Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Scenari. Il tentativo della destra di riaccreditarsi, pronta a entrare nel nuovo governo va respinto non i nome del perimetro «Ursula», ma sulle scelte di programma e di senso del bene pubblico

Tutto si può dire del governo Draghi, se si farà, tranne che si tratti di un governo tecnico. I precedenti, nati sotto quella definizione, Ciampi, Dini, Monti sono tra i governi che hanno più inciso nella vita materiale del paese – vedi per esempio le pensioni – e quindi hanno fatto politica, nel senso più pregnante del termine. Nello stesso tempo troppo diverse sono le condizioni oggettive e soggettive per poter fare paragoni stringenti con quelle situazioni. Con Draghi abbiamo una compenetrazione tra governance europea e governo nazionale. 
È persino riduttivo dire che per l’ignavia delle classi dirigenti politiche ed economiche del nostro paese ci tocca il «pilota automatico», un commissario tecnocrate. Qui abbiamo l’ingegnere costruttore, non solo il suo robot. Mario Draghi ha interpretato diverse fasi della costruzione dell’Europa, qualunque fosse il suo ruolo pubblico o privato. Almeno quattro e tutte decisive, di cui è possibile seguire una successione cronologica, salvo parziali sovrapposizioni temporali.
L’epoca delle grandi privatizzazioni, quelle decise a bordo del Britannia, per cui il nostro paese divenne il secondo dopo l’Inghilterra thatcheriana per volume nel valore delle dismissioni dei beni dello Stato, accompagnate dal fanatismo rigorista che finirà per partorire l’assurdo Fiscal compact e l’accanimento brutale

Commenta (0 Commenti)

Draghi, Renzi e la dittatura del mercato

di Tomaso Montanari da "volerelaluna.it" 04/02/2021

La sensazione è quella di scivolare su un piano inclinato: dal male (un male senza alternative migliori) del governo Conte al peggio del possibile governo Draghi, al pessimo di un governo Salvini-Meloni, che sembra ora ancor più inevitabile.
Matteo Renzi c’è riuscito di nuovo. Prima con Letta, adesso con Conte: attraverso crisi extraparlamentari strozzatesi nelle ovattate stanze del Quirinale, ha ucciso due governi che avrebbe dovuto lealmente sostenere. Nel primo caso per fatto personale (l’ascesa alla presidenza del Consiglio), in questo anche (per riacquistare un qualche credito agli occhi dell’establishment internazionale). E in entrambi con la stessa disinteressata dedizione agli interessi del Paese che è apparsa nel mostruoso episodio saudita (https://volerelaluna.it/rimbalzi/2021/02/01/matteo-renzi-e-il-rinascimento-saudita/): che da solo sarebbe bastato a porre fine a a qualunque carriera politica, in un paese civile.
Renzi, dunque, trionfa: umiliando tutti (a partire dal Parlamento) e presentandosi a fianco di Mattarella come il salvatore della patria. Un gioco di sponda che, spiace dirlo, ingenera qualche dubbio anche sul ruolo del presidente della Repubblica: specie per il singolare discorso con cui questi ha escluso tassativamente la possibilità di andare ora ad elezioni. Un orientamento che Renzi forse non ignorava, come invece, evidentemente, lo ignoravano i vertici del Pd: i quali, inducendo Conte a dimettersi laddove non era affatto necessario, ne hanno servito a Renzi la testa su un piatto d’argento.
Se Renzi è il grande elettore di Draghi, cosa faranno gli altri? La Lega ha un duplice interesse a permettere che questo governo nasca: prima astenendosi (e così rivelandosi determinante, e apparendo affidabile a mercati e poteri internazionali – «Salvini ha una grande opportunità – ha subito twittato il direttore di Repubblica Maurizio Molinari – il sostegno a Draghi gli consentirebbe di avere la legittimità europea che gli manca»), e poi intercettando la protesta sociale che l’azione di Draghi provocherà. Il Pd è nella situazione peggiore: il suo profilo moderato e “responsabile” gli rende difficile sfilarsi, ma il rischio che Renzi se lo riprenda, svegliando le quinte colonne dormienti, è ora concretissimo. Il Movimento 5 Stelle ha invece la sua grande occasione per tornare a un ruolo antisistema, recuperando un po’ di quella presa che sembrava ormai irrimediabilmente perduta: se dice di no a Draghi,

Commenta (0 Commenti)

Draghi. A destra e a sinistra i suoi supporter si affannano a leggerne la biografia nel modo più congeniale a giustificarne l’appoggio. Uomo di Goldman Sachs, o allievo di Federico Caffè?

