Cristina Faciaben (Comisiones obreras) e Jesús Gallego (Ugt) commentano le misure che hanno rilanciato l'occupazione e rovesciato i mantra neoliberisti
Il report di Legambiente sugli ostacoli che frenano lo sviluppo delle fonti pulite
Italia in forte ritardo nella realizzazione di nuovi impianti da rinnovabili
Sono 1364 quelli in lista d’attesa e ancora in fase di valutazione. In Emilia-Romagna 23 gli impianti in attesa di valutazione.
Legambiente Emilia-Romagna: "È il momento che l’intera classe dirigente dell’Emilia-Romagna prenda una posizione netta a sostegno della realizzazione di nuovi impianti a fonti rinnovabili sul nostro territorio"
A pesare la lentezza degli iter autorizzativi e le lungaggini burocratiche
di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali, i due principali colli di bottiglia dei processi autorizzativi. A Rimini ancora fermi 330mw di energia pulita del Parco Eolico Off-shore
Cartella stampa digital (mappa, tabelle, videointerviste, videoscheda)
In Italia lo sviluppo delle rinnovabili continua ad essere una corsa ad ostacoli. A pesare in prima battuta norme obsolete e frammentate, la lentezza degli iter autorizzativi, gli ostacoli e le lungaggini burocratiche di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali i due principali colli di bottiglia dei processi autorizzativi. Il risultato finale è che nella nostra Penisola l’effettiva realizzazione di nuovi impianti da fonti pulite resta timida e insoddisfacente, quasi un miraggio nel 2022. A parlar chiaro i numeri del nuovo report di Legambiente “Scacco matto alle rinnovabili 2023” presentato questa mattina alla Fiera K.EY di Rimini insieme ad un pacchetto di proposte e ad un’analisi su 4 legge nazionali e 13 leggi regionali che frenano la corsa delle fonti pulite.
Ad oggi nella Penisola sono 1364 gli impianti in lista d’attesa, ossia in fase di VIA, di verifica di Assoggettabilità a VIA, di valutazione preliminare e di Provvedimento Unico in Materia Ambientale a livello statale. Il 76% distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. A fronte di questo elevato numero di progetti in valutazione - e nonostante le semplificazioni avviate dall’ex Governo Draghi e l’istituzione e il potenziamento appena stabilito delle due Commissioni VIA-VAS che hanno il compito di rilasciare un parere sui grandi impianti strategici per il futuro energetico del Paese - sono pochissime le autorizzazioni rilasciate dalle Regioni negli ultimi 4 anni. Nel 2022 solo l’1% dei progetti di impianti fotovoltaici ha ricevuto, infatti, l’autorizzazione. Si tratta del dato più basso degli ultimi 4 anni se si pensa che nel 2019 a ricevere l’autorizzazione sono state il 41% delle istanze, per poi scendere progressivamente al 19% nel 2020, al 9% nel 2021. Ancor peggio i dati dell’eolico on-shore con una percentuale di autorizzazioni rilasciate nel 2019 del 6%, del 4% nel 2020, del 1% nel 2021 per arrivare allo 0% nel 2022. In questo quadro, l’Emilia-Romagna si classifica tra le regioni con meno eolico approvato nel 2022. Dati nel complesso preoccupanti se si pensa che negli ultimi anni sono aumentati sia i progetti presentati sia le richieste di connessione alla rete elettrica nazionale di impianti di energia a fonti rinnovabili, quest’ultime sono passate da 168 GW al 31 dicembre 2021 ad oltre 303 GW al 31 gennaio 2023. Altro campanello d’allarme è rappresentato anche dalla lentezza delle installazioni, come emerge dagli ultimi dati Terna, appena 3.035 MW nel 2022 - e l’incapacità produttiva del parco complessivo di sopperire alla riduzione di produzione. Le fonti rinnovabili, fotovoltaico a parte, nel 2022 hanno fatto registrare, tutte, segno negativo. L’idroelettrico, complice l’emergenza siccità, registra un meno 37,7% a cui si aggiunge il calo del 13,1% in tema di produzione da pompaggi che portano il contributo delle rinnovabili, rispetto ai consumi complessivi, al 32%. Ovvero ai livelli del 2012.
