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CONGRESSO UILM. Sindacati all'attacco, imprese sulla difensiva: Stellantis e Bernabè contestano le normative europee

«Per la transizione ecologica serve ridurre l’orario a parità di salario» Il tavolo sull'auto al ministero dello Sviluppo - Foto LaPresse

Sono ben 280 mila i lavoratori del settore automotive «impattati» dalla transizione ecologica. I più a rischio sono quelli del settore componentistica: per fare un’auto elettrica servono infatti la metà dei componenti rispetto agli attuali e dunque la percentuale di impatto rispetto alle attuali mansioni dei 75 mila lavoratori del settore è stimata nel 70%. Per loro cambiare «profilo professionale» sarà indispensabile per continuare a lavorare. Il loro «ricollocamento» è una sfida sociale portentosa, così come l’«aggiornamento» (che dovrebbe bastare per il 24% dei lavoratori) e la «riqualificazione» che dovranno affrontare il 19% di loro. I dati del centro di ricerca di Està (Economia e sostenibilità) sono stati la base di partenza del dibattito nella seconda giornata del congresso della Uilm all’Ergife di Roma.

Uno dei massimi esperti in materia di transizione ecologica, il professor Leonardo Becchetti di Roma Tor Vergata ha subito spiegato che «le stime sui costi occupazionali della transizione dipenderanno soprattutto dalle politiche pubbliche che la accompagnano: è l’intervento dei governi a determinarli».

«Su questa sfida epocale che mette paura ai lavoratori il sindacato vuole giocare all’attacco – ha esordito il segretario generale della Uilm Rocco Palombella – perché lo stop ai motori endotermici decisa dalla Ue e il passaggio all’elettrico è una tagliola ineluttabile e per questo proponiamo la riduzione di orario a parità di salario: così le aziende occuperebbero i lavoratori in esubero riducendo l’utilizzo degli ammortizzatori sociali – continua Palombella – . Questo circolo virtuoso determinerebbe un risparmio per lo Stato che con le risorse accumulate alleggerirebbe il costo del lavoro aggiuntivo per le aziende», sottolinea Palombella.

In difesa invece, nonostante i proclami, giocano le aziende. Se il presidente di Acciaierie d’Italia Franco Bernabè si è limitato a stucchevoli attacchi a Greta Thunberg considerando «ideologica» e «da Unione sovietica la normativa del Fit for 55 sulla riduzione di CO2», il responsabile italiano di Stellantis Davide Mele ha sostenuto che «il nostro piano che abbraccia l’elettrico in maniera completa e anticipa il target del 2035 al 2030 per essere tra i vincitori, di questa sfida epocale», ma ha però subito messo le mani avanti: «I costi di questa trasformazione tecnologica sono elevati, il 50% in più a parità di segmento, e per affrontare questa sfida vengono richiesti enormi investimenti», contestando poi la «legislazione euro 7 che obbliga le aziende in realtà già nel 2027 a far morire il motore endotermico».

L’Italia da questo punto di vista è il paese europeo più indietro. Solo dopo la storica protesta che ha messo assieme Federmeccanica e sindacati contro l’inerzia del ministro Giorgetti sul tema lo scorso febbraio, il governo Draghi ha stanziato 8 miliardi in 10 anni, tutti ancora sulla carta. «Negli anni abbiamo perso migliaia di posti di lavoro a partire da Gianetti ruote e Gkn: ora basta! Vogliamo discutere le nostre proposte con il futuro governo», conclude Palombella