Mario Draghi va alla grande perlomeno fra i media dell’establishment italiano e, pare, anche europeo. Si invoca la responsabilità nazionale in nome del contrasto alla pandemia e per prendere e spendere i soldi del Recovery.

La destra per ora non prende una posizione netta. Incassa unita come una propria vittoria la caduta di Conte.

I 5Stelle sono divisi, al limite della scissione. Ma la varietà dei toni sull’avvento di Draghi- dal cauto all’entusiasmo a stento trattenuto, testimoniano che non è poi tanto unito nemmeno il Pd.

Del resto sulle divisioni nel Pd e nei 5Stelle aveva giocato spregiudicatamente Renzi, convinto che la crisi dei suoi principali ex alleati di governo lo può di nuovo rendere credibile come il Macron italiano. Che il progetto sia una illusione da megalomane è indubbio, ma su quello è riuscito a tenere insieme i suoi sciagurati sodali di Italia Viva nella sua azione distruttrice.

Del resto appare sempre più chiaro che è stato proprio Conte, oggi rimosso, ad avere tenuto in piedi bene o male l’unità e un minimo di respiro programmatico negli scombinati vascelli del Pd e dei 5Stelle.

Ora c’è Draghi. E a destra e a sinistra i suoi supporter si affannano a leggerne la biografia nel modo più congeniale a giustificarne l’appoggio.

Uomo delle grandi istituzioni finanziarie e della Goldman Sachs, o allievo prediletto di Federico Caffè, come molti a sinistra hanno riscoperto dopo il suo articolo sul Financial Times dell’anno scorso.

Leggi gli articoli di Federico Caffè dall’archivio storico del manifesto

Credo che più che scavare la sua biografia servirebbe porgli alcune semplici domande sui lavori incorso.

  • Estenderà o no oltre marzo il blocco dei licenziamenti e prolungherà i termini della cassa integrazione Covid?
  • Riprenderà il percorso iniziato dalla ministra Catalfo coi sindacati per una riforma in senso universalista degli ammortizzatori sociale?
  • Manterrà gli strumenti di sostegno alle persone cadute in miseria durante la pandemia, e prima della pandemia, dal momento che il nostro Paese non si è davvero ripreso nemmeno dalla crisi del 2008?
  • Eviterà gli aiuti a pioggia alle imprese o li vincolerà rigorosamente alla transizione digitale e verde, e all’obbligo di formare tutti i lavoratori, come del resto ci chiede l’Europa?
  • Collegherà i finanziamenti alla scuola, alla cultura, alla sanità alla loro natura di diritti universali di cittadinanza, o resterà nella logica perversa della aziendalizzazione e del mercato che ha portato grandi danni alla nostra salute, con lo smantellamento della sanità territoriale e della prevenzione, e sulla nostra stessa possibilità di accedere ai beni primari della istruzione e della cultura?
  • Privilegerà gli investimenti per ricucire un territorio sconvolto, per rimettere in relazione col mondo in maniera fisica e virtuale le nostre aree interne, a partire dal Mezzogiorno, o si accoderà alla retorica esclusiva ed escludente delle grandi opere?
  • Penserà come tanti anche a sinistra che la decarbonizzazione si fa col metano o imboccherà con decisione la strada delle energie rinnovabili e dell’idrogeno verde?

E potrei di queste domande continuare a farne tante altre, a partire da quelle riguardanti i diritti civili e il contrasto al patriarcato e alla violenza fisica e morale nei confronti delle donne, se sapessi chi dentro la politica, è credibilmente in grado di fargliele.

Credo che queste domande debbano partire da quanto è vivo e impegnato nella società.

