Stampa

Nuova retromarcia del governo che sceglie di opporsi alla presidente della Commissione. Ma la battaglia no-Nuke è ancora in salita

Una settimana dopo avere ipotizzato l’astensione sull’inserimento del nucleare tra le tecnologie di transizione dell’Ue il governo Scholz torna sui propri passi. «La dichiarazione di voto della Germania a Bruxelles conterrà un chiaro No all’inclusione dell’energia atomica nella tassonomia europea» scandisce Steffi Lemke, ministra dell’Ambiente dei Verdi, ai microfoni della televisione pubblica Ard.

UNA RETROMARCIA innestata «all’unanimità» da tutti i ministri della coalizione Semaforo, nonostante per Berlino il blocco della proposta pro-nucleare continui ad avere scarse possibilità di successo.
Comunque, ieri la Germania ha scelto di opporsi esplicitamente alla linea incarnata dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, con l’appoggio in primis del governo Macron, pronto a incassare miliardi di euro in finanziamenti comunitari per le 56 centrali atomiche operative in Francia.

«La netta opposizione del nostro Paese è una buona notizia. Verrà ufficializzata nei prossimi giorni e poi trasmessa a Bruxelles per la decisione finale sulla tassonomia» fa sapere la ministra dei Grünen. Ben consapevole, però, che il «Nein» di Berlino rischia di ridursi a una posizione meramente di bandiera dato l’isolamento politico della Germania in Europa.

In buona sostanza «il voto sul nucleare al Consiglio Ue sarà possibile solamente se un numero sufficiente di Stati membri solleverà obiezioni al testo promosso dalla Commissione. Tuttavia devo ammettere che questa possibilità oggi non è per niente elevata» confessa Lemke.

INFATTI per fermare il via libera ai finanziamenti a pioggia sul nucleare servirebbe il consenso di almeno 20 dei 27 Paesi Ue con il 65% della popolazione europea o in alternativa la maggioranza assoluta dell’Europarlamento. In Germania nessuna delle due ipotesi viene ritenuta effettivamente praticabile.

Non a caso ieri il governo Scholz ha cominciato, per la prima volta, a denunciare senza mezze misure l’obiettivo climatico «rovinato dai piani della Commissione Ue», mentre Lemke preannunciava il devastante effetto della vittoria dei nuclearisti: «La principale minaccia per la transizione ecologica è che il denaro pubblico e privato verrà incanalato in tecnologie problematiche e non, come sarebbe urgente, verso le energie rinnovabili e la nuova economia dell’idrogeno» è la logica conseguenza già squadernata sul tavolo del suo dicastero.

DI FATTO ALLA GERMANIA non rimane che restare a guardare, anche se a Berlino si continuano a sperare in una svolta dell’ultima ora nel dibattito sul nucleare al di fuori dei confini nazionali. A partire dal governo di Roma spaccato in due e dagli eurodeputati italiani tra cui, con buona pace del ministro Cingolani, si moltiplicano gli endorsement alla posizione tedesca.

«Condividiamo il No della Germania confermato ieri dalla portavoce della delegazione a Bruxelles, Susanne Körber. La decisione del governo Scholz, che fino a qualche giorno sembrava propendere per l’astensione in Consiglio, di fatto riapre i giochi, come dimostra la decisione della Commissione Ue di posticipare la data della presentazione del documento sulla tassonomia. Ora il governo italiano segua l’esempio tedesco comunicando all’Ue il suo parere basato su una tassonomia davvero sostenibile. È l’unica strada da seguire se vogliamo garantire bollette sostenibili e l’indipendenza energetica» è la nota diffusa ieri da Tiziana Beghin, capogruppo del Movimento 5 Stelle all’Europarlamento.

MA OLTRE al nucleare a Bruxelles si gioca anche la fondamentale partita sul gas, complessa non meno dello scontro sull’atomo. Il governo di Spd, Verdi e liberali non ha bandito la fonte fossile nell’accordo di coalizione e, nonostante le minacce a Mosca per la crisi ucraina, il gasdotto russo-tedesco «Nordstream-2» rimane bloccato «solo per motivi tecnici» come ha ribadito il presidente della Spd, Kevin Kühnert. E proprio sul gas ieri la ministra Lemke ha tenuto a precisare che anche se la Germania lo utilizzerà come tecnologia ponte verso transizione «non è affatto necessario applicare a questa energia l’etichetta verde dell’Europa».