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Crisi migratoria . Da condannare sia l’uso strumentale dei migranti da parte bielorussa, sia il violento il respingimento polacco vietato dalle leggi internazionali e dalle Direttive europee

Grodno, sul confine tra Bielorussia e Polonia

 

 Grodno, sul confine tra Bielorussia e Polonia  © Ap

Al confine tra Bielorussia e Polonia si confrontano due comportamenti illegali. Da un lato un dittatore che usa migliaia di persone per ottenere un obiettivo favorevole al suo regime: l’azzeramento delle sanzioni; dall’altro il governo polacco, sostenuto dall’Unione europea, che cancella il diritto d’asilo e i diritti umani, in nome della difesa della frontiera. L’attacco all’Europa arriva niente di meno che da poche migliaia di profughi, non armati né pericolosi, ma bisognosi di protezione.

Uomini, donne, bambini e bambine, provenienti in gran parte da quell’Afghanistan, la cui sorte disastrosa ci ha tanto commossi ad agosto, e dalla Siria, dove una tregua nella guerra non c’è mai stata e non sono finite le persecuzioni e le violenze.

I GOVERNI EUROPEI, anche quelli che si professano a parole contrari al sovranismo e ai muri, si indignano per il cinismo di Lukashenko, ma sorvolano sulle violenze dei militari polacchi e, anzi, intervengono a sostegno del governo di Varsavia, come se i getti d’acqua fredda o le manganellate europee le prendesse il dittatore bielorusso e non persone inermi alle quali l’Unione europea dovrebbe garantire, per legge, il diritto d’asilo. Tra l’uso strumentale dei profughi, sottoposti a violenze dalla polizia bielorussa, e il respingimento vietato dalle leggi internazionali e dalle Direttive europee, attuato con violenza dall’esercito polacco, non è possibile fare una graduatoria e bisognerebbe condannare entrambi senza se e senza ma.

L’Unione europea si trova sotto ricatto, come è già successo peraltro nel recente passato con Erdogan, e rischia di restare schiacciata dalle sue stesse contraddizioni, perché ha scelto l’ideologia dei muri e non i principi del diritto internazionale ed europeo.

IL PATTO EUROPEO immigrazione e asilo, una vergognosa resa alla xenofobia della destra europea, è costruito intorno all’idea che bisogna impedire di arrivare in Europa, finanziando sistemi di controllo e strumenti per respingere le persone. Se Lukashenko accettasse l’aiuto europeo, come ha fatto la Turchia, per bloccare i richiedenti asilo lontano dalla frontiera europea, i governi sarebbero disponibili a dimenticare non solo la sorte dei profughi, ma anche quella dei diritti umani e della democrazia in quel Paese.

È bene ricordare che le poche migliaia di persone che oggi sono bloccate alla frontiera bielorussa sono disposte a rischiare la vita per arrivare in Europa e mettersi in salvo, per l’assenza di altre vie di fuga dalla violenza e dalla morte: la loro è una scelta obbligata, determinata dalla ideologia proibizionista degli Stati dell’UE che impediscono a chi vorrebbe cercare protezione di farlo viaggiando in sicurezza e legalità.

Il protocollo per i corridoi umanitari per gli afghani e le afghane, che come Arci abbiamo firmato il 4 novembre scorso, insieme a Comunità di S.Egidio, CEI/Caritas Italiana e FCEI, con il nostro governo, è una goccia nel mare della disperazione che oggi ci vede inermi di fronte a chi rischia ogni giorno la vita in quel Paese per mano dei talebani o dell’ISIS, con un progressivo disinteresse della comunità internazionale.

CI SIAMO IMPEGNATI a nostre spese, con il contributo determinante dei circoli rifugio Arci, ad accogliere un primo nucleo di persone, in particolare donne, che oggi vivono nascoste in case protette e rischiano ogni giorno che passa di diventare vittime dell’oscurantismo violento che ha preso il potere in Afghanistan.

Non vorremmo farlo, anche se pensiamo che sia giusto fare qualsiasi cosa per salvare degli esseri umani abbandonati dalla comunità internazionale, e vorremmo che queste persone fossero tratte in salvo dai governi e che l’Unione europea mettesse in campo una straordinaria operazione di evacuazione di tutti coloro che rischiano la vita. Ma a mobilitarsi in questi mesi, dopo la crisi di agosto, è stata soprattutto la società civile, le organizzazioni sociali e le reti associative, senza le quali non sarebbe possibile costruire una via di fuga.

La responsabilità che i governi non mostrano di volersi assumere deve spingere chi come noi opera nella società a scelte straordinarie, che rappresentino da un lato un esempio, come i corridoi umanitari, mostrando che si può fare, e dall’altro obblighino i decisori politici a confrontarsi con quella parte di società che non intende arrendersi alla violenza dei muri e alla violazione dei diritti umani in Paesi dell’Unione europea.

MA NON VOGLIAMO fermarci a questo. La cultura dei diritti nella quale crediamo, va difesa anche con azioni dirette. Nelle prossime settimane l’Europa dei diritti e dell’accoglienza, le associazioni, le reti e i movimenti, si mobiliteranno per prendere la parola e fare arrivare un messaggio da un lato ai governi e dall’altro ai profughi: noi non ci stiamo, non ci arrendiamo alla violazione dei diritti umani e non ci fermeremo finché non verrà ripristinata la legalità anche alle frontiere.