensive in un momento in cui l’evoluzione della guerra è appesa alle rivendicazioni russe sul campo non può essere considerata una mossa priva di conseguenze. I media ucraini ieri parlavano dello «shock» degli ufficiali per una decisione che assume progressivamente tutti i contorni dell’ennesimo regalo a Putin, al netto dell’esultanza per la notizia della morte di Mikhail Gudkov, vice-comandante della Marina militare russa, probabilmente rimasto ucciso in attacco missilistico ucraino nei giorni scorsi. Allo stesso modo si può interpretare l’ostruzionismo della Casa bianca per l’introduzione di nuove sanzioni alla Russia.

Trump finora ha tuonato che se si dovesse arrivare allo stallo diplomatico non ci penserà due volte a introdurre i temibili dazi secondari, ovvero delle imposte doganali sui prodotti derivati da materie prime russe. Per l’economia del gigante eurasiatico sarebbe un colpo durissimo, forse la spinta verso la recessione che il ministro dello sviluppo economico Resetnikov paventava qualche settimana fa. Si tratta, dunque, di una minaccia affatto sostanziale, ma, con ogni evidenza, il Cremlino al momento non teme che Trump passi dalle parole ai fatti e preferisce credere all’altra dichiarazione dello showman, quella dei «bambini che devono picchiarsi ancora un po’ prima di fare la pace». Dopo la chiamata di ieri, che il Cremlino ha definito «franca, professionale e concreta» se ne terranno presto altre. Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha inoltre dichiarato che «non ci sono ostacoli» per la programmazione del prossimo summit con la controparte, «bisogna solo completare tutte le procedure di approvazione e poi proporre delle date». Nell’attesa, oggi Trump dovrebbe chiamare anche Zelensky.

Per il presidente ucraino, che era ospite della premier danese Mette Frederiksen, i due leader «non hanno molte idee in comune, ma se si parla noi, sosteniamo fin dall’inizio l’idea del presidente Trump di un cessate il fuoco incondizionato. Ho detto più volte che siamo pronti a qualsiasi formato per i colloqui. Ma penso che in Russia solo Putin sia il vero decisore, per questo abbiamo bisogno di incontri a livello di leader se vogliamo davvero la pace». Oggi Zelensky spera in qualche modo di convincere il tycoon a cambiare idea sul blocco alla contraerea, o almeno di addolcirne la posizione. Per il Wall street journal le conseguenze del nuovo corso si sono già viste durante la mattinata di mercoledì alla frontiera polacca, dove un carico di armi (già presenti sul suolo di Varsavia e dirette in Ucraina) è stato bloccato. La fornitura includeva i tanto agognati Patriot, sistemi di contraerea Stinger e missili terra-aria e aria-aria. Centinaia di milioni di dollari di equipaggiamenti che i reparti ucraini aspettavano come l’aria fermi chissà fino a quando.

Kiev intanto cerca accordi per correre ai ripari. Zelensky ieri ha parlato di un’intesa con una ditta Usa per produrre droni intercettori, progetto pilota di una serie che il presidente spera di concludere nel più breve tempo possibile. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz, pur di non fornire i suoi sistemi di contraerea Taurus, avrebbe chiesto al Pentagono – lo rivela Bild – l’autorizzazione all’acquisto di due sistemi di difesa aerea statunitensi Patriot che intende poi cedere a Kiev, coprendo i costi.