Stampa

IL CASO. Varato l'«assegno di inclusione» al posto del «reddito di cittadinanza» e arriva un'altra spinta ai contratti precari. I dipendenti con 35 mila euro di redditi avranno fino a 100 euro in più, già bruciati dall'inflazione, poi più nulla

Approvato il «decreto lavoro»: parte la caccia ai poveri «non meritevoli» La presidente del Consiglio Giorgia Meloni con la ministra del lavoro Marina Calderone - LaPresse

La provocazione è arrivata all’ultima stazione. Ieri la Camera ha convertito in legge il cosiddetto «decreto lavoro» varato dal consiglio dei ministri il primo maggio scorso con 154 voti a favore, 82 contrari e 2 astensioni. Secondo l’ufficio parlamentare di bilancio saranno all’incirca 400 mila famiglie che hanno beneficiato del «reddito di cittadinanza», cioè di un sussidio di ultima istanza vincolato formalmente a formazione e lavoro obbligatori, a rischiare di perderlo perché tra i loro membri c’è almeno un «occupabile».

Il taglio dovrebbe avvenire dal primo gennaio 2024 quando dovrebbe entrare in vigore l’«assegno di inclusione» che, di base, mantiene l’impianto del Workfare progettato dai Cinque Stelle e dalla Lega durante il governo «Conte 1». Il governo Meloni lo peggiorerà significativamente, facendo partire la caccia agli «occupabili» reputati in maniera infondata come dei «renitenti» a un lavoro che non possono svolgere perché al 70% esclusi dal mercato da almeno tre anni. In questo caso il sussidio sarà inferiore a quello attuale (da 540 euro medi a 350). Sarà più breve (da 18 a 12 mesi non rinnovabili) e in più sarà vincolato alla frequentazione di corsi di formazione che probabilmente non partiranno. O se lo faranno produrranno effetti tutt’altro che emancipativi. Dunque, non solo sarà selettivo, ma anche condizionato e colpevolizzante. Per tutti gli altri «poveri assoluti» sarà mantenuta la stessa logica restrittiva, ed escludente, ideata dal pentaleghismo e sostanzialmente accettata dal populismo compassionevole che ha colonizzato anche una «sinistra» che non riesce ancora a riconoscere l’esistenza di un problema chiamato Workfare e ne ignora ostinatamente la storia, le motivazioni politiche e le aberrazioni prodotte dalle cosiddette «politiche attive del lavoro» note in Francia, Inghilterra, Germania o Stati Uniti. E diligentemente riprodotte dal governo Meloni in continuità assoluta con tutti gli altri governi. In un dibattito ideologico il contenuto politico del governo dei poveri – il contrario della liberazione della povertà – giace sepolto.

Nel quadro di questa legge è stato inoltre previsto una pioggerellina di bonus accattivanti per il ceto medio che servirà tutt’al più come esca elettorale. Dal primo luglio e fino al 31 dicembre 2023, grazie a un ulteriore taglio del cuneo fiscale, le buste paga dei lavoratori dipendenti con reddito fino a 35 mila euro aumenteranno tra 60 e 100 euro al mese. Tutto ora dipende dalla possibilità del governo di individuare altre risorse per stabilizzare o prorogare lo sgravio. Nei fatti da gennaio 2024 il beneficio si azzererà. In ogni caso la mancia in arrivo servirà a tamponare la perdita dei salari prodotta dall’inflazione.

Precarizzare è la parola d’ordine sui contratti a termine. Al di là dei tecnicismi nei fatti ieri il governo e la sua maggioranza li hanno liberalizzati fino a 24 mesi. Pur affidando un ruolo alla contrattazione, si escludono le causali per legge (eccetto quella per sostituzione). Senza un intervento prioritario della legge o della contrattazione nazionale si rischia un sistema totalmente deregolato. In sostanza si procede a una individualizzazione spietata del rapporto che pregiudica la stessa efficacia della contrattazione.

Prevista un’estensione dei voucher. Il tetto complessivo passa da 10 mila a 15 mila euro per i settori dei congressi, delle fiere, degli eventi, degli stabilimenti termali e dei parchi divertimento. Un assist ad alcune delle associazioni di categoria che hanno un certo peso anche tra i ministri.