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IL LIMITE IGNOTO. Il convegno al Senato con Conte, Fratoianni, Scotto, Ciani

 Nicola Fratoianni e Giuseppe Conte - Ansa

«È possibile avviare un percorso di pace?». Questa la domanda, posta da Alfonso Gianni, al centro del convegno Guerra o Pace? Quali scelte politiche per riportare la pace in Europa, organizzato ieri al Senato dalla vicepresidente Maria Domenica Castellone (M5s), a cui hanno partecipato giornalisti, diplomatici, militari e rappresentanti delle forze politiche in parlamento, dal Pd al M5S per il quale ha preso parte al dibattito Giuseppe Conte. Al cuore del discorso anche il «dovere della complessità» evocato da Nicola Fratoianni (Si) «nell’ambito di un dibattito pubblico all’insegna della messa all’indice» di ogni argomento che problematizzi il necessario sostegno all’Ucraina nella guerra in corso. «Amici e amiche di Putin», aggiunge infatti Fratoianni, non si trovano nelle fila dei pacifisti ma «della destra italiana e internazionale», che il presidente russo «ha finanziato per anni».

Nei giorni della missione di pace del cardinale Zuppi a Mosca (che ieri ha incassato «l’alto apprezzamento» del Cremlino «per la posizione equilibrata e imparziale del Vaticano») sono tante le voci del convegno che sostengono la necessità di affiancare l’iniziativa del pontefice. «Non può essere solo il Vaticano a farsene carico» osserva

il deputato Pd Arturo Scotto. Il fallimento degli accordi di Minsk, dice, coincide con «la fine di una forma di cooperazione e sicurezza fra Est e Ovest. Oggi quel filo va ripreso, con lo sforzo di riportare al centro la diplomazia. Come allargare il campo della pace?». La risposta per molti è la ripresa di un ruolo di primo piano dell’Europa, quell’Unione europea posta al centro del suo intervento da Ida Dominijanni che osserva come fra le conseguenze del conflitto ci sia la «distruzione dello spirito originario dell’Ue, lo spostamento dell’asse politico verso la Polonia, i paesi baltici e ultraconservatori come l’Italia».

Una risposta che non può basarsi unicamente su quella che viene da più parti definita «l’escalation» degli armamenti forniti all’Ucraina. A prescindere che si rivendichi (come nel caso di Fratoianni) il proprio rifiuto da subito a votare per l’invio di armi o – come fa Giuseppe Conte – che si distingua fa un “prima” e un “dopo”. Il presidente del M5S rivendica il sì iniziale all’invio («in quel momento c’era da prendere una decisione di fronte a un’aggressione», una «violazione del diritto internazionale») ma sostiene la contrarietà del movimento a fornire ancora armamenti, al ripiegamento del Pnrr sulla politica del riarmo. «L’economia di guerra» di cui parla anche Fratoianni che porta la Ue «indietro e a destra» e comporta tra l’altro la «rinuncia alla transizione energetica». Conte – che invita la presidente Meloni a non «sciorinare» solo le dittature estere: «Venga a parlarci di quella che abbiamo avuto in casa nostra» – affronta anche la guerra civile sfiorata in Russia con la marcia di Prigozhin verso Mosca: «Qui sembrava che tutti stessero per festeggiare, ma nelle cancellerie che contano, e a Washington, c’era grande preoccupazione». «Non credo che al posto di Putin si installerebbe un campione di democrazia». La possibilità di una balcanizzazione della Russia è evocata in molti interventi come un passo ulteriore verso l’olocausto nucleare, così come la convinzione che ci possa essere una vittoria militare. «Si illude – dice Scotto – chi pensa possa esserci una risoluzione militare nello scontro fra due forze di cui una è una potenza atomica». Caratteristica di questa guerra, osserva Paolo Ciani di Demos, è la normalizzazione delle armi «come fossero utensili o automobili». «Si cerca di normalizzare perfino l’utilizzo delle armi nucleari tattiche, la cui stessa definizione è folle».

Dal convegno di ieri, attraverso le parole di Vincenzo Vita, arriva anche la denuncia di un altro «misfatto»: «Il via libera definitivo all’estradizione negli Usa (dove rischia fino a 175 anni di carcere, ndr) di Julian Assange, prima che sul suo caso abbia fatto in tempo a pronunciarsi la Corte europea dei diritti dell’uomo»