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Sinistra e governo. Ieri Salvini ha detto che è «il momento del coraggio e delle decisioni». Non ha aggiunto «irrevocabili», ma perché non lo diventino le parole delle opposizioni di sinistra devono trasformarsi in concreti atti politici

Nicola Zingaretti, segretario del Pd

Tutti al mare, niente crisi, se ne riparlerà in autunno quando si aprirà la scatola nera della legge di bilancio che nessuno sa dire se regalerà all’Italia un nuovo braccio di ferro di Salvini con l’Europa.

Il capo leghista ha appena incassato un decreto sicurezza contro ogni trattato internazionale e contro gli stessi capisaldi della Costituzione. Le sue spallate agli equilibri istituzionali sono continue e poderose, e mentre si appresta all’abbuffata propagandistica nelle devastate regioni meridionali, mentre convoca a suo piacimento le parti sociali, vuole un altro trofeo parlamentare a favore del Tav.

Naturalmente per ottenerlo i suoi voti contro quelli dei 5Stelle non bastano e il colmo sarebbe di ritrovarsi il Pd come alleato.

Per sventare l’imbarazzante epilogo, Nicola Zingaretti ha aperto bocca per dire una cosa giusta, avanzando la proposta di non presentare la mozione di partito e magari di uscire dall’aula. Ma poi l’ha richiusa subito per non dare troppo disturbo ai giochini parlamentari dei renziani.

Che presenteranno la loro mozione pro-Tav, se la faranno votare dalla Lega (come già preannunciato), votando contro quella dei 5Stelle. In pratica faranno da stampella alla maggioranza che ogni giorno dicono di voler smantellare per salvare il paese dalla catastrofe.

Sensatamente il segretario del Pd proponeva di uscire dall’aula proprio per mettere in difficoltà il governo. Se il voto, per ragioni trasversali (non ultimo il caos di Forza Italia) fosse alla fine contro il Tav, almeno le minacce ossessive di crisi e di elezioni dietro l’angolo ostentate da un Salvini sempre più gonfio e paonazzo da spiaggia, si rivelerebbero per quel che sono, un grande bluff. Oltre che una continua, pesante e grave messa in mora delle prerogative del Quirinale.

Ma l’esiziale accerchiamento renziano del Pd (dominus degli attuali assetti parlamentari) per essere affrontato a viso aperto richiederebbe un segretario che non sceglie di ritirarsi in buon ordine dietro l’alibi dell’autonomia dei parlamentari («l’autonomia dei gruppi è sovrana»).

In questo momento servirebbe un segretario deciso a chiamare gli organismi dirigenti del partito a pronunciarsi su chi è a favore e chi contro la sua proposta di non partecipazione all’ennesima sceneggiata di wrestling tra 5Stelle e Lega.

Perché se l’obiettivo di spaccare questa maggioranza non è un’altra carta falsa del Pd, se davvero si volesse avviare nel paese una campagna elettorale di sfida con i pentastellati terremotati dai diktat balneari dell’alleato, bisognerebbe agire di conseguenza.

Una sfida sulle riforme sociali, sull’unità del paese, su una battaglia transnazionale dentro le forze democratiche, di sinistra, ecologiste europee, e, non da ultimo, di messa all’opposizione della destra fascistoide.

Un argine contro lo smottamento delle classi più sofferenti abbandonate dalla sinistra. Non sarebbe un cattivo programma su cui chiedere un nuovo consenso.

Ieri Salvini ha detto che è «il momento del coraggio e delle decisioni». Non ha aggiunto «irrevocabili», ma perché non lo diventino le parole delle opposizioni di sinistra devono trasformarsi in concreti atti politici. Lo sfascio istituzionale del paese è sotto gli occhi di tutti, a cominciare da quelli del Presidente della Repubblica.