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Per fermare il declino serve un’operazione di verità

di Michele Prospero dal blog strisciarossa

Fu nel crollo traumatico registrato dalla partecipazione nelle consultazioni regionali del 2014 che si consumò il vero, forse irreversibile declino del Pd. A seguito delle reazionarie legislazioni sul lavoro (dal jobsact alla cancellazione dell’articolo 18), varate dal governo guidato dal segretario del Pd, l’elettorato un tempo rosso preferì la fuga immediata. Persino Gianni Morandi allora si diede alla diserzione. Anche adesso che Renzi ha lasciato il Nazareno per tentare un’esperienza più consona alle sue credenze conservatrici di fondo, nel Pd prevale la rimozione della rottura radicale con il mondo del lavoro.

L’Emilia espugnabile
Nei giorni passati a Bologna per rinfrescare qualche idea da cui ripartire, di tutto si è parlato tranne che del vero nodo che ha reso espugnabile dalla destra sovranista anche le civili terre che hanno ospitato una quasi secolare subcultura rossa che ha inventato grandi modelli di società. Come si fa a difendere la bella fortezza assediata dai barbari con le camicie verdi senza fare i conti con la ferita che proprio dall’Emilia è stata inferta sulle tradizioni ideali del movimento operaio?

Non si può ricominciare senza affrontare, assieme alle responsabilità enormi del fiorentin fuggiasco, anche le complicità non meno distruttive riconducibili alla figura di Poletti. Già segretario di una federazione comunista, e poi presidente delle Coop, è stato il campione dell’ortodossia liberista nel governo Renzi. La sua parabola svela meglio di ogni altra cosa che le Coop sono diventate ben altra maschera rispetto alla straordinaria esperienza associativa che negli anni ’50 ebbe l’impulso dei militanti socialisti e comunisti licenziati dai padroni.  Con Poletti si avverte l’eco più dell’oltranzismo dell’impresa capitalistica che una memoria di cose archiviate. E questo come può non pesare?

La resistenza delle sardine
Davvero si può tenere l’Emilia e ricominciare un nuovo percorso politico della sinistra senza questo prioritario discorso di verità? Certo, il laboratorio tosco-emiliano contiene ancora grandi residui di esperienze di mobilitazione e di organizzazione politica. La bella manifestazione di piazza delle sardine è impensabile senza la vitale storia politica delle regioni rosse che si aggrappano alle loro ultime riserve e resistono all’estremo prima di consegnarsi alla destra. E però si tratta di un fenomeno prevalentemente cittadino, e entro le mura della città, si parla di una mobilitazione dei ceti informati, istruiti.

Resta lo stato cronico di abbandono dei ceti sociali colpiti dalla crisi che hanno maturato una coscienza di classe all’incontrario, e cioè hanno deciso l’appoggio ai partiti della destra populista e padronale per colpire con maggiore accanimento il tradimento della vecchia sinistra che li snobba e si rinchiude nel mondo etereo dei valori. La straordinaria vitalità della società civile “rossa” potrà nell’immediato scacciare i barbari padani e però la questione strutturale resta immutata.

Il non-partito senza memoria
L’equivoco del Pd va rimosso, non è la risposta

a problemi di cui semmai la formazione nata al Lingotto è stata la causa, e non tutto delle sue disavventure poco gloriose è scaricabile sulle spalle del giglio magico.

Lo smantellamento organizzativo, la chiusura dei circoli, l’abbandono del territorio, nel quale oggi penetra indisturbata la destra nelle sue scorribande incivili, hanno una storia antica che coinvolge nel tempo le responsabilità di molti gruppi dirigenti. Così come remota è la rottura con ogni lettura di classe della società della conoscenza e l’approdo ad una mistica aconflittuale che insegue i buoni sentimenti e si nutre con i pensieri saggi di chi è abbastanza appagato per poter trascendere le paure. Per non parlare della rimozione di memoria e identità che non sono operazioni chirurgiche folli imputabili al Renzi che si irrita dinanzi ai militanti che osano accennare a bandiera rossa.

Il partito democratico ab origine è un soggetto che nei raduni non ha canzoni, colori, inni otre quello di Mameli. E’ quindi un non-partito, un cartello elettorale peraltro votato alla sconfitta.
La resistenza che la piazza tosco-emiliana invoca non può limitarsi alla chiamata alle armi con un più che giustificato grido d’allarme dinanzi al pericolo, deve imporre subito una ricostruzione della sinistra e del socialismo italiano. Solo con un processo di ripensamento delle categorie, delle strutture, dei gruppi dirigenti il crollo non arginato dell’ottobre 2014 può tramutarsi nel prossimo gennaio in una operazione di reinterpretazione critica della società italiana.

Giunti a questo immenso grado di involuzione democratica, non ci sono alternative alla reinvenzione di una tradizione per operare una nuova sintesi egemonica tra le tante sinistre altrimenti disperse, camaleontiche, impotenti perché senza grande pensiero.

(20 novembre 2019)