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CRISI UCRAINA. Zelensky chiede «aiuti senza eccezioni», Stoltenberg mette in guardia dal rischio escalation. Lavrov: il piano italiano è «poco serio»

Kiev vuole più armi. La Nato frena Un soldato ucraino a Soledar, nella regione di Donetsk - Ansa

A oltre tre mesi dall’invasione russa in Ucraina la pace è ancora un miraggio. Le analisi sui possibili scenari si moltiplicano parallelamente all’evoluzione del contesto bellico, ma ogni conclusione sembra annegare nell’incertezza riassunta in modo lapidario dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, nella frase «nessuno può dire con certezza quando e come finirà questa guerra». A margine della conferenza internazionale di Davos, Stoltenberg ha inoltre esortato i paesi del Patto Atlantico a «sostenere ulteriormente l’Ucraina nella ‘guerra di logoramento’ contro la Russia», fornendo armi ma ammonendoli sull’importanza di «evitare un’escalation» che potrebbe portare la Russia a considerare la Nato come un belligerante.

IN QUEST’OTTICA andrebbe considerata la notizia diffusa ieri dal quotidiano tedesco Die Welt, secondo il quale i membri della Nato avrebbero concordato informalmente di non fornire all’Ucraina aerei da combattimento e carri armati per evitare eventuali ritorsioni russe. D’altronde, il giorno prima Israele aveva già respinto la richiesta degli Stati uniti di consentire alla Germania di inviare missili anti-carro Il veto di Gerusalemme deriva dal fatto che tali missili, sebbene prodotti sul suolo tedesco, adoperano tecnologie israeliane protette da licenze. Come molti analisti hanno sottolineato, il rifiuto di Israele nascerebbe dalla volontà di tenersi il più possibile neutrale rispetto al conflitto in corso per evitare di compromettere i propri interessi in Siria. Posizione simile, per certi versi, a quella della Turchia che, tuttavia, secondo alcune indiscrezioni, avrebbe offerto a Mosca e Kiev di far passare gli oltre 20 milioni di tonnellate di grano bloccati nei porti ucraini attraverso il proprio territorio.

SUL PIANO DIPLOMATICO, il timido ottimismo suscitato dall’annuncio di un “piano italiano” per la pace è subito stato smorzato dalle reazioni russe che prima hanno negato di aver ricevuto alcunché e poi, tramite le dichiarazioni del ministro degli esteri Sergei Lavrov, hanno derubricato la proposta a «poco seria». Secondo le agenzie di stampa, l’accordo prevederebbe un cessate il fuoco, colloqui sullo «status internazionale» dell’Ucraina, ovvero sulla sua neutralità, un accordo bilaterale tra Kiev e Mosca sulle aree contese della Crimea e del Donbass e un accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa. Tuttavia, Lavrov, forse riferendosi alla proposta di riportare i territori separatisti sotto la sovranità ucraina, ha sottolineato che «ciò che appare sui media provoca un sentimento di dispiacere». Il governo russo ha più volte dichiarato di aspettarsi che Kiev accetti le sue richieste, comprese le rivendicazioni sui territori occupati e ieri, il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, ha fatto sapere chiaramente che «i territori occupati dalla Russia non sono concessioni territoriali». Dal canto suo, l’Ucraina continua sulla linea della fermezza ed esclude a priori ogni rinuncia territoriale.

IL RAFFREDDAMENTO dell’entusiasmo occidentale rispetto alle forniture di armamenti non è stato ignorato dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, che nella cornice di Davos si è espresso duramente sui bisogni bellici del suo Paese, ricordando che prima dell’inizio della guerra «nessuno era pronto al coraggio ucraino». «Proprio per questo» ha continuato Zelensky «abbiamo ancora bisogno dell’aiuto dei partner e, soprattutto, di armi per l’Ucraina; un aiuto completo, senza eccezioni, senza restrizioni, è sufficiente per vincere». Tutt’altro registro è stato adottato, invece, per descrivere la situazione sul fronte orientale del Donbass, dove i russi «stanno attaccando in modo aggressivo e, in molte aree, sono superiori al nostro esercito per numeri e mezzi». Qui l’esercito russo non sta riscontrando gli stessi problemi che lo avevano reso tristemente noto agli occhi del mondo durante i primi mesi di guerra, soprattutto dal punto di vista della linea di rifornimento. La vicinanza del territorio russo, infatti, consente rifornimenti costanti e invio di rinforzi, il che contribuisce a mettere in inferiorità le truppe dei difensori che, sembrerebbe, stanno optando per una serie di ritirate strategiche per salvaguardare le proprie linee di approvvigionamento.

TRA L’ALTRO, è significativo notare che proprio ieri il leader della repubblica separatista di Donetsk ha rilasciato un commento all’agenzia russa Ria Novosti nel quale ha detto che un cosiddetto «referendum» per l’unione del suo territorio e di quello del Luganks alla Federazione Russa si terrà solo se le forze russe cattureranno l’intero territorio dei due oblast che al momento è in larga parte sotto il controllo di Kiev. L’impressione è che dal Cremlino sia arrivato un rigido stop alle mosse politiche “spontanee” che potrebbero compromettere la strategia russa nei territori occupati, in modo particolare a seguito del nuovo decreto sulla concessione dei passaporti firmato da Putin mercoledì. La contromossa ucraina non si è fatta attendere. Ieri Zelensky ha dichiarato pubblicamente di sostenere la petizione per l’introduzione di visti speciali per i russi che decidano di rifugiarsi in Ucraina, anche a guerra in corso.