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ARMENI-ISRAELE. Una società israeliana sostiene di aver ottenuto un leasing sul Giardino delle Mucche. Minacciate anche cinque abitazioni

Le mani su Gerusalemme: quartiere armeno a rischio Il Giardino delle Mucche nel quartiere armeno della città vecchia di Gerusalemme. - Michele Giorgio

Per anni Garo Nalbandian, uno degli esponenti più noti della comunità armena di Gerusalemme, ha raccontato le vicende di persone semplici e di estremisti della politica, dei palestinesi, degli israeliani e tanto altro. L’ha fatto con la sua macchina fotografica. Un suo scatto diceva più di tante parole. Durante la prima Intifada, più di trent’anni fa, era compagno assiduo della stampa estera, lo trovavi ovunque nei Territori palestinesi occupati. E comunque non passava inosservato per l’altezza e la sua testa piena di ricci neri. Poi quando i capelli sono diventati bianchi ha ceduto il passo al figlio. All’età di 82 anni, mentre si gode i fiori del suo giardino, Nalbandian non crede di essere proprio lui al centro delle notizie. «Vogliono portarmi via la casa, e non solo a me, anche ad altre quattro famiglie», ci dice accogliendoci in un appartamento di poche decine di metri quadri ritagliato all’interno del quartiere armeno, nella città vecchia di Gerusalemme.

Garo Nalbandian – foto di Michele Giorgio

Il fotografo si riferisce alle intenzioni della Xana Gardens Ltd, una società israeliana che afferma di aver ottenuto dall’arcivescovo Nourhan Manougian, un leasing immobiliare di 99 anni su una importante proprietà del Patriarcato armeno. L’accordo, sostiene la società, permette la costruzione un hotel di lusso non solo nel parcheggio nel cosiddetto Giardino delle Mucche ma anche sull’area adiacente, più interna, che arriva fino alla strada che attraversa il quartiere armeno e che porta, alcune centinaia di metri dopo, al Muro del Pianto. A breve distanza dalla casa di Garo Nalbandian c’è la Cattedrale di San Giacomo costruita nel 1163 e che ancora oggi viene illuminata solo dalla luce del sole, da candele e lampade ad olio. «Vogliono prendersi quest’area e anche le nostre case. Vogliono cacciarci via, è una minaccia esistenziale per tutto il quartiere armeno», ci dice l’anziano fotografo. Arriva sua moglie che, avvedutasi della presenza di un estraneo in casa, prova con gesti rapidi a sistemarsi i capelli. «Noi armeni siamo parte della storia di Gerusalemme» ci dice Nalbandian stringendole la mano «la mia famiglia è qui dai tempi del genocidio armeno, mia moglie vanta origini persino più antiche in questa città. I suoi antenati a Gerusalemme ci sono arrivati centinaia di anni fa».

Nel parcheggio conteso sono riuniti decine di armeni, in prevalenza giovani. Tengono un presidio permanente a difesa del Giardino delle Mucche, alle spalle della Basilica della Dormizione, il punto più alto della città vecchia. In basso c’è la valle dell’Hinnom dove una «immobiliare» legata al movimento dei coloni israeliani ha fatto costruire di recente un ponte a scopo turistico contestato dai palestinesi e dagli ambientalisti israeliani.

Il Patriarcato armeno ha avvertito che si trova ad affrontare la «più grande minaccia esistenziale» della sua storia. Ma gran parte della sua comunità punta il dito proprio contro di lui. Manougian nella migliore delle ipotesi è ritenuto un «ingenuo» che firmato senza leggere con la dovuta attenzione tutte le carte aprendo così la strada al controllo della Xana su tutta l’area e non solo sul 13% di essa. Nella peggiore di essere colluso con la società israeliana e i coloni entrati all’improvviso in scena. Il suo tardivo ripensamento, frutto della rabbia della comunità armena, e la sua decisione ufficiale, lo scorso 26 ottobre, di revocare il leasing, non hanno dissuaso la Xana che ha subito inviato le ruspe a rimuovere l’asfalto del parcheggio. Solo la barriera umana eretta da decine di armeni ha fermato la demolizione delle abitazioni. Si è fatto vivo al parcheggio anche Danny Rothman, il proprietario della Xana, per proclamare irrilevante la mossa del Patriarca Manougian e reclamare il rispetto del leasing.

foto Hagop

Il 4 novembre l’intera comunità armena ha manifestato pacificamente contro le intenzioni della società israeliana. Il giorno dopo arrivati dozzine di estremisti israeliani residenti, pare, in quella parte della città vecchia. Si sono vissuti momenti di forte tensione, si è sfiorato lo scontro fisico. Infine, è giunta la polizia ad ordinare agli armeni, cinque dei quali arrestati e posti gli arresti domiciliari, di non «provocare disordini». La tensione è alta e in previsioni di nuove incursioni di coloni e polizia, gli armeni hanno alzato una recinzione per proteggere le loro case.

 

foto Hagop

«Non si commetta l’errore di considerarla una disputa su proprietà immobiliari, questa vicenda ha un profondo contenuto politico che riguarda la nostra comunità di mille persone (2.500 in tutta la terra santa, ndr), la sua antica presenza in questo luogo e la storia recente di Gerusalemme» ci spiega Hagop, uno degli attivisti al presidio armeno. «Invece di rispondere per vie legali alla revoca dell’accordo come avviene in circostanze simili, la Xana ha scelto di usare provocazioni, aggressioni e altre molestie ai nostri danni. Ciò dimostra che l’obiettivo di questo progetto è politico e non commerciale». Per Hagop e altri armeni quanto sta accadendo al Giardino delle Mucche è solo un nuovo e più pericoloso capitolo della tensione crescente tra la comunità armena e gruppi di estremisti di destra israeliani che si registra da un paio d’anni a questa parte. «Scrivono slogan razzisti sui muri dei luoghi di culto, strappano i manifesti dove c’è la croce. Compiono provocazioni quotidiane. E la polizia non ci protegge. Per questo siamo in costante allerta», aggiunge Tony. A inizio anno un giovane armeno, George Kahkedijan, fu prima aggredito dai coloni e poi arrestato dalla polizia e detenuto per un giorno, pur non avendo commesso reati.

Garo Nalbandian è preoccupato, il suo volto è segnato dalla tensione. «Cercano di approfittare dell’attenzione concentrata sulla guerra a Gaza per realizzare i loro piani» ci dice. Quindi ci saluta con un appello. «Il mondo deve intervenire, è in pericolo tutta la comunità armena, con la sua storia, con le sue tradizioni. Per questo non ci arrenderemo»