In questa corsa ad ostacoli, oltre alla lentezza degli iter autorizzativi e all’eccessiva burocrazia di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali, a pesare sono anche i no delle amministrazioni comunali e le opposizioni locali NIMBY (Not In My Backyard) e NIMTO (Not In My Terms of Office). Ostacoli che Legambiente racconta anche nella mappa aggiornata dei luoghi simbolo con storie, che arrivano dal Nord al Sud della Penisola, di progetti bloccati e norme regionali e locali che ostacolano le rinnovabili. Ventiquattro le nuove storie sintetizzate nella mappa, che si aggiungono alle 20 dello scorso anno. Tra i casi più emblematici ritroviamo il Parco Eolico Offshore di Rimini, con i suoi 330mw di energia rinnovabile ferma in fase di VIA. già segnalato nell’edizione precedente. Legambiente rilancia oggi le sue proposte per accelerare lo sviluppo delle rinnovabili in Italia e l’effettiva realizzazione degli impianti a partire dall’aggiornamento delle Linee Guida per l’autorizzazione dei nuovi impianti ferme al 2010 e un riordino delle normative per arrivare, attraverso un lavoro congiunto, tra il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e il Ministero della Cultura, per arrivare ad un Testo Unico che semplifichi gli iter di autorizzazione degli impianti, definisca in modo univoco ruoli e competenze dei vari organi dello Stato, dia tempi certi alle procedure. In questa partita rimane centrale il dibattito pubblico, uno strumento strategico sia per migliorare l’accettabilità sociale dei progetti sia per accelerare i processi autorizzativi ed evitare contenziosi inutili.
"È il momento che l’intera classe dirigente dell’Emilia-Romagna prenda una posizione netta a sostegno della realizzazione di nuovi impianti a fonti rinnovabili sul nostro territorio" - commenta Davide Ferraresi, presidente di Legambiente Emilia-Romagna - "Alla luce degli ambiziosi impegni del Patto per il Lavoro e il Clima, che dovrebbero vedere il 100% di produzione di energia da fonti rinnovabili al 2035, e degli iter autorizzativi non sempre fluidi raccontati dal nostro dossier, continua a manifestarsi l’opposizione di esponenti politici di diversi partiti e Amministrazioni al rafforzamento del parco impianti regionale: questo sta avvenendo in tutti i territori, dalla montagna alla costa. È il momento invece di prendere coscienza di quanto sia urgente affrancarci dalle fonti di energia fossili e ridurre la nostra dipendenza dall’importazione di energia dall’estero.”
“Questo ritardo culturale è ancora più grave a fronte della rapidità con cui è stato approvato il progetto del nuovo rigassificatore di Ravenna, in soli 120 giorni, per decisione del Governo nazionale e con l’appoggio della Giunta regionale. A questo punto occorre procedere celermente con la chiusura dell’iter autorizzativo del parco eolico offshore di Rimini e discutere costruttivamente del progetto proposto per Ravenna, due asset chiave per la transizione ecologica a livello regionale e nazionale, con 930MW di energia complessiva in attesa di approvazione."
“Le fonti rinnovabili, insieme a politiche serie e lungimiranti di efficienza energetica, rappresentano una chiave strategica non solo per decarbonizzare il settore energetico, priorità assoluta nella lotta alla crisi climatica, ma anche per portare benefici strutturali nei territori e alle famiglie e per creare opportunità di crescita ed innovazione in ogni settore. Se è vero che non esiste l’impianto perfetto - commenta Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente - è altrettanto vero che questi impianti possono essere integrati al meglio ed essere valore aggiunto per i cittadini e le cittadine che vivono quei territori. Per questo è fondamentale non depotenziare uno strumento prezioso come quello del dibattito pubblico, come rischia di fare il Governo Meloni con la nuova proposta del Codice degli Appalti. La partecipazione dei territori e il loro protagonismo sono parte essenziale della giusta transizione energetica”.
