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PARTITO DEMOCRATICO. Perché, invece di prendere sul serio il ruolo di opposizione al governo più a destra della storia della repubblica, non prendersi a mazzate tra amici e compagni?

Il coro stonato dell’opposizione

 

Il partito democratico è un partito davvero democratico. La segretaria Schlein chiama tutti a raccolta a Napoli nonostante l’avanzata di Caronte per cantarle in coro al governo che vuole spaccare l’Italia con la legge Calderoli? E chi l’ha detto che per evitare lo sconquasso non si debba prima spaccare il Pd. La premier Giorgia Meloni annaspa non sapendo come affrontare l’annosa questione della giustizia, mentre la sua coalizione, la sua squadra di ministri e il suo stesso partito somigliano a tanti flipper dove schizzano pericolosamente palline impazzite spesso una nella direzione opposta all’altra? E perché, invece di prendere sul serio il ruolo di opposizione al governo più a destra della storia della repubblica, non prendersi a mazzate tra amici e compagni? Si dirà: è il solito Vincenzo De Luca, il presidente campano col suo ego più grande della stessa Campania e di tutto il Pd. E se la segretaria chiama a raccolta il partito sotto le sue finestre e addirittura ha in animo di ridimensionarne le ambizioni, l’unica risposta possibile da parte del satrapo è «e qui comando io e questa è casa mia».

Ma siccome il partito democratico è un partito davvero democratico e in democrazia si tengono le elezioni e i voti contano, ecco che il coro contro il governo – sebbene la segretaria si sforzi di tenere la scena «con una voce sola» – passa in secondo piano.

E sono tutti lì, incendiari

e pompieri, vice segretari e vice cacicchi, maggioranza e minoranza, a riunirsi, confrontarsi, aggredirsi e poi emendarsi, siglare tregue a tempo guardandosi in cagnesco e che volete, il Pd è un partito davvero plurale, non c’è il pensiero unico.

Pensiero unico no, ma magari neanche unico schema. Infatti non si tratta semplicemente del solito De Luca, ma di una rappresentazione ormai ossificata che per ora nemmeno la segretaria millennial venuta da Occupy è riuscita a sovvertire. Tanto che a conferma dell’adagio secondo il quale il Pd non fa in tempo a eleggere un segretario che nel partito già si trama per buttarlo giù, ecco che già circola il nome del possibile successore nell’eventualità che Elly Schlein non riesca a superare in scioltezza la prova delle europee.

Già, le europee. Competition is competition diceva Romano Prodi. E allargando lo sguardo, la competizione è in cima ai pensieri anche dei futuribili alleati del mai davvero arato campo largo, quelli che si autoproclamano veri riformisti, gli altri che si incollano l’etichetta prêt-à-porter di veri progressisti e nel Pd chi tira da una parte e chi dall’altra con il risultato di girare su se stessi.

Va in scena così il conflitto permanente tra personalismi, correntismi, rendite di posizione da difendere con le unghie e con i denti. Ma anche e soprattutto, perché alla fine conta la politica, tra visioni forse non tutte conciliabili. Il passato del resto ha dimostrato che l’unità cementata dal comune avversario (ieri Silvio Berlusconi, oggi Giorgia Meloni) non è una linea politica e sarà bene tenerlo a mente anche per il futuro. Competition is competition, senza ingenuità, e il banco di prova delle europee, dove si vota con il sistema proporzionale, sarà cruciale anche per determinare leadership e alleanze. Ora però bisogna fare anche opposizione, dura, faticosa, necessaria: seppure annaspando e inciampando su se stesso il governo Meloni una direzione la ha e non promette nulla di buono.

«Quando sento che non c’è una linea politica sorrido, di contenuti siamo pieni ma siamo bravi a coprirli con le divisioni interne. Se a qualcuno questa linea non piace lo ammetta e non trovi altre scuse» ha detto Schlein durante la direzione Pd del mese scorso, la stessa dalla quale ha lanciato l’«estate militante». L’estate è nel pieno, è arrivato anche Caronte e né i cacicchi, né il pompieri né la segretaria hanno più tempo per le scuse