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Retromarcia di Mantovano dopo le accuse di Maria Falcone. Insorge anche il fratello di Borsellino. Libera: va difeso da attacchi strumentali e interessati

Mafia e concorso esterno,  il governo scarica Nordio

La riforma della giustizia del governo Meloni si arricchisce ogni giorno di nuove suggestioni. Prima si parla di intercettazioni, poi di avvisi di garanzia, dopo ancora di imputazione coatta.

ADESSO È IL TURNO del concorso esterno in associazione mafiosa, anche se, ancora una volta, la supposta necessità di rivedere, riformulare, cancellare, trasformare è qualcosa più di una battuta. Da quando lunedì è uscita una sua intervista su Libero il ministro della Giustizia Carlo Nordio spiega e argomenta: «il concorso esterno è un reato evanescente» che andrebbe «completamente rimodulato secondo i criteri di concorso di persona nel reato», ha detto al quotidiano diretto da Alessandro Sallusti. A seguire, mercoledì sera, alla festa meloniana «Piazza Italia» a Roma, tutto d’un fiato: «Il concorso esterno non esiste come reato, è una creazione giurisprudenziale. Cioè la Cassazione, i giudici, hanno inventato questa formula abbastanza evanescente, che a rigore di logica, vorrei dire popperiana, è un ossimoro». Questo perché, a suo dire, «se sei concorrente non sei esterno, e se sei esterno non sei concorrente. Noi non vogliamo eliminare, noi sappiamo benissimo che si può essere mafiosi all’interno dell’organizzazione e si può essere favoreggiatori all’esterno dell’organizzazione, ma allora va rimodulato completamente il reato, che in questo momento non esiste né come tassatività né come specificità perché non è nel codice».

LA PRIMA PARTE DELLA FRASE è in evidente contraddizione con

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Colloquio «ad ampio raggio» dopo il vertice Nato a Vilnius, il capo dello Stato è preoccupato per lo scontro tra il governo e le toghe

Il Colle frena Meloni: lotta alla criminalità, non si può arretrare 

Nella riunione del Consiglio supremo di difesa, sul Colle, l’argomento è l’esito del vertice Nato a Vilnius. Quando i due più autorevoli partecipanti, i presidenti della Repubblica e del Consiglio, si appartano per un colloqui «costruttivo e ad ampio raggio», come filtra dal Quirinale. Sul tavolo finisce però giocoforza anche la giustizia. Non solo e forse neppure come argomento principale: il 27 luglio è in programma la visita della premier a Washington e per quanto manchino ancora due settimane non c’è argomento più centrale di quello.

CHE MATTARELLA SIA preoccupato per la tempesta che si è addensata sulla giustizia è evidente: mercoledì era stato il Quirinale stesso a far capire che l’incontro del capo dello Stato con i vertici della Cassazione aveva un significato simbolico che andava molto oltre l’ordinario, era cioè una manifestazione di solidarietà con la magistratura, e ad anticipare il colloquio di oggi con Giorgia Meloni, che è durato oltre un’ora. Segno chiaro che il capo dello Stato ritiene urgente che i toni si abbassino da tutte le parti e che il nuovo scontro tra politica e magistratura venga sedato sul nascere. «È interesse di tutti, anche dello stesso governo», dicono senza perifrasi dal Quirinale.

LA PREOCCUPAZIONE DEL presidente non riguarda solo i

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CRONACHE DI PALAZZO. La presidente del consiglio parla di giustizia e rivendica la nota informale contro le toghe. Niente scontri, ma alle sue condizioni

 Giorgia Meloni - LaPresse

Molla La Russa. Difende Delmastro con passione. Fa scudo anche a Santanchè, ma con l’espressione di chi deve e non vorrebbe. Dopo una plumbea settimana di silenzio seguita al comunicato guerresco firmato “fonti”, Giorgia Meloni si decide a dire la sua sull’intero capitolo giustizia. Che le costi un surplus di tensione è reso evidente dall’espressione sofferente: saranno pure le scarpe che «fanno malissimo», come le scappa sussurrato a microfono aperto, ma si vede che la scarpetta si allarga e si restringe a seconda dell’argomento trattato in conferenza stampa da Vilnius. Non è mai tanto scomoda come quando si parla di toghe e indagati.

LA TENSIONE NON implica reticenza. La rivendicazione del comunicato che ha dato fuoco alla prateria è secca: «Mi identifico con le fonti di Chigi, certo». Meloni è altrettanto esplicita sui tre casi alla

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STRASBURGO. L’Europarlamento approva la proposta sul Ripristino della natura (rivista al ribasso)

Il green deal resiste. Fallisce la prova di forza Ppe-sovranisti Un applauso dopo il voto del Parlamento europeo - Ansa

L’offensiva reazionaria del negazionismo climatico non è passata. Ieri l’Europarlamento ha votato a favore, con 336 voti (300 contro e 13 astensioni), della proposta della Commissione, pur rivista al ribasso in modo minimalista, sul Ripristino della natura, che è uno dei pilastri del Green Deal europeo. Un voto precedente alla plenaria di Strasburgo ha bocciato l’emendamento della destra per respingere l’ipotesi del Regolamento (con 324 voti).