Dal sindacato prima di tutto, riprendendo con decisione le domande che del resto a aveva messo in campo a proposito del Recovery di Conte. E poi dal vasto mondo dell’associazionismo culturale, sociale e ambientale, a partire dalle organizzazioni femministe e dai ragazzi del venerdì che mi auguro riprendano rapidamente la parola.

Del resto questo vasto mondo qualche successo nell’ultima fase del governo Conte l’aveva portato a casa.

Un fronte vasto da slow food, a la via campesina, a Greenpeace, alle associazioni dei contadini biologici, avevano ottenuto che la Commissione Agricoltura della Camera bocciasse i decreti della ministra Bellanova che in maniera surrettizia reintroducevano l’uso degli Ogm nella nostra agricoltura.

  • Draghi confermerà questo indirizzo, e tutelerà che lo segua il nuovo Ministro dell’Agricoltura?

E un fronte ancora più vasto, a partire dalla rete Pace e Disarmo, ha visto il successo di una mobilitazione pluriennale per bloccare l’esportazione verso l’Arabia Saudita delle armi che stanno martoriando la popolazione dello Yemen.

  • Draghi si muoverà dentro questa linea, magari bloccando l’esportazione di armi anche verso l’Egitto e cominciando a lavorare seriamente alla riconversione della nostra industria bellica, o deciderà, come hanno fatto da sempre i governanti italiani, che “gli affari sono affari, e che se non gliele vendiamo noi gliele vende qualcun altro”?

Ecco queste sono le domande che mi auguro che i sindacati, l’associazionismo impegnato sul fronte dell’ambiente e della pace, rivolgano, anche in maniera un po’ rumorosa, al Presidente incaricato.

Scomode perché non sono possibili risposte unanimi, ma sacrosante perché una eventuale unanimità che metta in ombre queste questioni segnerebbe non una pausa del conflitto politico in attesa di tempi migliori, ma una intollerabile regressione.

Commenta (0 Commenti)

Tempi di Draghi

da "Volerelaluna.it"  5 febbraio 2021

di Domenico Gallo

L’annuncio del Presidente Mattarella di aver conferito a Mario Draghi l’incarico di formare un nuovo governo sulle ceneri del Conte bis disfatto da Renzi, è stato accolto con esultanza dai principali mass media che, fin dalla nascita del governo giallo-rosso, si sono messi di traverso e negli ultimi sei mesi hanno condotto una campagna sempre più intensa per screditare l’azione del Governo e l’alleanza politica che ne era alla base. Esultanza condivisa dai mercati finanziari che hanno celebrato l’annunzio con una fiammata dei listini. A questo entusiasmo fanno da contraltare le voci che rimarcano il ruolo di vestale dell’ortodossia neoliberista svolto in passato da Draghi ed eccepiscono che il pilota automatico ha sostituito la Costituzione (https://volerelaluna.it/controcanto/2020/03/29/draghi-lupi-faine-e-sciacalli/).
Quali che siano i meriti o i demeriti, le virtù e le capacità del personaggio, noi, che non crediamo nell’uomo della Provvidenza, non possiamo non osservare con malinconia che l’operazione di calare un deus ex machina per risolvere l’incapacità del Parlamento di dar vita a una maggioranza politica e a un governo capace di governare, certifica il “commissariamento” delle istituzioni politiche rappresentative. Questa situazione nasce da una crisi profonda della politica. Come ha osservato Massimo Villone (il manifesto del 4 gennaio): «i mali di oggi vengono da una pessima legge elettorale che ha generato un Parlamento senza qualità, e soprattutto ha consentito a Renzi di portare nelle assemblee i suoi pretoriani e di avere così un peso che non ha nel paese» (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/04/proporzionale-e-meglio/).
Se non c’è da esultare per l’esito della crisi di governo, ci sono però degli aspetti positivi che devono essere valutati.
Il primo e più importante è che l’insediamento di un Governo Draghi scongiura il ricorso anticipato alle urne che in questo momento sarebbe esiziale per il nostro Paese. Il Presidente Mattarella nel suo messaggio ha spiegato i gravissimi inconvenienti che deriverebbero da una paralisi di quattro-cinque mesi dell’attività di governo mentre dobbiamo affrontare il passaggio cruciale della pandemia e del Recovery plan.
Ma ci sono altri motivi altrettanto importanti.