Controesempi da prendere come modello: Due le buone pratiche raccontare da Legambiente. Quella della Campania, dove prima del 2021 erano presenti 183 istanze di autorizzazione per impianti da fonti rinnovabili ferme, alcune addirittura dal 2006. La Regione è intervenuta sulla Legge Regionale n.37 del 2018 e grazie alla modifica apportata, è stato possibile riaprire una call per tutti i progetti che risultavano bloccati. In Calabria dal 16 maggio 2022 la Regione ha disposto che i procedimenti di Autorizzazione Unica degli impianti da fonte rinnovabile e le procedure connesse saranno molto più agevoli.
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Ufficio Stampa - Legambiente Emilia Romagna
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L'osservatorio Mil€x fa i conti e valuta attorno al miliardo di euro le spese complessive dell'aiuto militare dell'Italia all'Ucraina
Raggiunge quasi il miliardo di euro il costo complessivo dell’aiuto militare all’Ucraina da parte dell'Italia. Sono le stime dell'Osservatorio Mil€x, che definisce quindi poco fondate le dichiarazioni in merito rese dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Che, davanti al Parlamento, ha sostenuto che l’invio di armi all’Ucraina non costituirebbe un costo per le casse pubbliche e quindi una sottrazione di risorse al bilancio dello Stato.
Parole smentite, spiega Mil€x, “dalla natura del meccanismo di sostegno militare implementato già poche settimane dopo l’invasione russa”, ma che assumono rilevanza politica e sul fronte della valutazione delle cifre, anche a fronte dell’imposizione europea di una rivalutazione del costo complessivo degli aiuti militari.
Mill€x illustra inoltre il meccanismo con il quale si decide nel nostro Paese l'invio di armi: si procede per decreto legge, quindi, attraverso i decreti interministeriali, sono individuati materiali di armamento in surplus delle Forze Armate italiane, che vengono quindi spediti in Ucraina. Non vi è quindi una spesa elevata immediata, ma i costi sono quelli logistici di spedizione e di successivo ripristino delle scorte. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha infatti dichiarato “esplicitamente lo scorso 25 gennaio 2023, durante un’audizione parlamentare, che l’Italia dovrà comprare di nuovo le armi che ha spedito gratuitamente all’Ucraina”.
L’Osservatorio sulle spese militari ragiona dati alla mano, nonostante la secretazione dei dettagli non consenta una valutazione precisa e completamente certa, riservandosi quindi un aggiornamento dei dati stessi nel caso in cui il governo rendesse noti ulteriori elementi e precisando che le nuove stime (oltre 950 milioni previsti) derivano dagli ultimi annunci in sede europea relativi all’aumento dei fondi dell’European Peace Facility destinati al Governo di Zelensky, oltre che dalle valutazioni relative ai primi sei invii di armamenti italiani.
A sostenere lo sforzo degli Stati è quindi l’European Peace Facility, che procede ai rimborsi in base alle stime del controvalore degli armamenti inviati. Nel contempo, però, l’Epf è finanziato dai contributi annuali degli Stati membri dell’Unione, stabiliti in base a calcoli sul reddito nazionale lordo, così che la contribuzione dell’Italia è di circa il 12,8% del totale.
Il rimborso, continua a spiegare l’Osservatorio, “non potrà però coprire integralmente le richiese proprio per l’enorme invio di sistemi d’arma effettuato nell’ultimo anno: attualmente si prevede una restituzione attorno al 50% del valore spedito (ma tale quota potrebbe scendere ulteriormente in quanto secondo diversi retroscena molti Stati starebbero gonfiando le cifre relative alle proprie spedizioni)”.
