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Salute Greenpeace ha analizzato le acque potabili che escono dai rubinetti in tutta Italia, e nel 79% di queste sono state trovate le sostanze inquinanti. L’inquinamento è soprattutto al nord. «Il governo Meloni deve intervenire»

I CAMPIONAMENTI DI GREENPEACE LA MAPPA

Protesta a Venezia - Foto Ufficio Stampa Greenpeace/Francesco Alesi/LaPresse Protesta a Venezia – Ufficio Stampa Greenpeace/Francesco Alesi/LaPresse

Nei mesi di settembre e ottobre, i volontari dell’associazione ambientalista Greenpeace hanno raccolto campioni di acqua potabile in 235 città di tutta Italia. Li hanno fatti analizzare per verificare se ci fossero sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, i cosiddetti Pfas, considerati in diverse misure tossici per la salute umana.

NEL 79 PER CENTO DEI CASI sono state trovate tracce di queste sostanze, in genere con percentuali inferiori ai 10 microgrammi per litro. In qualche caso, come in alcune zone dell’Emilia Romagna, del Veneto o a Perugia, le quantità superavano la soglia di rischio, fissata in 50 microgrammi per litro da una direttiva europea che entrerà in vigore nel 2026.

CIO’ NON VUOL DIRE che percentuali inferiori siano completamente innocue per gli esseri umani, poiché le più recenti ricerche scientifiche hanno dimostrato la pericolosità dei Pfas anche a dosi inferiori a quelle stabilite dalla legge. In un’intervista rilasciata alla Reuters, due giorni fa la Commissaria europea all’Ambiente Jessika Rosswall ha detto che la Commissione europea sta pensando di mettere al bando i Pfas in tutti i prodotti di consumo.

DANIMARCA, PAESI BASSI, GERMANIA, Spagna, Svezia, la regione belga delle Fiandre e gli Stati Uniti hanno già adottato limiti più bassi. Nel 16 per cento dei campioni analizzati da Greenpeace le quantità di Pfas erano superiori alla soglia massima danese e nel 22 per cento a quella degli Stati Uniti.

I PFAS SONO UN PRODOTTO di sintesi che comprende quasi 5 mila sostanze chimiche. Sono utilizzati in molte produzioni industriali perché resistono all’acqua e agli oli. Vengono utilizzati come antiaderenti per le superfici interne delle pentole, in detergenti, lucidanti per pavimenti e vernici al lattice, o ancora per trattare tessuti, rivestimenti, tappeti e pelle in modo da renderli resistenti all’acqua, all’olio, al suolo e alle macchie.

SONO USATI ANCHE nelle protesi mediche, nei teli e nei camici chirurgici per renderli impermeabili ad acqua e olio e resistenti alle macchie, nella placcatura di metalli, nella lavorazione del petrolio e nella produzione minerari, nella produzione di carte e imballaggi, e nella produzione di tessuti, pelle, tappeti, abbigliamento e tappezzeria, come ad esempio il Gore-Text.

NELLE ACQUE ANALIZZATE da Greenpeace sono state trovate tre diverse sostanze appartenenti alla famiglia dei Pfas. Nel 47 per cento di queste c’erano residui di acido perfluoroottanoico (Pfoa), che l’Agenzia mondiale per la ricerca sul cancro ha classificato come «possibilmente cancerogeno».

NEL 22 PER CENTO DEI CASI c’era acido perfluoroottansulfonico (Pfos), un’altra sostanza considerata molto dannosa per la salute. Nel 40 per cento c’era invece l’acido trifluoroacetico (Tfa), che è la molecola del gruppo dei Pfas più diffusa nel mondo: è usata in particolare nella produzione di pesticidi e nella refrigerazione, e resiste ai più comuni trattamenti di potabilizzazione.

I VALORI PIU’ ELEVATI DI TFA sono stati trovati a Castellazzo Bormida, in provincia di Alessandria, a Ferrara e a Novara. Le regioni più contaminate da Tfa sono invece risultate la Sardegna, con il 77 per cento dei campioni positivi, il Trentino Alto Adige con il 75 per cento e il Piemonte con il 69 per cento.

