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  https://www.change.org/defendalbanesefrancesca

 

Al Segretario Generale delle Nazioni Unite,

Al Governo Italiano,

Al Parlamento Europeo,

Alla società civile globale

Noi sottoscritti, cittadini, accademici, operatori umanitari, attivisti e professionisti di ogni settore, esprimiamo la nostra totale solidarietà a Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, recentemente colpita da sanzioni politiche da parte del Governo degli Stati Uniti.

La sua “colpa”? Aver svolto il proprio mandato indipendente, chiedendo che la giustizia internazionale accerti le responsabilità per gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario a Gaza.

Queste sanzioni rappresentano un grave attacco alla libertà e all’autonomia delle Nazioni Unite, minano il rispetto del diritto internazionale e colpiscono chi si batte per la verità, la responsabilità e la protezione dei civili.

Con questa petizione chiediamo con urgenza:

Una presa di posizione ufficiale del Governo italiano e dell’Unione Europea in difesa di Francesca Albanese e del suo operato;
La condanna delle sanzioni politiche contro funzionari ONU, espressione di un tentativo inaccettabile di delegittimazione e intimidazione;
La garanzia della sicurezza diplomatica, personale e istituzionale per la relatrice speciale e per tutti i funzionari indipendenti delle Nazioni Unite;
Il rafforzamento del sostegno alle istituzioni internazionali di giustizia, affinché possano operare senza condizionamenti politici e pressioni esterne.

Francesca Albanese ha agito nel rispetto del mandato conferitole dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Chi difende il diritto non può essere lasciato solo.

Chiediamo giustizia, protezione e rispetto per chi lotta per i diritti umani.

Chiediamo che l’Europa, l’Italia e le Nazioni Unite stiano #ConFrancesca.

Firma anche tu. Per la dignità del diritto, per chi ha il coraggio di farlo valere.

#StandWithFrancesca #DirittoInternazionale #JusticeIsNotACrime

Dopo mesi di incontri inconcludenti, la giunta de Pascale cala la maschera. La delibera che avrebbe dovuto regolare dal 2025 il nuovo sistema di accreditamento (DGR 1638/2024) con procedure trasparenti e miglioramenti dei servizi per anziani e disabili e per le lavoratrici ed i lavoratori che assicurano le prestazioni, frutto anche di un faticoso percorso di confronto con le OO.SS., è stata sospesa “fino al 31.12.2026, o, comunque, fino all’eventuale nuovo termine disposto da sopravvenute disposizioni normative e atti della competente Amministrazione statale”. Una resa totale a favore dei gestori dei servizi socio-sanitari accreditati ed a danno dell’utenza e del personale impegnato nelle CRA, nei servizi di assistenza domiciliare, nei centri diurni e nelle strutture socio sanitarie riabilitative.
In pratica i gestori di questi servizi, dopo oltre dieci anni ininterrotti di rinnovi, ottengono un’ulteriore proroga dei contratti di servizio, senza una scadenza precisa e senza che venga loro chiesto alcun miglioramento qualitativo, incassando però tutti gli aumenti di rette richiesti, sia a carico dell’utenza sia a carico del Fondo Regionale per la non autosufficienza, incrementato grazie all’aumento dell’addizionale IRPEF ed all’introduzione dei ticket sui farmaci.
Questa scelta avviene dopo approfondimenti giuridici e richieste di chiarimenti al Ministero, giustificando così, sul piano giuridico, una precisa rivendicazione dei gestori, che fanno capo prevalentemente alle centrali cooperative, venendo meno ad ogni impegno assunto nei confronti di Cgil Cisl Uil come ribadito nell’ambito del complesso confronto sul bilancio 2025 della regione.
Se tutto può restare invariato per almeno due anni, allora la Regione deve avere il coraggio anche di farsi carico dell’aumento delle rette già disposto dal 2024 e che, dal 2025 non può più contare nemmeno sulla restituzione a favore dei redditi medio bassi.
Nel frattempo però, in assenza di qualsivoglia prospettiva di miglioramento delle condizioni di lavoro per Operatori Socio Sanitari ed infermieri, continuerà la fuga da queste professioni, mettendo di fatto in discussione la tenuta stessa del sistema ed il ruolo di governo pubblico indispensabile a fronte dell’impiego di risorse pubbliche, frutto della fiscalità generale che grava quasi esclusivamente su lavoro dipendente e pensioni.
L’assessora Conti smentisce se stessa ad ogni incontro, evidenziando una palese difficoltà ad affrontare una delle sfide più rilevanti di questo tempo, quella dell’invecchiamento e della fragilità, smentendo la storia dell’Emilia Romagna, dove le criticità, che si aggravano giorno dopo giorno, si fronteggiano confrontandosi a viso aperto con le organizzazioni sindacali.
Cgil Cisl Uil non resteranno inermi di fronte a questa deriva e si batteranno a tutti i livelli ed in tutte le sedi, valutando ogni iniziativa utile a difendere i diritti delle persone anziane e con disabilità e delle lavoratrici e dei lavoratori indispensabili ad assicurare servizi di qualità.