È una sconfitta dei conservatori, che alla guida del capogruppo Ppe Manfred Weber falliscono il test che puntava a mettere in scena il primo grande atto della nuova alleanza destra classica-estrema destra, un anticipo di quello che, nelle loro intenzioni, sarà il prossimo parlamento europeo, che uscirà dalle urne in giugno.
«RINGRAZIO IN PARTICOLARE gli scienziati e i giovani che ci hanno spinto per ottenere questo», ha commentato il relatore, il socialista spagnolo Cesar Luena, che ha ricordato che «negli ultimi 40 anni la Ue si è riscaldata a un ritmo doppio di quello globale» e che Ripristino della natura significa anche lottare contro le zoonosi. È il primo testo per proteggere la biodiversità votato in trent’anni, ha ricordato Greenpeace. La Ue «aggiunge una corda al suo arco di lotta ambientale preoccupandosi direttamente del deterioramento della biodiversità» ha affermato l’eurodeputata verde Karima Delli. Anche se una parte dei Verdi deplora una «legge edulcorata» e una «vittoria dal gusto amaro».

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Difatti, per avere la possibilità di far passare il testo, il gruppo centrista Renew ha costruito un compromesso: presentare un testo molto vicino a quello approvato dal Consiglio europeo, con la speranza di convincere una parte dei deputati del Ppe a votare in sintonia con i governi di cui fanno parte o sono alla guida. Nel Ppe c’è stata una spaccatura, 21 hanno votato con S&D, Verdi, Left e i due terzi di Renew (in particolare le defezioni sono state degli irlandesi). I centristi erano l’ago della bilancia: 31 hanno votato contro (in particolare olandesi, che hanno il problema della crescita del partito agrario Bbb, che ha vinto le elezioni locali e minaccia alle politiche di novembre, ma anche danesi, svedesi, finlandesi e tedeschi).
PASCAL CANFIN (RENEW), presidente della commissione Envi (Ambiente), ha di nuovo sottolineato ieri i guasti fatti dalle fake news diffuse dalla destra, che si è schierata contro le normative del Ripristino della natura in nome dell’economia: «Il 10% delle terre agricole congelate non è mai esistito – ha affermato – c’è rabbia per non poter avere un dibattito razionale». C’è un degrado della biodiversità, c’è necessità di un restauro degli ecosistemi che nel medio-lungo periodo andrà anche a vantaggio degli agricoltori e dei pescatori, al contrario di una scelta miope di privilegiare i profitti nell’immediato.

Il testo di Bruxelles non estende le zone protette dappertutto, non esclude l’attività economica. La Commissione è soddisfatta: «È la prima grande legge ambientalista da 30 anni, un esempio unico al mondo», ha commentato il commissario all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius.

ADESSO, CON il meccanismo del “trilogo”, si aprono i negoziati con i 27. La presidenza semestrale spagnola si è impegnata a farne una priorità, ma questa promessa rischia di essere tradita se a fine luglio il governo del socialista Pedro Sanchez sarà sconfitto dal Partido Popular. Il Consiglio ha approvato un testo più o meno analogo il 20 giugno, sulla base della proposta della Commissione rimaneggiata. Il nuovo Regolamento però non verrà applicato subito, prima la Commissione dovrà fornire i dati sulle condizioni per garantire la sicurezza alimentare nel lungo periodo, che è stato il principale argomento dell’opposizione del Ppe – il timore di penurie alimentari, di rialzo dei prezzi in un periodo di inflazione, di dover importare prodotti che non rispettano le norme europee.

I paesi Ue dovranno quantificare le superfici da ripristinare e la gestione sarà di competenza nazionale. Il testo prevede anche possibilità di sospensione del processo, nel caso si debba far fronte a «effetti socio-economici eccezionali». Ci sono poi esenzioni per progetti di impianti di energie rinnovabili e per le infrastrutture della difesa.

Martedì l’europarlamento ha ridimensionato drasticamente i progetti della Commissione sulla regolazione delle emissioni industriali di gas a effetto serra: la destra è riuscita a far passare l’esclusione degli allevamenti di bestiame e un emendamento Ppe che riduce i risarcimenti per le vittime di inquinamento

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VERTICE NATO . Il ministro britannico Wallace (papabile prossimo leader) sbotta per la lista di richieste di Kiev

«Non siamo Amazon», anche i falchi contro le pretese dell’Ucraina Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky al centro della foto conclusiva del vertice Nato a Vilnius - Ap

Il secondo giorno del vertice Nato è stato ancora marcato dal botta e risposta fra i paesi membri e gli aspiranti ucraini. Secondo il Washington Post, le critiche di Zelensky alla Nato per la mancata ammissione hanno fatto infuriare la delegazione americana a Vilnius. Più esplicita Londra, il cui ministro della difesa, Ben Wallace, ha rimproverato pubblicamente il presidente ucraino accusandolo d’ingratitudine verso gli alleati: «Mi sono fatto 11 ore di treno per incontrarlo e ricevere una lista di richieste militari – non siamo Amazon!». Una dichiarazione clamorosa, poiché prodotta da un papabile al posto di segretario generale Nato dopo Stoltenberg.