IN GENERALE, I LIVELLI PIÙ ELEVATI di Pfas sono stati trovati al nord, tra Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto, dove ci sono le aree più contaminate da Pfas in Europa a causa degli scarichi della Miteni, una fabbrica che per cinquant’anni ha prodotto composti florurati inquinando 180 chilometri quadrati di territorio e le falde acquifere utilizzate da 30 comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova. A Milano quasi tutti i campioni prelevati sono risultati positivi, mentre in Piemonte i Pfas sono stati trovati a Torino e Novara, ma anche in luoghi insospettabili come Bussoleno, in Val di Susa.

GREENPEACE DENUNCIA che, nonostante l’Italia ospiti alcuni dei più gravi casi di contaminazione dell’intero continente europeo, i controlli nelle acque potabili sono per lo più assenti o limitati a poche aree geografiche.

«È INACCETABILE CHE, NONOSTANTE prove schiaccianti sui gravi danni alla salute causati dai Pfas, alcuni dei quali riconosciuti come cancerogeni, e la contaminazione diffusa delle acque potabili italiane, il nostro governo continui a ignorare questa emergenza, fallendo nel proteggere adeguatamente la salute pubblica e l’ambiente», dice Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento dell’associazione. «Ancora oggi non esiste nel nostro Paese una legge che vieti l’uso e la produzione dei Pfas. Azzerare questa contaminazione è un imperativo non più rinviabile».

GREENPEACE ITALIA HA PROMOSSO una petizione che chiede al governo Meloni di mettere al bando l’uso e la produzione di tutti i Pfas, sostituendoli con alternative più sicure, che sono già disponibili nella quasi totalità dei settori industriali. Finora è stata sottoscritta da 136 mila persone.

Faenza, 22 01 2025   

La Conferenza dei Servizi, che doveva pronunciarsi sul progetto di conversione dell'impianto della BYS Società Agricola Impianti S.R.L. a Granarolo Faentino in impianto di produzione di Biometano, si è svolta il 20 gennaio e si è conclusa con esito negativo con effetto di rigetto della domanda.

Le argomentazioni riportate nella Determina dirigenziale dell'Unione della Romagna Faentina, sono molto precise e ricalcano in gran parte le obiezioni che da tempo avevamo sollevato come Legambiente.

In particolare la non adeguatezza della viabilità di accesso all'impianto e alle relative connessioni con la rete stradale, tenendo anche conto che i mezzi pesanti circolati sarebbero praticamente raddoppiati e che avrebbero interessato anche l'abitato di Granarolo. Contemporaneamente, non è immaginabile un ampliamento della via Fabbra (quella più coinvolta) che ricade in zona di tutela dell'impianto storico della centuriazione romana.

Anche sulla materia edilizia i servizi non hanno inteso dare un parere favorevole circa le nuove costruzioni previste. Più contorta l'espressione formulata, tra i vari pareri, sul rischio idraulico che rimanda al Piano speciale definitivo, non ancora approvato, e alle competenze del Comune di Faenza.

In ogni caso la conclusione della Conferenza dei servizi è stata negativa.

Naturalmente la società BYS potrà, entro 10 giorni, presentare proprie osservazioni ed eventualmente presentare ricorso.

Auspichiamo che ciò non avvenga, vista la situazione critica di quella zona, piuttosto sarebbe meglio che la società valutasse di trasferire un eventuale impianto di biogas e biometano in una zona più adeguata, naturalmente con tutti i crismi che impianti di questo tipo devono avere.

Questo per ribadire quanto abbiamo esplicitato più volte: Legambiente appoggia la giusta protesta dei cittadini coinvolti dall'impianto in questione, mentre altre opposizioni di principio, pur legittime, non aiutano la costruzione delle alleanze necessarie per far progredire una vera transizione energetica che cominci a fare a meno delle fonti fossili. Oltre ad opporsi a scelte sbagliate è necessario promuovere quelle necessarie.