Si è chiuso con una grande vittoria per il popolo inquinato il processo di primo grado per uno dei più gravi casi di avvelenamento delle acque nella storia italiana causato dallo stabilimento Miteni di Trissino a Vicenza.

Un inquinamento che ha segnato un territorio di 300.000 abitanti, estendendosi per oltre 100 chilometri quadrati e contaminando la seconda falda acquifera d’Europa. Dopo anni di denunce, vertenze e battaglie, portate avanti anche da Legambiente e dai suoi circoli, chi ha inquinato finalmente paga per aver avvelenato senza scrupoli il territorio veneto danneggiando non solo l’ambiente, ma anche la salute dei cittadini.

«Un grande lavoro, a partire dalla prima denuncia nel 2014 fatta dal Circolo “Perla Blu” di Cologna Veneta e dall’avvocato Enrico Varali coordinatore regionale del Centro di azione giuridica di Legambiente, che in questi anni si sono battuti, dentro e fuori le aule del tribunale, per ottenere ecogiustizia. Con la sentenza di oggi a Vicenza si conclude, infatti, uno tra i più grandi processi di inquinamento ambientale che la storia d’Italia ricordi: il processo ai vertici delle aziende che si sono avvicendate nella gestione del sito produttivo Miteni, oggi condannate per aver contaminato l’acqua da PFAS, compresa l’acqua potabile, della seconda falda acquifera d’Europa a servizio di più di 300.000 persone nella regione Veneto. Ora si proceda quanto prima alla bonifica del sedime inquinato, che ha provocato e continua a provocare una delle più estese contaminazioni acquifere con cui i cittadini veneti sono costretti a confrontarsi da decenni: dalle acque di falda – rese pericolose ai fini idropotabili ed irrigui in un’area di più di 180 km quadrati – ai corsi d’acqua superficiali che attraversano quei territori (Fratta Gorzone, Bacchiglione, Retrone, Adige) esposti ad una persistente presenza di questi forever chemicals, con conseguenze negative per l’ecosistema, la salute e per l’economia produttiva», questo il commento di Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, che unitamente a Legambiente Veneto e al circolo locale si sono costituite parti  civili nel processo e presenti oggi in aula alla lettura della sentenza.

Legambiente ricorda che per diversi decenni, l’azienda chimica Miteni ha prodotto PFAS a Trissino (Vicenza) e ha rilasciato i suoi rifiuti senza controllo, inquinando le acque superficiali e sotterranee e la catena alimentare, colpendo zone di Verona, Vicenza e Padova.

