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L'ANALISI DELL’ISTITUTO CATTANEO. Il bacino elettorale dei 5S dimostra «limitata fedeltà» e «limitata prevedibilità»

Riecco il bipolarismo. Il centrosinistra regge trainato dal Pd, il centro latita Carlo Calenda - Lapresse

Il giro di elezioni comunali che precede di qualche mese le politiche, benché circoscritto e con poche grandi città chiamate alle urne, ha sempre offerto qualche indicazione su quello che sarebbe poi successo con la chiamata nazionale. Nel 2012 si registrarono le prime imprese del M5S (che nel 2013 sarebbe esploso), nel 2017 si vide bene la crescita dei candidati della Lega di Salvini (che avrebbe poi raccolto nel 2018, divenendo primo partito del centrodestra). Questa volta la situazione è più difficile da leggere: l’affluenza, calata di qualche punto (dal 60,12% del 2017 al 54,79% di domenica), ha giocato un ruolo importante nella redistribuzione dei voti, ma le analisi dei flussi riguardano soprattutto la nascita di un nuovo bipolarismo, sia pure viziato da qualche sorpresa e qualche scheggia impazzita.

L’Istituto Cattaneo, prendendo in esame le sei maggiori città al voto, traccia i principali cambiamenti tra la tornata

del 2017 e l’ultima. Oltre ai dettagli locali, le indicazioni di carattere nazionale che ne emergono sono abbastanza incoraggianti sia per il centrodestra sia per il centrosinistra, e molto meno per il M5S e per l’eventuale cosa di centro che potrebbe nascere tra i due poli.
Per quello che riguarda il partito di Conte, il Cattaneo parla di «limitata fedeltà» e di una «limitata prevedibilità» del suo bacino elettorale. Ovvero, l’elettore del M5S non ha quasi mai seguito le indicazioni del suo leader, preferendo rifugiarsi nell’astensione o, come nello strano caso di Palermo, convergere sul candidato centrista Fabrizio Ferrandelli (sponsorizzato da Calenda). Un elettorato in qualche modo liquido che ha già dimostrato in passato di muoversi in maniera molto variegata nel passaggio dalle amministrative alle politiche: in questo caso, però, il confronto con le altre comunali è impietoso e la perdita di consensi si vede ovunque.

Il centrodestra può invece tirare un sospiro di sollievo, anche rispetto ai brutti quarti di luna delle amministrative dell’anno scorso. «Se in passato si è osservata una tendenza netta dell’elettorato di centrodestra a disertare il voto – si legge nel rapporto del Cattaneo -, nel 2022 questo non si è verificato, a indicare probabilmente un maggiore ottimismo sui possibili risultati dei candidati della propria parte». La guida della coalizione è ormai in mano a Fratelli d’Italia, che ha superato la Lega non solo al centro e al sud ma anche in diverse città del nord.
Per il resto, a livello generale, si nota come il centrosinistra regga un po’ ovunque ma sia trainato sostanzialmente solo dal Pd o, al massimo, da qualche lista civica di sua derivazione, mentre sia il centro sia la sinistra non fanno registrare scossoni degni di nota, salvo che a Palermo, a L’Aquila e, in misura minore, a Parma: anche qui, comunque, la componente civica si è quasi sempre dimostrata più forte di quella ascrivibile ai partiti. Dall’analisi dei dati, in sostanza, non si capisce bene la ragione dell’entusiasmo di Carlo Calenda per i risultati raccolti.

A livello strettamente locale, come fa notare l’istituto Swg, nell’exploit di Damiano Tommasi a Verona (miglior risultato per un candidato del centrosinistra in città dal 2002), un 16% del suo elettorato proviene da chi non aveva mai votato in precedenza e, inversione di tendenza rispetto a tanti altri casi recenti, la maggior parte dei suoi consensi arriva dalla fascia di età 18-34 anni (il 47% dei giovani veronesi ha scelto l’ex calciatore) e dai lavoratori autonomi (41%). La stessa cosa vale per il candidato del centrosinistra a Parma, Michele Guerra, che si impone tra i giovani (54% tra i 18-34 anni e 51% tra i 35-44 anni) e nel ceto medio-basso (37% contro il 24% dello sfidante Vignali).

Indicativo, infine, il dato di Palermo: il vincitore Roberto Lagalla si impone nettamente in tutte le fasce d’età e in tutti i ceti sociali, incassando anche un 47% di voti tra chi non aveva mai votato in precedenza e un non trascurabile 6% tra chi in passato aveva scelto il centrosinistra. Lo sconfitto Franco Miceli del centrosinistra, finito 20 punti sotto, sembra non essere riuscito a convincere più di tanto nemmeno i suoi elettori: il 59% di chi lo ha votato dichiara di averlo fatto perché lo ritiene «il meno peggio» e solo il 41% riteneva che fosse «un buon candidato» di per sé.