Non siamo contro impianti di biogas e biometano, quando questi sono “fatti bene”. Ossia, quando sono opportunamente progettati, alimentati con i previsti materiali di scarto e di recupero (non con colture agricole dedicate che oggi sono vietate) recuperati da zone limitrofe e collocati in aree dove possano avere il minimo impatto ambientale e territoriale.

Se vogliamo progressivamente fare a meno delle attuali fonti, tra cui il gas fossile, un po' di biometano può servire, ma soprattutto è necessario aumentare tutta la produzione da fonti rinnovabili e promuovere l'elettrificazione dei consumi.

A questo proposito vista la realtà del nostro territorio che vede una grande produzione di energia elettrica, in buona parte da fonti rinnovabili, riteniamo necessario, insieme al “Tavolo ambiente”, chiedere urgentemente all'Amministrazione dell'URF una verifica e una rendicontazione dei risultati del Piano di Azione per l'Energia Sostenibile e il Clima (PAESC) per valutare le ulteriori azioni che si possono mettere in atto per accelerare la transizione energetica.

 

Circolo Legambiente Lamone Faenza

 

 

Emilia-Romagna Regione di Pace che ripudia la guerra

Al Presidente della Regione Emilia-Romagna
MICHELE DE PASCALE
Signor Presidente,
l’umanità attraversa un passaggio storico epocale, caratterizzato contemporaneamente dalla crisi sistemica globale – climatica, energetica, idrica, migratoria – e dalla ridefinizione degli assetti di potere globale. Entrambi i processi generano crescenti conflitti internazionali, che degenerano in guerre ed in enormi movimenti migratori, e i cui indicatori sono sempre più preoccupanti: le spese militari – globali e nazionali – non avevano mai raggiunto l’accelerazione in corso (dati SIPRI: 2443 miliardi di dollari nel 2024; dati Milex per l’Italia 32 miliardi di euro), che sottrae risorse agli investimenti civili e sociali; il pericolo di guerra nucleare non è mai stato così alto (dati Bollettino scienziati atomici: 90 secondi dalla mezzanotte nucleare); non era mai avvenuto prima un conflitto bellico in Europa che vede fronteggiarsi, seppur a distanza, due potenze atomiche; non abbiamo mai assistito prima al genocidio di un popolo in diretta televisiva, come quello dei palestinesi a Gaza; le Nazioni Unite non erano mai state bombardate prima d’ora, e non metaforicamente, oltre che rese impotenti nella capacità di interventi di peacekeeping (le cui risorse sono pari allo 0.3% delle spese militari).
Ma la degenerazione bellica dei conflitti è solo la punta dell’iceberg di un sistema di guerra che prepara e legittima questo esito: è il punto di esplosione di una lunga e articolata filiera di guerra. Rispetto alla quale se le Regioni non possono fermare direttamente la violenza delle guerre una volta avviate, possono invece contribuire attivamente a decostruirne la filiera, sui piani culturale, strutturale e normativo, ed a costruirne le alternative. Non solo, peraltro, nell’interesse generale del Paese, ma anche in quello specifico dei suoi cittadini, visti i gravosi e crescenti tagli ai trasferimenti dallo Stato centrale agli Enti Locali a fronte dei crescenti trasferimenti alle spese militari, che nel 2025 rompono per la prima volta la barriera dei 30 miliardi di euro, ma sono destinate a salire ancora di molto. Si tratta, dunque, di mettere in campo politiche attive di pace, a livello territoriale, su molti piani interconnessi. Come richiesto dalla straordinaria mobilitazione per una Emilia-Romagna regione di pace che si è svolta il 1° gennaio 2025 da Piacenza a Rimini.
Ecco, di seguito, alcuni esempi di politiche attive di pace che possono essere adottate.
Sul piano strutturale:
- Monitorare le attività economiche e finanziarie che nel territorio regionale si occupano –direttamente o indirettamente – di produzione di materiale bellico e sostenere i percorsi di riconversione civile delle medesime aziende, istituendo una peace list;
- istituire un fondo regionale, di concerto con i sindacati, per supportare i lavoratori che decidessero di fare obiezione di coscienza all’industria bellica;
- adottare un codice etico war free per gli appalti pubblici regionali, le sponsorizzazioni e le collaborazioni, sotto qualunque forma denominati;