L’attuale legge elettorale (il Rosatellum adattato al taglio dei parlamentari) non assicura il rispetto della volontà popolare poiché con il 35-40% dei voti il centrodestra otterrebbe la maggioranza assoluta dei seggi, si assicurerebbe

Commenta (0 Commenti)

Il martedì nero in cui cade Conte e arriva l’uomo forte

Crisi di sistema. In questo stato d’eccezione in cui pandemia sanitaria e follia politica ci hanno gettato, sovrana si rivela, la potenza del Denaro, nella forma dei suoi sacerdoti e gestori. Nel 2012 salva l’Euro (whatever it takes) e tiene a battesimo il compact fiscal. Nel luglio 2015 non si farà scrupolo di spingere sott’acqua la Grecia di Alexis Tsipras.

Marco Revelli  su “il Manifesto” del  05.02.2021

Una data da segnare nigro lapillo per almeno due buone ragioni. In primo luogo perché in quelle poche ore che passano tra il prolungamento ormai stucchevole del tavolo e la resa di Fico, è stato inferto un colpo mortale alla politica. Non a un governo, o a una coalizione già di per se stessa boccheggiante, ma alla politica tout court. È stato certificato il dissolvimento di tutti i suoi linguaggi, divenuti via via privi di senso di fronte ai capovolgimenti e alle triple verità, e insieme il fallimento di tutti i suoi protagonisti, di maggioranza e di opposizione, incapaci di uscire dal labirinto nel quale un pirata politico senza scrupoli come Matteo Renzi li aveva cacciati, annunciandone il commissariamento da parte di un “uomo di Banca” quale Mario Draghi nella sua sostanza è. Se è vero l’assunto che nello “stato d’eccezione” si rivela il vero Sovrano, ebbene in questo drammatico stato d’eccezione in cui pandemia sanitaria e follia politica ci hanno gettato, Sovrana si rivela, infine, la potenza del Denaro, nella forma antropizzata dei suoi sacerdoti e gestori.
Ma c’è una seconda ragione per considerare foriera di sciagure la giornata del 2 di febbraio: ed è che quella sera si è aperto un vaso di Pandora. Si è messa in moto una reazione a catena che forse già nell’immediato ma sicuramente nel tempo medio è destinata a colpire al cuore (quasi) tutte le forze politiche che compongono il già ampiamente lesionato sistema politico italiano. Tutte fragili, attraversate da un reticolo di fratture, di contrasti personali, di conflitti di piccoli gruppi e comitati d’affari, nessuna saldata da una qualche cultura politica forte capace di prevalere sui personalismi, a cui il gioco al massacro inaugurato dal demolitore di Rignano ha impresso un’accelerazione folle, senza freno né direzione, innescando una potenziale esplosione centrifuga di ognuna.

Dei 5Stelle di certo, a cui l’onda di piena crescente aveva portato un patrimonio elettorale enorme e un personale politico raccogliticcio, destinato oggi a disperdersi con la fase calante. Ma anche il Pd, il cui arcipelago di frazioni teneva insieme con lo sputo, pieno com’era delle mine vaganti disseminate da Renzi al suo interno, ma in cui l’ultimo azzardo del suo ex segretario non potrà che rinfocolare ripicche e rancori vecchi e nuovi. E la Lega stessa non potrà reggere l’urto del cambio di paradigma politico senza vedere le proprie linee di faglia allargarsi, nell’impossibilità di tenere insieme un eventuale sostegno (diretto o indiretto) all’uomo-simbolo dell’ “Europa della Finanza” con la militanza sul fronte del sovranismo etnocentrico. Forse solo Fratelli d’Italia si potrà salvare dal maelstrom restandone ai bordi.
Può darsi che nell’immediato si trovi una qualche formula capace di salvare la faccia ai principali players (una riedizione della maggioranza giallo-rosa a guida Draghi anziché Conte, una “maggioranza Ursula” con dentro anche il caimano)… Ma la tendenza è al generale dissolvimento di ogni possibile quadro politico il che equivale, tecnicamente, a una “crisi di sistema” che potrebbe rivelarsi una voragine nelle urne del 2023.