«La sentenza arrivata oggi – dichiara Luigi Lazzaro, presidente di Legambiente Veneto – è frutto di un processo durante il quale è stato provato senza ombra di dubbio che l’inquinamento da PFAS e da altre sostanze (C604 e GenX) proviene dal sito Miteni e sia imputabile alla gestione, anche recente, dell’impianto industriale. La conferma da parte della Corte dell’ipotesi accusatoria della Procura per tutti gli imputati e, soprattutto, la conferma della natura dolosa dei reati contestati rende finalmente giustizia alle parti civili ed a centinaia di migliaia di persone, contaminate a loro insaputa per decenni. Durante il processo è emerso con chiarezza che per troppo tempo la dirigenza della Miteni ha volutamente ignorato e, poi, omesso di comunicare agli enti di vigilanza e controllo preposti che le sostanze prodotte nel sito di Trissino avevano contaminato la falda acquifera e, comunque, si erano disperse anche nelle acque superficiali».

Per quanto riguarda la bonifica del sito produttivo, in questi giorni, ricorda Legambiente, è arrivato un primo importante segnale, ossia l’approvazione in conferenza dei servizi del Comune di Trissino del “documento di analisi del rischio” propedeutico al progetto di bonifica, che dovrà portare all’elaborazione, entro sei mesi, di un piano di bonifica del sito Miteni a cura di tutte le aziende a vario titolo coinvolte. Rispetto alle acque di falda inquinate non è invece ancora stato attivato alcun percorso.

«Ci auguriamo – aggiungono Ciafani e Lazzaro – che la sentenza di oggi possa essere un monito ed una spinta ulteriore a rispettare quanto previsto per la bonifica del sito produttivo e ad accelerare l’applicazione di soluzioni anche per il disinquinamento delle acque di falda contaminate. Per affrontare in maniera adeguata l’emergenza PFAS, emersa nel 2013, risulta sempre più urgente, anche alla luce della sentenza odierna, lo sviluppo da parte di Governo e Regione di alcuni necessari interventi per una compiuta analisi e stima dello stato di salute dei cittadini, della contaminazione esistente e dell’impatto che l’esposizione ai PFAS ha generato nella popolazione. Tra questi risulta prioritaria la prevenzione da eventuali nuovi fenomeni di contaminazione, attraverso l’immediata approvazione delle aree di salvaguardia nei procedimenti in itinere, come da proposta dei Consigli di bacino ex art. 94 del decreto legislativo 152/2006 al fine di garantire che la compromissione della falda esistente e fenomeni ulteriori di inquinamento da PFAS dei punti di approvvigionamento idrico in Veneto non si ripetano, facendo memoria della tragica e costosa esperienze del passato»

 

Boicottaggio di Coop Alleanza 3.0: toglie arachidi e salse, inserisce una bevanda palestinese in segno di solidarietà e contro il blocco degli aiuti umanitari

Trent’anni fa i consumatori boicottavano arance e pompelmi Jaffa, i prodotti e le aziende che avevano a che fare con Israele. Un modo per fare pressione sul governo, spingerlo a risolvere il conflitto con i palestinesi e a rispondere delle violazioni del diritto internazionale. Oggi si torna alla stessa forma di protesta politica, ma a metterla in atto questa volta è la catena di supermercati Coop Alleanza 3.0.

Il colosso della grande distribuzione ha deciso di togliere dagli scaffali alcune referenze di arachidi e di salsa Tahina, prodotte in Israele, e gli articoli a marchio Sodastream e di inserire un prodotto molto particolare, la Gaza Cola: una bevanda espressione di un progetto al 100 per cento di proprietà palestinese, che con il ricavato delle vendite delle lattine contribuirà alla ricostruzione di un ospedale nella Striscia.

“La posizione di Coop Alleanza 3.0 su ciò che sta avvenendo in Medio Oriente è nota da tempo – si legge in una nota dell’azienda tra le più grandi cooperative di consumatori in Europa -: non può rimanere indifferente davanti alle violenze in corso nella Striscia di Gaza e la cooperativa è da sempre e senza esitazione al fianco di tutte le forze, enti, istituzioni e associazioni, unite nel chiedere l’immediata cessazione delle operazioni militari. È altrettanto ferma la condanna verso il blocco degli aiuti umanitari destinati alle popolazioni civili della Striscia proclamato dal governo israeliano. Le escalation di queste ultime settimane hanno spinto Coop Alleanza 3.0 a dare un segnale di coerenza rispetto a questa posizione”.