- aderire e promuovere campagne nazionali per il disarmo e l’economia di pace anziché di guerra.
Sul piano culturale:
- Sottoscrivere un protocollo con l’Ufficio Scolastico Regionale per arginare la “militarizzazione delle scuole” dell’Emilia-Romagna e, invece, promuovere e finanziare percorsi di educazione alla pace in tutte le scuole e di formazione alla nonviolenza per insegnanti e educatori;
- organizzare nei luoghi della memoria della nostra regione – da Monte Sole a Fossoli, da Casa Cervi a Villa Emma – soggiorni estivi di formazione alla risoluzione nonviolenta dei conflitti con “gruppi misti” di bambini/e e ragazzi/e provenienti dai paesi in guerra (russi e ucraini, israeliani e palestinesi, ecc.) ed emiliano-romagnoli, in collaborazione con le organizzazioni
pacifiste e nonviolente nazionali e internazionali;
- realizzare di un Festival della Pace e della Nonviolenza, a cadenza annuale, itinerante sui territori della regione in collaborazione con i Comuni e le organizzazioni pacifiste e nonviolente dei diversi territori;
- farsi promotrice di una “Accademia della pace”, in collaborazione con la rete Runipace e i centri di ricerca presenti sul territorio regionale, per promuovere la ricerca e la formazione alla trasformazione nonviolenta dei conflitti, su tutte le scale, come competenza distintiva della Regione (della quale un primo passo potrebbe consistere nel favorire il confronto su scala regionale tra gli Atenei aderenti a Runipace, il potenziamento degli insegnamenti su nonviolenza e gestione dei conflitti nei diversi corsi di laurea: economia, scienze sociali, psicologia, giornalismo, diritto, ecc.).
Sul piano normativo e delle politiche attive:
- Aggiornare, integrare e finanziare adeguatamente, a questo scopo, la Legge regionale 12/02 sulla cooperazione internazionale e la pace;
- costituire corridoi umanitari per i profughi dai paesi in guerra, in particolare per i minori palestinesi, e strumenti di protezione alle vittime dei conflitti e della violenza;
- riconoscere lo status di rifugiato agli obiettori di coscienza e disertori di tutte le guerre in corso;
- prevedere percorsi di supporto specifici nell’accoglienza dei migranti e delle migranti, di ogni età, che provengono da paesi in guerra e ne portano il trauma e favorire, sul nostro territorio, esperienze di dialogo e di riconoscimento reciproco tra gruppi e comunità che vivono in Emilia-Romagna e i cui paesi di provenienza sono tra loro ostili;
- aderire alla campagna nazionale per la “Difesa civile non armata e nonviolenta” ed avviarne la sperimentazione locale, anche in collegamento con i progetti di servizio civile regionale.
Come vede, Signor Presidente, si tratta di un insieme di misure, coerenti e coordinate, per fare dell’Emilia-Romagna una “Regione di pace che ripudia la guerra”.
La condizione necessaria per poter realizzare progressivamente questa agenda di politiche attive di pace è dotare il governo della Regione di una Delega alla pace ed alla nonviolenza, non simbolica, ma strutturale e strutturata, ossia dotata:
1. di un capitolo di bilancio ad essa specificamente dedicato;
2. di una struttura organizzativa di supporto;
3. di un Tavolo della pace permanente di concertazione con le organizzazioni della società civile impegnate per la pace e la nonviolenza.
La Regione non potrà fermare le guerre ma sicuramente potrà preparare la pace, secondo l’adagio nonviolento, caro ad Aldo Capitini: “se vuoi la pace, prepara la pace”. Per questo Le rivolgiamo fiduciosa richiesta di tempestivo incontro, al fine di ascoltare le Sue indicazioni e condividere le migliori decisioni che vorrà assumere.
Le Reti Centri Comitati e Movimenti per la pace e la nonviolenza in Emilia-Romagna
Reti Europe for Peace e Portico della Pace - BOLOGNA
Rete Overall Faenza Multiculturale - FAENZA
Movimento Nonviolento - FERRARA
Centro per la Pace "Annalena Tonelli" - FORLI
Comitato Pace e Diritti - IMOLA
Rete Tam Tam Tavolo Associazioni di Pace - MODENA
Rete Casa della Pace - PARMA
Rete Europe for Peace - PIACENZA
Rete Europe for Peace REGGIO EMILIA
Rete Pace RIMINI
Bologna, 17 gennaio 2025

