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Intervista di Elena G. Polidori su Il Resto del Carlino di giovedì 12 aprile 2018

Roma, 12 aprile 2018 - "Subito dopo il voto – dice Maurizio Landini, ex leader della Fiom e attuale segretario confederale della Cgil – abbiamo scritto ai nuovi presidenti delle Camere e ai gruppi parlamentari, per chiedere che il nuovo Parlamento discuta subito la Carta per i diritti del Lavoro, sottoscritta da più di un milione e mezzo di lavoratori; i 5 Stelle sono stati i primi a risponderci".

Che risposta è arrivata?

"A breve saranno fissati gli incontri, ma è chiaro che stiamo parlando di cambiare il Jobs Act, di fare una legge sulla rappresentanza, vuol dire ripristinare un nuovo statuto di diritti per tutte le forme di lavoro, anche quello autonomo, così come vogliamo una nuova legge sulle pensioni...".

Musica per le orecchie di Di Maio. Ma anche di Salvini...

"Il sindacato, la Cgil, guarda quello che succede, è autonomo da qualsiasi forza politica, governo, imprenditore, ma resta il fatto che oggi è più facile licenziare che ricorrere agli ammortizzatori sociali. E nel congresso che stiamo aprendo, tra le proposte c’è anche quella di sperimentare un reddito di garanzia, per chi non ha alcun istituto, è precario e vuole reinserirsi nel mondo del lavoro".

Siete per il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle?

"Analizzando il voto del 4 marzo, si capisce che c’è stata una ribellione di massa a un potere politico che era lontano dalle ragioni di una sofferenza sociale molto diffusa, perché la povertà si è allargata, il Jobs Act ha aumentato le forme di sfruttamento del lavoro e ricondurre il voto del Mezzogiorno al fatto che vogliono essere sussidiati, secondo me, è un’altra di quelle stupidaggini che non dà l’idea di capire che cosa sta succedendo".

Dunque pensa che il mondo del lavoro abbia votato in massa 5 Stelle o Lega?

"È un dato che chi ha governato, ha dimezzato i suoi voti e il mondo del lavoro non ha votato per chi era al governo. Detto questo, la Cgil aveva capito da un po’ che si stava verificando una frattura e, infatti, Pd e sinistra sono usciti fortemente ridimensionati. Detto questo, per noi il problema è che qualsiasi governo ci sarà, noi come Cgil chiederemo quello che ho detto prima".

Faccia una stima: in quanti degli iscritti alla Cgil secondo lei hanno votato 5 Stelle?

"Stiamo analizzando il voto con la nostra Fondazione Di Vittorio, ma non siamo di fronte ad un’elezione normale. In Italia gli iscritti a Cgil, Cisl e Uilsono tra gli 11 e i 12 milioni (ma ci sono anche altri sindacati). È indubbio da quello che emrge che i partiti maggiormente votati, anche in queste aree, sono 5 Stelle e Lega".

Dovendo scegliere tra pensioni e Jobs Act, a che cosa darebbe priorità?

"Vanno fatte tutte e due le cose. Non è che uno è alternativo all’altro, non è che ora parte il giochino ‘o l’uno o l’altro’, bisogna ridare diritti a chi lavora, a parità di lavoro parità di diritti e retribuzioni, con le pensioni che restano una ferita aperta. Il problema non si risolve dicendo ‘41 anni e poi in pensione’, bisogna pensare anche a dare pensioni di garanzia ai giovani, perché un sistema puramente contributivo non esiste in nessun Paese del mondo e, soprattutto, bisogna ridare fiato agli investimenti per creare lavoro; sta tutto lì".