Commissione Ue Giovedì a Strasburgo il voto sulla mozione di sfiducia dell’estrema destra. La premier non la sosterrà, il Pd dirà no turandosi il naso. Tormenti dem. Tarquinio: «Non voterò per Ursula». Benifei: «Non si va avanti senza un chiarimento». Conte e Salvini voteranno a favore, i dubbi di Avs
Ursula von der Leyen – AP Photo/Pascal Bastien
Giorgia Meloni e Elly Schlein, per ragioni assai diverse, saranno costrette la settimana prossima a salvare Ursula von der Leyen dalla mozione di sfiducia al parlamento europeo.
PER LA LEADER PD UN VOTO col naso turato, viste le ripetute critiche rivolte negli ultimi mesi ad una commissione che non ha mai sentito sua, fin dall’inizio. Ma favorito dal fatto che la mozione, che ha raccolto 79 firme, è stata presentata da un esponente del gruppo Ecr, il rumeno Georghe Piperea. E i socialisti, pur furiosi con von der Leyen, hanno buon gioco a non votare un testo sostenuto dall’estrema destra di Orbán e Le Pen.
Per Meloni (che non fa parte della maggioranza Ursula) non sarà una passeggiata dire no alla mozione di un collega del suo stesso gruppo europeo. Anche perché la Lega voterà a favore della sfiducia insieme agli altri «patrioti». Il gruppo di Ecr si riunirà martedì per decidere, ma viene spiegato che solo 27 deputati su 79 hanno firmato la mozione, dunque solo un terzo degli eletti (soprattutto dei paesi dell’est). La soluzione più probabile è che ognuna delle delegazioni dei conservatori si regolerà per conto proprio, con quelli di Fdi che potrebbero non partecipare al voto. Per non dare l’impressione di essere entrati ufficialmente nella maggioranza.
L’idea di bocciare Ursula non viene neppure presa in considerazione, dopo il patto con Meloni che ha portato Raffaele Fitto alla vicepresidenza. Una scelta favorita dal fatto che il cuore della mozione è sulla gestione dei vaccini Covid da parte della prima commissione von der Leyen (oltre che sugli strumenti adottati per bypassare il Parlamento sul piano di riarmo). Due argomenti che non appassionano i meloniani.
SE LA PREMIER È IN imbarazzo, e costretta a regalare ancora una volta a Salvini il ruolo del più duro contro Bruxelles (Fi voterà contro la mozione senza alcun dubbio), anche a sinistra ci sono tormenti. E non di poco conto. Il gruppo del M5S voterà per la sfiducia: «Non vedo come possiamo cambiare valutazione rispetto alla sfiducia votata meno di un anno fa. Questa commissione si è rivelata peggiore delle più cupe premesse», ci dice il vicecapodelegazione 5S Gaetano Pedullà.
Dentro The Left ci sono dubbi, si deciderà domani dopo il dibattito in aula a Strasburgo sulla sfiducia (ma il voto è giovedì 18). «Non possiamo appiattirci sull’agenda dell’estrema destra o mischiare i nostri voti con loro», spiegano da Sinistra italiana. Una delle strade potrebbe essere non partecipare al voto.
PER IL PD SULLA CARTA è tutto più semplice. I socialisti fanno parte della maggioranza e l’ordine di scuderia sarà votare contro la mozione. Ma i malumori contro von der Leyen sono palpabili. «Senza un chiarimento politico non si può andare avanti», spiega al manifesto l’ex capodelegazione Brando Benifei. «Non votiamo la sfiducia con l’estrema destra ma von der Leyen deve capire che non siamo più a un anno fa: anche Pedro Sanchez, che con l’indicazione di Teresa Ribera come vicepresidente Ue era garante di un patto, ha aperto una nuova fase con le posizioni contro il 5% del pil per gli armamenti, linea che noi condividiamo. Ora i nostri voti non sono davvero più scontati, ci aspettiamo segnali chiari sul bilancio comunitario e sull’agenda sociale, ambientale e digitale».
Tradotto: se insiste col feeling con la destra, i socialisti potrebbero bocciare il bilancio in autunno. Quello per il 2026 ma anche quello pluriennale 2028-2034, che prevede di affidare agli stati la gestione dei fondi di coesione, ipotesi contestata dal Pd e dai suoi governatori (il 16 sarà saranno presentate a Bruxelles le prime linee guida).
MARCO TARQUINIO, indipendente eletto coi dem, nello scorso autunno votò no alla commissione insieme a Cecilia Strada e altri 22 deputati socialisti. «Nel voto di giovedì voglio che sia chiara la mia critica severa e motivata a questa commissione, dal riarmo alle questioni ambientali. Di certo non voterò contro la mozione, ma neppure a favore per non accodarmi all’estrema destra». Per lui un’astensione o una non partecipazione al voto.
Anche un riformista doc come Enzo Amendola, ex ministro degli Affari Ue, non nasconde la sua delusione: «Doveva essere la commissione con proiezione globale ma, da Kiev a Gaza, è diventata irrilevante e inchinata alle fluttuazioni di Trump. Doveva essere la commissione delle riforme, ma i bond del Pnrr sono un antico ricordo con un bilancio proposto all’1% del pil europeo. Sembra di essere tornati a Barroso».