“Su autonomia differenziata, metteremo in campo tutte le iniziative necessarie per chiedere al Parlamento l’abrogazione”

Roma, 20 gennaio - Dopo la decisione della Consulta, per quel che riguarda i quesiti sui temi del lavoro e della cittadinanza si aprirà una grande stagione di partecipazione che metterà al centro le persone e le loro libertà sul lavoro e nella vita”. Così il segretario generale della Cgil in merito alla decisione di oggi della Corte Costituzionale sui referendum abrogativi.

Per Landini: “Bisogna porre fine alla precarietà, alle morti sul lavoro, ai licenziamenti ingiusti, occorre dare cittadinanza a migliaia di italiani. Per queste ragioni la Cgil inviterà tutti i cittadini a votare sì a tutti e cinque i quesiti”

“per riguarda il quesito sull'autonomia differenziata, in attesa di conoscere le ragioni dell'inammossibilità, - aggiunge il leader della Cgil - ribadiamo la nostra convinta contrarietà alla legge. Per queste ragioni, in accordo con tutti i soggetti promotori con i quali abbiamo raccolto le firme per il quesito, metteremo in campo nel Paese tutte le iniziative necessarie per chiedere al Parlamento l’abrogazione della legge Calderoli”.

“Ci auguriamo che al più presto venga definita la data della consultazione referendaria per consentire - conclude Landini - il giusto svolgimento di una campagna elettorale che dia voce alle diverse posizioni sui quesiti”.

Presentati i risultati ottenuti in questo anno di attività e i dati degli ultimi campionamenti delle acque di cinque fiumi della regione

Si è tenuto oggi a Faenza l’incontro conclusivo del progetto “Controcorrente – la NET generation e la sfide del clima che cambia” finanziato con fondi della Regione Emilia-Romagna, settore politiche sociali. Il convegno, oltre a dare evidenza dei risultati raggiunti dal progetto, ha voluto fare luce sulle politiche e le dinamiche di gestione dei corsi idrici alla luce dei cambiamenti climatici in corso. L’evento ha visto la partecipazione di Giuseppe Bortone, direttore di ARPA Emilia-Romagna partner di progetto, di Michela De Biasio,  Agenda Digitale della Regione Emilia-Romagna che sta coordinando progetti di interesse regionale che prevedono attività di Citizen SciencePatrizia Ercoli,  responsabile dell'Area Tutela e Gestione Acqua della Regione Emilia Romagna che ha illustrato gli strumenti regionali ed europei per la gestione della qualità delle acque, e Andrea Colombo, dirigente Settore Tecnico valutazione e gestione dei rischi naturali dell’Autorità di Bacino del Fiume Po che ha presentato l’attività in corso rispetto allo sviluppo dei Piani Speciali.

Il progetto Controcorrente – la NET generation e la sfida del clima che cambia” ha avuto l’obiettivo di far acquisire consapevolezza alle giovani generazioni riguardo i cambiamenti climatici che avvengono nei territori, lavorando su alcuni corsi idrici significativi come elemento che attraversa il territorio stesso. I fiumi coinvolti nel progetto sono stati 5, ognuno collegato ad un tema specifico di approfondimento: il fiume Trebbia è stato connesso al tema del deflusso ecologico, l’Enza alla gestione idrica, il Lamone al rischio idrogeologico, il Savio alla gestione della vegetazione e il Po di Volano al turismo fluviale.

