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Dal sito del CDC della provincia Ravenna una anticipazione dell'intervento che apparirà nella rivista dell'ANPI di Bologna "Resistenza e Nuove Resistenze” in corso di pubblicazione.

MENO NON SIGNIFICA MEGLIO. AL CONTRARIO

I mali del Parlamento italiano dipendono dal numero dei parlamentari?  Il cattivo funzionamento e l’inadeguata rappresentanza data ai cittadini italiani saranno/sarebbero risolti con la riduzione drastica di un terzo dei deputati e dei senatori? Su quali conoscenze, su quali dati, su quali aspettative si basa la decisione di passare da 945 parlamentari eletti a 600 e perché, in nome della rappresentanza del “popolo”, non si è proceduto altresì alla cancellazione dell’anacronistica figura dei senatori a vita? L’unica giustificazione finora concretamente offerta della riduzione del numero dei parlamentari, chiedo scusa, del “taglio delle poltrone”, è il risparmio di denaro pubblico. La casta costa. Quindi, riducendo il numero dei suoi componenti si riduce automaticamente e per sempre il loro costo. Non sto a segnalare che il risparmio ottenibile con questa riduzione è stato stimato in molto meno dell’1 per cento del bilancio dello Stato e che alcune alternative, per esempio, la riduzione del personale di governo (ministri, vice-ministri e sottosegretari) produrrebbero risparmi forse non inferiori. Discuto, invece, delle prevedibili conseguenze del taglio.

Il cattivo funzionamento del Parlamento italiano è dovuto al numero dei parlamentari oppure dipende conflittuali dall’incapacità dei governanti, dai rapporti farraginosi, confusi, persino fra governo e Parlamento? Se è così, e ci sono molte buone ragioni e evidenze per ritenere che è effettivamente così, allora ridurre i parlamentari non produrrà nessun effetto positivo.

C’è chi crede, e dice, che il Parlamento italiano fa troppe leggi, le fa molto lentamente e male. Se ne fa molte vuole dire che i parlamentari lavorano davvero, ma anche, questa spiegazione è preferibile, che bisognerebbe disciplinare alcune materie con regolamenti che non richiedano leggi. Se le fa lentamente e/o male, che cosa può spingerci a pensare che, diminuiti di numero, i parlamentari riusciranno a lavorare più rapidamente e meglio? Al contrario. Comunque, il compito principale dei parlamentari non è fare le leggi quanto, piuttosto, controllare le leggi fatte dai governi e soprattutto dare buona rappresentanza ai cittadini-elettori. Al proposito, è totalmente fantasiosa l’aspettativa che meno parlamentari sarebbero in grado di meglio rappresentare la società italiana. Bisognerà provvedere alla stesura di una legge elettorale che incoraggi chi si candida a prendere sul serio la rappresentanza degli elettori. Quindi, no alle liste bloccate, no alle candidature paracadutate, sì ad almeno un voto di preferenza. Certo, si potrebbe anche pensare ai collegi uninominali nei quali il candidato che vince è incoraggiato a rappresentare le preferenze e gli interessi del maggior numero di elettori del collegio. Con la riduzione del loro numero, i deputati dovrebbero avere collegi di più di 125 mila elettori e i senatori di più di 250 mila elettori nei quali una campagna che raggiunga l’elettorato si presenta difficile e costosa. Inoltre, quei collegi dovranno tutti essere non ridisegnati, ma costruiti ex-novo. La riduzione del numero dei parlamentari è una riforma costituzionale da respingere. I suoi vantaggi sono minimi, se non inesistenti. La sue conseguenze sono confuse, se non controproducenti.

Gianfranco Pasquino è Professore Emerito di Scienza politica nell’Università di Bologna. Di recente ha pubblicato: Italian Democracy. How It Works (Routledge 2020) e Minima politica. Sei lezioni di democrazia (UTET 2020)