La decisione è maturata dopo un rapporto presentato al consiglio di amministrazione dalla commissione etica, spiega il gruppo che conta più di 350 punti vendita in otto regioni, a seguito del quale alcuni soci attivisti sono anche intervenuti all’assemblea generale della cooperativa.

Un’iniziativa simile era stata già adottata dai supermercati Unicoop Firenze: dopo un'assemblea dei soci e una petizione su change.org che ha superato le 15 mila firme, è stato deciso di non vendere più prodotti israeliani.

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Invito ad azioni immediate ovunque. A Roma die-in davanti al Parlamento martedì 24 giugno ore 18:00
Neppure una notte di gioia per il grande e bellissimo corteo di ieri, ci concede la follia del mondo.
 
Ieri il nostro intervento alla chiusura della manifestazione cominciava così: “non sappiamo se stanotte la guerra scatenata da Israele all’Iran si allargherà e se Trump entrerà in guerra. Una cosa sappiamo: tutto questo non è più sopportabile, non è più tollerabile. Sappiamo che dobbiamo ribellarci, e dobbiamo farlo insieme”.
Stanotte Trump è entrato in guerra a fianco di Israele. Un conflitto globale è alle porte davvero. Siamo a rischio anche noi, con i nostri territori pieni di basi e di armi statunitensi.
 
È estate, e siamo esaustɜ. Ma non vogliamo morire, non vogliamo che continuino a morire innocenti, e non vogliamo vivere nella barbarie. Vi proponiamo alcune prime idee immediate:
 
1) qui trovate l’audio delle bombe su Gaza che abbiamo usato nel corteo di ieri per il die-in: https://open.spotify.com/episode/4NKWkXbaYZTJssGH46Mcmh
Dura due minuti, può essere riprodotto più volte di seguito quanto volete. Potete usarlo per organizzare die-in contro la guerra ovunque, nei quartieri, nei paesi, nelle città. A Roma il die-in si terrà davanti al Parlamento martedì alle ore 18:00. Invitiamo tutti e tutte a partecipare.
 
2) chi ci vive vicino, provi a pensare ad azioni semplici e comunicative alle basi, ai depositi, alle istallazioni militari USA e NATO, o nei centri abitati limitrofi.
 
3) domani sarà on line la petizione “Il popolo italiano non vuole la guerra, il Governo Italiano non partecipi alla guerra” a sostegno della campagna lanciata da Rete Italiana Pace e Disarmo per "chiedere al Governo Italiano di negare supporto logistico alle operazioni di guerra, anche negando il permesso ai bombardieri statunitensi B-2 stealth o B-52 che attaccano l'Iran di transitare sullo spazio aereo italiano o rifornirsi nelle nostre basi. L'Italia non deve facilitare, assistere o consentire questi attacchi - direttamente o indirettamente”. Comunicheremo immediatamente il link per firmarla, facciamola circolare il più possibile, inondiamoli di firme.
 
Chiunque metterà in pratica queste o altre azioni nelle prossime ore, lo comunichi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Inviteremo gli aderenti a #StopRearmEurope a una assemblea online urgente nei prossimi giorni. L’avremmo fatto comunque, per valutare insieme il corteo di ieri e capire come proseguire. La anticiperemo, per capire insieme come coordinarci per ribellarsi alla guerra, e pensare a una giornata di azioni congiunte.
 
E invitiamo tutte le reti, le organizzazioni, i gruppi a lavorare con il massimo della convergenza possibile. Stringiamoci forte, allarghiamo la rete.
No a guerra, riarmo, genocidio, autoritarismo.
 
Stop Rearm Europe