Le azioni svolte hanno visto la partecipazione diretta della cittadinanza, attraverso attività di Citizen science, monitoraggio della qualità delle acque, incontri di approfondimento organizzati con modalità innovative ed escursioni nei territori.

Le varie iniziative realizzate hanno visto complessivamente la partecipazione di oltre 400 cittadini, mentre il materiale di comunicazione prodotto (post, comunicati stampa, newsletter e il podcast) ha interessato un pubblico di oltre 20mila persone, indice di un interesse crescente verso le tematiche ambientali che riguardano da vicino le comunità.

Tra le attività previste era compreso il monitoraggio della qualità delle acque, con l’analisi dei parametri microbiologici e chimici e la ricerca di un pesticida, il glifosato o del suo metabolita, l’AMPA. Il glifosato è un erbicida molto diffuso in ambito agricolo e riconosciuto per la sua efficacia, ma ne è stata dimostrata anche la forte tossicità per gli insetti impollinatori, mentre la possibile correlazione con lo sviluppo di tumori nell’uomo è ancora oggetto di discussione all’interno della comunità scientifica (l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’OMS lo ha inserito tra le 66 sostanze fattori di rischio).

I monitoraggi sono stati eseguiti su almeno 4 punti localizzati lungo l’asta di ciascun fiume in due momenti diversi dell’anno, in modo da poter compiere un confronto tra diverse stagioni.

I dati emersi nei due momenti hanno dato risultati decisamente variabili, anche legati alle diverse condizioni meteorologiche e di campionamento. Se i dati rilevati nella tarda primavera hanno presentato una situazione complessivamente buona, con la presenza di un numero limitato di campioni con valori fuori norma, i dati raccolti nel corso dell’autunno hanno invece restituito un quadro più negativo, anche a causa della maggiore piovosità e della situazione di piena di alcuni corsi d’acqua.

I dati relativi ai nitrati hanno sforato la soglia di “sufficienza” proposta dall’indice LIMeco (scala utilizzata per la valutazione) in 3 corsi d’acqua su 5; i dati microbiologici restituiscono inoltre alcune situazioni puntuali che dovranno essere monitorate in futuro.

Queste attività di monitoraggio, come previsto dal quadro progettuale, non possono sostituirsi alle indagini compiute dall’agenzia regionale ARPAE, competente per i monitoraggi ufficiali; i dati raccolti costituiscono soltanto una “fotografia” di una situazione puntuale che può però fornire indicazioni per le attività di analisi dell’agenzia stessa.

Il progetto Controcorrente è stato sviluppato in una fase storica nella quale il ruolo dei fiumi, sia dal punto di vista del mero approvvigionamento idrico sia da quello della qualità della rete ecologica, è sempre più all’attenzione dei decisori politici”, ha commentato Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia-Romagna. “Le attività di questi mesi hanno consentito di coinvolgere persone e comunità in un confronto sempre più ampio su quali siano le funzioni ecosistemiche che i fiumi stessi devono garantire al territorio, assumendo anche prospettive decisamente differenti da quelle proposte negli ultimi decenni. Gli eventi estremi, che hanno interessato in questi anni il territorio dell’Emilia-Romagna con una frequenza e un’intensità notevoli rispetto al passato, rappresentano un’indicazione chiara rispetto alla necessità di affrontare questo cambiamento di prospettiva in modo sempre più diffuso e profondo.

A conclusione degli interventi programmati il Direttore regionale Francesco Occhipinti ha annunciato la recente costituzione di un Comitato Tecnico Scientifico “Agire” , di cui la loro comunicazione ufficiale sulla pagina Fb, che è stata illustrata dall'ing. idraulico Andrea Nardini.

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TABELLA DATI MONITORAGGIO

 

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