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Elezioni europee. Il Pd di Nicola Zingaretti è disposto a fare proprie, a portare nelle piazze, le parole del manifesto elettorale del partito del socialismo europeo?

Questa volta, con le elezioni del Parlamento europeo, ciascuna elettrice, ciascun elettore si trova di fronte ad un bivio: se imboccare una strada che porta all’affermazione continentale del liberismo, travestito di austerità, che fomenta la guerra tra i più deboli, attraverso un’alleanza inedita tra popolari e razzisti, trasformando il continente in terreno di caccia tra Stati Uniti, Russia, Cina. O se percorrere quella di un’Europa, che può soltanto diventare più unita e più forte se rappresenta i molti deprivati di mezzi e di diritti. La sinistra italiana, nelle sue diverse sfumature, per corrispondere a questo bisogno diffuso, quali chiarimenti dovrebbe offrire, a meno di due mesi dalla scadenza?

Cominciamo dagli obiettivi. Il manifesto elettorale del partito del socialismo europeo, a cui il Pd appartiene, si apre con queste parole (la traduzione dall’inglese è mia perché – guarda caso – la versione completa in italiano è difficilissima da trovare):

«L’Unione Europea deve servire meglio il suo popolo. Le elezioni di maggio 2019 sono la nostra opportunità per cambiare l’Unione europea e costruire un’Europa più giusta. Le nostre società tuttora sopportano i costi della crisi economica del 2008. Abbiamo sfide urgenti cui fare fronte. L’Europa deve superare l’ineguaglianza, battersi per una giustizia fiscale, fare fronte alle minacce dei mutamenti climatici, contenere la rivoluzione digitale, assicurare un’equa trasformazione agricola, gestire meglio le migrazioni, e garantire la sicurezza di tutti gli Europei. L’Europa richiede un cambiamento di guida e indirizzo politico, relegando al passato i modelli conservatori e neoliberali dominanti, puntando su posti di lavoro di qualità per il suo popolo, un ambiente sano, sicurezza sociale e un modello economico che affronti l’ineguaglianza e i costi della vita attuali. Lo status quo non è un opzione. Un mutamento radicale è necessario per costruire un progetto per un futuro in cui tutti gli Europei possano credere».

Parole chiare, paradossalmente ispirate agli europeisti della sinistra britannica che hanno scelto come parola d’ordine: «Per un’altra Europa». Il Pd di Nicola Zingaretti è disposto a farle proprie, a portarle nelle piazze, a tradurle in opposizione a questo governo e a coloro che, puntando alle politiche, vogliono insediare un governo Salvini, o preferisce abbandonarle nei meandri di internet, continuando ad inseguire quelli che dovrebbero essere i suoi avversari politici? E i suoi candidati, Calenda compreso? La domanda non è retorica, perché l’ambiguità è reale.

Seconda domanda, rivolta alla c.d. sinistra radicale – altro paradosso – più in sintonia con il manifesto del Pse: è capace di produrre una proposta elettorale unitaria tra le sue componenti, che non rappresenti una mera contrapposizione al Pd – con cui dovrà allearsi a livello europeo – o, peggio, una dispersione di voti (la soglia, come noto, è al 4%; ben oltre quanto conseguito da LeU, il 4 marzo)? È capace di fondere in un’alleanza verdi e sinistra almeno a parole?

Poiché è alto il rischio che al silenzio politico e programmatico della sinistra italiana, nelle sue diverse articolazioni, seguano delle semplici liste di candidati, l’elettorato in attesa potrebbe formulare due semplici richieste.

1) Che ciascuno di essi renda pubblico qualsiasi finanziamento elettorale superiore ai 1000 euro. E, per favore, che nessuno accampi la c.d. privacy per sottrarsi ad una regola che i democratici statunitensi stanno già mettendo in pratica!

2) Che ciascun candidato dichiari le proprie appartenenze associative, quali che esse siano, come elemento di giudizio a disposizione dell’elettore.

Posso sbagliarmi, ma credo che molti di noi elettori, orfani di partito, sceglieremo sulla base delle risposte a questi o simili interrogativi e conseguenti richieste.