IN UN CRESCENDO di arroganza, Zelensky ha reagito durante il briefing finale: «Siamo sempre stati e sempre saremo grati. Non so come ancora dovremmo esserlo. Forse dovremmo svegliarci la mattina e ringraziare il ministro. Che mi scriva come e io lo ringrazierò». Durante la mattinata, anche altri esponenti di Kiev hanno ribadito insoddisfazione, come il ministro degli esteri Dmitry Kuleba che ha affermato di non conoscere esattamente «elenco dei requisiti che il paese dovrà soddisfare per ottenere l’agognata tessera del club atlantico».

Nel pomeriggio tuttavia, gli ucraini sono rientrati nei ranghi ed hanno abbassato i toni. Dopo l’incontro bilaterale con Joe Biden, Zelensky ha assunto il ruolo di diplomatico. Nel briefing finale, ha definito buoni i risultati del vertice, «ideali se ci avessero ammesso», ma comunque «un successo per l’Ucraina», che ha compreso come «le condizioni necessarie per l’ingresso nella Nato saranno raggiunte solo quando ci sarà la pace». Il segretario Stoltenberg e gi altri leader Nato hanno insistito sul messaggio che rispetto a quelle dei vertici precedenti le attuali promesse di membership ucraina sono qualitativamente nuove e definitive.

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MA ANCHE IN TERMINI pratici, gli ucraini hanno ottenuto una serie di concessioni. Sul piano militare è stato stabilito che già ad agosto inizierà in Romania la preparazione dei piloti ucraini all’uso dei caccia F-16, premessa per la fornitura di tali armi strategiche. Soprattutto, Biden e Stoltenberg hanno fatto una sorpresa a Kiev ingaggiando i paesi del G7 in un impegno formale a fornirle garanzie di sicurezza.

Tutti i leader dei “sette grandi”, compresi i vertici dell’Ue, hanno sottoscritto una dichiarazione che parla di condivisione dell’intelligence e di assistenza concreta nello sviluppo dell’industria della difesa ucraina, tramite il trasferimento di “equipaggiamento militare moderno, nei domini terrestre, aereo e marittimo, con priorità alla difesa aerea, all’artiglieria e al fuoco a lungo raggio, ai veicoli blindati e ad altre capacità chiave, come l’aviazione da combattimento – promuovendo una maggiore interoperabilità con i partner euro-atlantici”. Come contropartita, l’Ucraina si impegna a realizzare le ormai proverbiali riforme in campo giudiziario economico e della “trasparenza” del sistema politico, pretese dal martoriato paese dall’inizio del suo cammino verso l’area atlantica.

Si è trattato di uno sviluppo del tutto inedito: la prima volta che un consesso economico quale il G7 assume un ruolo in campo militare. Tuttavia, tale sviluppo non stupisce alla luce dell’altro leitmotiv del summit a fianco del conflitto ucraino, ossia “la sfida sistemica posta dalla Cina all’ordine internazionale basato sulle regole”. L’inedito outsourcing della Nato nei confronti del G7 permette infatti d’inglobare ulteriormente il Giappone all’interno dei meccanismi bellici atlantici in preparazione dello scontro con Pechino.

SUL FRONTE EUROPEO, su iniziativa polacca la Nato ha anche promosso i dissidenti bielorussi, in primo luogo Svetlana Tikhonovskaja (“presidente eletto” secondo gli atlantici), la quale ha rivolto appelli ai leader occidentali ad ostracizzare ulteriormente il presidente Lukashenko e a fornire a Kiev tutte le armi necessarie.

DA NOTARE INFINE le dichiarazioni finali di Erdogan. Da un lato, il raiss si è rivolto a Putin invitandolo a visitarlo ad agosto, così da discutere l’estradizione dei capi dell’Azov. Dall’altro, Erdogan ha ulteriormente punzecchiato il collega russo usando la tribuna di Vilnius per annunciare un ritiro delle forze di pace russe dal Nagorno-Karabakh nel 2025. Nel conflitto caucasico la Turchia ha finora avuto un ruolo di garante esterno, subordinato alla Russia. Con un simile inatteso statement Ankara si pone come attore di primo piano su questo teatro. Un altro affronto al prestigio internazionale di Mosca, a cui quest’ultima si sentirà obbligata a rispondere

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