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MEDITERRANEO. Ong, avvocati, docenti, un ex magistrato, un ammiraglio in congedo e la Cei contro il provvedimento che limita i soccorsi nel Mediterraneo. In corso le audizioni nelle commissioni parlamentari per i pareri tecnici

«Il decreto Piantedosi è incostituzionale, non convertitelo in legge» Salvataggio della Ocean Viking - Michael Bunel / Sos Mediterranée

Il decreto Piantedosi sui flussi migratori «potrebbe essere dichiarato incostituzionale dalla Consulta in qualsiasi istante». A dirlo è il professore di diritto dell’università Bicocca Paolo Bonetti, ascoltato ieri durante le audizioni delle commissioni Affari costituzionali e Infrastrutture. Il provvedimento dovrà essere convertito in legge entro il 3 marzo, in questa fase i gruppi parlamentari stanno ascoltando soggetti qualificati a dare contributi tecnici. Gli inviti sono partiti soprattutto dalle opposizioni.

Dura condanna delle scelte del Viminale è stata ribadita da monsignor Gian Carlo Perego, presidente di Fondazione Migrantes e Commissione Cei per le migrazioni. «Il provvedimento va abrogato – afferma – Se si vuole combattere il traffico di esseri umani l’attenzione va portata sul rinnovo del memorandum con la Libia piuttosto che sull’azione delle Ong». Per Roberto Zaccaria, presidente del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), «non è emendabile e non può essere convertito in legge».

I punti problematici sono diversi, a partire dall’assenza dei requisiti di necessità e urgenza previsti dalla Costituzione per simili provvedimenti. Le critiche si concentrano su due elementi. «Il primo dubbio riguarda la territorialità del diritto», afferma l’avvocato Stefano Greco, per la Casa dei diritti sociali, riferendosi alla mancanza di giurisdizione italiana sulle navi straniere che navigano in acque internazionali.

Un aspetto su cui insiste anche la docente di diritto internazionale dell’università Cattolica Francesca De Vittor: «Non si possono imporre competenze al capitano della nave di un altro paese che si trova in alto mare». Una di queste sarebbe informare i naufraghi sull’asilo e, nel caso, raccoglierne le domande. Unhcr, per bocca di Chiara Cardoletti, è d’accordo sul primo aspetto ma ritiene problematico che la procedura possa essere avviata a bordo. L’agenzia Onu sostiene però che la responsabilità sugli sbarchi dalle navi Ong debba essere condivisa tra Stati costieri e di bandiera. Un tema molto caro al governo Meloni, anche se lo smacco ricevuto dalla Francia sul caso Ocean Viking sconsiglia di sfidare i partner Ue.

L’altro elemento critico del decreto è il divieto dei soccorsi multipli. Cioè l’idea del governo italiano che le navi si dirigano verso i porti assegnati dopo il primo soccorso «senza ritardo», nemmeno in caso di Sos aperti. «Non si può obbligare l’omissione di soccorso», avverte l’ex magistrato Armando Spataro, che poi smentisce le dichiarazioni di Piantedosi sui presunti rapporti Ong-trafficanti: «non esiste un solo caso in cui siano stati provati». Per Riccardo Magi, deputato di +Europa, «se un comandante farà salvataggi multipli a essere condannato sarà il decreto».

Filippo Miraglia, responsabile Arci immigrazione, ritiene che il provvedimento si basi su una «bugia pubblica»: l’Italia lasciata sola dall’Ue. In realtà si tratta di «un Paese che si fa carico di un numero di richiedenti asilo inferiore alla media europea». L’ammiraglio in congedo della guardia costiera Vittorio Alessandro, a nome del comitato per il diritto al soccorso di cui fanno parte anche De Vittor e Spataro, ha sottolineato come de facto il decreto «non abbia ancora trovato applicazione, sebbene sia stato emanato in via d’urgenza. Si tratta di un strumento sostanzialmente sanzionatorio».

Infatti, prima della sua introduzione, a cambiare le carte nel Mediterraneo è stata la nuova prassi del Viminale: porti subito dopo il primo soccorso ma lontanissimi. Una tattica che rimarrebbe in vigore anche se il decreto andasse a sbattere contro la Costituzione o le Convenzioni internazionali. Per Spataro, però, il governo deve stare attento: spedire le navi Ong, e solo loro, a centinaia di chilometri apre a possibili richieste di risarcimento danni