Il costo dell’invio di armi, quindi, non è direttamente legato al ripristino delle scorte, ma è rilevante. Fatti i debiti calcoli con i dati del controvalore, dei rimborsi eventuali e della contribuzione dell’Italia all’Epf, Mil€x arriva a calcolare "a oggi un costo già sicuro di 838 milioni di euro e un costo in prospettiva di oltre 950 milioni di euro. La differenza deriva dal fatto che al momento l’Italia non ha ancora formalizzato la propria partecipazione alla seconda tranche dei programmi di nuovo munizionamento, pur se è probabile che lo farà, così come è abbastanza probabile che debba comunque pagare la propria quota”
La premier, nel suo intervento al congresso della Cgil, ha difeso la riforma fiscale. Le rispondiamo punto per punto
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando alla platea del XIX congresso della Cgil, si è soffermata lungamente sulla legge delega per la riforma fiscale, provando a disegnarla come una riforma importante e positiva per i lavoratori e i pensionati. La realtà è invece che tale legge delinea un sistema fiscale estremamente frammentato, che individua una tassazione diversa a seconda di una molteplicità di fattori. Sembra proprio che una cedolare, o una flat tax, non la si voglia negare a nessuno. Pensavamo fossero già troppe, ebbene questa delega ne aggiunge di ulteriori. Di seguito il fact checking all’intervento di Giorgia Meloni.
A mio avviso (la legge delega fiscale) è stata un po' frettolosamente bocciata da alcuni. Noi lavoriamo per consegnare agli italiani una riforma complessiva del sistema fiscale che migliori l'efficienza della struttura delle imposte, che riduca il carico fiscale, che contrasti adeguatamente l'evasione fiscale con un tax gap che è stabilmente intorno ai 100 miliardi di euro.
L’evasione fiscale, storicamente, diminuisce quando
Leggi tutto: Tasse: presidente Meloni, se permette, un po' di chiarezza - di Cristian Perniciano
Anche Russi, come Imola, Bologna, Milano, Parigi, Düsserdolf e tantissime altre città piccole e grandi, si è attrezzata con le cosiddette “case avanzate”.
Possibile che molti fruitori delle strade di Russi non siano nemmeno a conoscenza della loro definizione tecnica. Resta il fatto che, seppure le case avanzate siano state introdotte a Russi da non molto tempo, si direbbero già un elemento urbano usuale, riconosciuto e rispettato nel modo più corretto sia dagli automobilisti,
che dai ciclisti.
In fondo, si tratta un intervento tanto semplice ed economico,
quanto efficace.
Ma perché andare proprio a Russi, in bicicletta, per fotografarle?
Perché, per chi vive e si muove a Faenza ed è venuto a conoscenza di questa soluzione vivamente consigliata nel Piano Generale della Mobilità Ciclistica urbana ed extraurbana 2022-2024 del Ministero delle infrastrutture e dalla mobilità sostenibili, Russi è la località più vicina nella quale se ne può constatare l’utilizzo e l’impatto sulla viabilità. Faenza ne è, infatti, sprovvista e non si intravedono nel recente futuro interventi in tale direzione. Perché le si ritiene di difficoltosa realizzazione? Oppure perché si valuta con preoccupazione l’introduzione di una innovazione coinvolgente sia gli automobilisti che i ciclisti? Quanti incidenti, nel conflittuale utilizzo delle sede stradale tra automobilisti e ciclisti, immaginiamo si chiedano i decisori, potranno verificarsi prima che il sistema della case avanzate, peraltro ideato proprio per rendere più sicuro il muoversi dei ciclisti in città, diventi un elemento usuale per tutti?