Così “in alto”. Ma poi c’è “il basso”, quello che si chiama “il Paese”, che è allo stremo: in questi giorni, dum Romae consulitur, ogni ora che passa si perdono 50 posti di lavoro. Per ogni giorno di stallo sono 1200 disoccupati in più. Dalla famosa conferenza stampa di Matteo Renzi in cui annunciava il ritiro delle sue due ministre e apriva in modo corsaro una crisi incomprensibile al giorno della resa di Fico sono trascorsi esattamente 20 giorni (compreso quello in cui il principale responsabile di quello stallo se ne è andato a guadagnare i suoi 80.000 dollari con un atto di asservimento a uno dei peggiori despoti del mondo), nel corso dei quali se ne sono andati 24.000 redditi da lavoro. Milioni di lavoratori, dipendenti e autonomi, sono naufragati: 393.000 contratti a termine non sono stati rinnovati, 440.000 in prevalenza giovani hanno perso il posto, altre centinaia di migliaia lo perderanno se il blocco dei licenziamenti non verrà prolungato. Tutti aspettano una boccata d’ossigeno, i benedetti “ristori”, per poter continuare a respirare. E tuttavia, bene che

Commenta (0 Commenti)

La strada migliore per rendere Renzi irrilevante

La tela del drago. Non c’è dubbio che Draghi possa non piacere. Vediamo i tormenti M5S. Vogliamo solo ricordare che non sbarrare la strada a Draghi è il modo migliore, e forse il solo, per rendere Renzi irrilevante, ora e sperabilmente in futuro
Massimo Villone su “il Manifesto” del 04.02.2021

L’esternazione di Mattarella dopo la rinuncia di Fico ha dato il via a una nuova fase della crisi di governo. È stata una esternazione non rituale, che non ha precedenti, a mia memoria, nella lunga galleria delle crisi. Il Presidente ha inteso spiegare al paese le ragioni di quel che si accingeva a fare con l’incarico a Draghi, e dello scioglimento anticipato che seguirebbe a un suo fallimento.
Mattarella ha elencato le emergenze – sanitaria, economica, sociale – da affrontare con un governo nella pienezza dei poteri, indispensabile altresì per la gestione dei fondi europei. È vero che un governo in carica per il «disbrigo degli affari correnti» – come è al momento l’esecutivo dimissionario – è tecnicamente legittimato ad affrontare una emergenza. Un decreto-legge, e più in generale gli atti indispensabili, si potrebbero adottare.
Ma qui troviamo una questione di sostanza, oltre che di forma. Anche in emergenza governare è scegliere, come è ad esempio evidente nella gestione dei fondi europei. Per questo, è sempre e comunque preferibile avere un governo nella pienezza dei poteri, e politicamente responsabile nei confronti delle assemblee.
Nel primo giro di consultazioni, e poi con l’incarico esplorativo di Fico, è stata chiara la impossibilità di rimettere insieme i cocci della maggioranza giallorossa. Né era pensabile che si tornasse a una maggioranza di segno opposto.
Quindi, con le dimissioni di Conte si chiudeva ogni prospettiva di governi in grado di affrontare con pienezza di poteri le emergenze e le necessità – incontestabili – elencate da Mattarella. Far nascere un Conte ter o rimandare il Conte bis alle Camere non avrebbe superato l’ostacolo del Senato. Anzi, avrebbe potuto andare anche peggio della fiducia del 19 gennaio, se l’astensione dei renziani fosse diventata – cosa probabile – voto contrario. È questa mancanza di alternative che rende costituzionalmente inattaccabile il «governo del presidente».
Diversamente, rimanevano solo le urne a tempi brevissimi.

Non c’è dubbio che la crisi si poteva e si doveva evitare. Non c’è dubbio che sia da addebitare a Renzi, e ci si può solo chiedere se sia dovuta a sue tare caratteriali o alla sotterranea intesa con poteri forti che volevano liberarsi di Conte. Non c’è dubbio che

Commenta (0 Commenti)