Basterebbe andare a Russi, una qualsiasi mattina, e a chiunque capiterebbe di assistere ad una scena, simile a quella che abbiamo filmato, per capire che non esiste un’idea più semplice e più efficace delle “case avanzate”. Bene, occorre aggiungere che i protagonisti del breve video non sono due ciclisti di Russi ormai navigati nel rispetto di questo intervento urbanistico così radicale, ma due ciclisti faentini alla loro prima esperienza con una casa avanzata.
Verrebbe da dire: avanzata Russi e immobile, quanto meno, Faenza.
Presentata durante l'assise la grande inchiesta voluta dalla Cgil su condizioni e aspettative di lavoratrici e lavoratori
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Aumento dei salari, difesa e aumento dell’occupazione, contrasto alla precarietà, salvaguardia del ruolo dei servizi pubblici (sanità, scuola, trasporti), lotta alle diseguaglianze e alla povertà. Sono queste le priorità su cui i lavoratori chiedono al sindacato di intervenire quali risultano dalla grande indagine nazionale realizzata dalla Cgil (“Inchiesta nazionale sulle condizioni e le aspettative delle lavoratrici e dei lavoratori”) con la collaborazione della Fondazione Di Vittorio e che è stata presentata nel corso del XIX congresso della Confederazione che si sta svolgendo a Rimini.
Il mondo del lavoro è attraversato da profonde trasformazioni, dovute agli impatti della pandemia, alla diffusione dirompente di innovazioni tecnologiche e digitali, alla trasformazione ambientale ed energetica, a un susseguirsi di crisi economiche e sociali che hanno portato a continui cambiamenti, nei settori pubblici e privati.
Proprio per questo la Cgil ha deciso, partendo dal punto di vista delle lavoratrici e dei lavoratori, di verificare le loro condizioni, le aspettative e, appunto, le conseguenti priorità per l’azione sindacale.
L’Inchiesta nazionale è stata condotta in collaborazione con tutte le strutture della Confederazione, avvalendosi di un ampio gruppo di ricerca interdisciplinare che ha operato con un approccio inclusivo, partecipativo e collaborativo, utilizzando un unico questionario, sia tramite web che in forma cartacea, intercettando chiunque volesse rispondere: lavoratrici e lavoratori con qualsiasi tipologia contrattuale, in ogni settore e dimensione di impresa, considerando anche chi era disoccupato.
Hanno risposto al questionario più di 50.000 persone e quelli ritenuti validi per le analisi (cioè completi in tutte le risposte ritenute fondamentali) sono 31.014. A questi vanno aggiunti circa 1.500 questionari compilati da disoccupati, ancora da analizzare.
“Si tratta di un risultato molto importante che segnala la volontà di partecipare alle scelte sindacali esprimendo la propria opinione, non solo rispondendo alle domande del questionario ma anche con circa 20.000 persone che hanno deciso di esprimere in aggiunta un loro libero commento”, spiegano alla Fondazione Di Vittorio.
I risultati consentono di effettuare una lettura del mondo del lavoro approfondita e articolata, che aiuta a comprendere la complessità delle condizioni e le sfide che devono essere affrontate dai lavoratori tutti e dal sindacato. Oltre a quelle indicate sopra emerge dalle risposte la rilevanza delle differenze di genere; i percorsi della precarietà; le condizioni di lavoro e le modalità in cui è organizzato; l’innovazione delle imprese e gli investimenti nella sostenibilità ambientale; la diffusione del lavoro da casa; i rischi per la salute psico-fisica; la condizione dei migranti; il ruolo e il rapporto con il sindacato; le aspettative sindacali su contrattazione, servizi e dialogo sociale.
“Questa prima analisi evidenzia e conferma come alcuni dei principali temi al centro del Congresso della Cgil, sono anche priorità nelle risposte al questionario”, spiegano i ricercatori.
Tante questioni con un ineludibile elemento comune: la necessità di ricomposizione del mondo del lavoro e dell’azione sindacale puntando sia sul ruolo fondamentale che viene assegnato al tema dei diritti che sulle tante specificità che caratterizzano il mondo del lavoro.