Nella sua intervista odierna a Repubblica, il Presidente della Camera Roberto Fico ribadisce ottimi principi. “Il Parlamento non può chiudere – afferma – … deve essere in prima linea, non può arretrare, come non arretrano medici e altre categorie”. Non solo, ma aggiunge, per motivare le proprie fondate perplessità sul voto a distanza “che l’articolo 64 della Costituzione fa riferimento alla presenza dei parlamentari ai lavori delle Camere: perché è dalla partecipazione attiva  e diretta al dibattito e al confronto delle idee che scaturiscono le leggi”.
Ottimo. Peccato che finora le cose stiano andando in tutt’altro modo con il beneplacito del Presidente Fico e addirittura l’unanimità dei gruppi. Infatti nel voto sullo scostamento di bilancio, questione come si sa delicatissima e centrale nel rapporto con la Ue, si è realizzato un dimezzamento, o quasi, dei membri della Camera, concordato fra tutti i gruppi. Ovvero, per evitare contatti ravvicinati, si è deciso un contingentamento degli accessi all’Aula, cosa a mio avviso del tutto incostituzionale in base alle affermazioni che lo stesso Fico oggi fa e che ho sopra riportato.
Il diritto/dovere di partecipare ai lavori della camera di appartenenza e di votare è un principio essenziale per definire la funzione di ogni singolo parlamentare e questo non può essere conculcato da nessuna autorità, sia essa monocratica o collegiale.  Qualcuno ha risposto a questa semplice obiezione

richiamandosi allo stato di necessità e straordinarietà derivante dall’emergenza del corona virus. Questa c’è, è vero. C’è per i parlamentari come, e soprattutto, per i medici e gli infermieri, che non solo non si fanno contingentare, ma raddoppiano le ore di lavoro fino allo sfinimento. E allora perché il Parlamento dovrebbe lavorare a ranghi e tempi ridotti, chiamato semplicemente a convertire in legge i decreti governativi? Non è così che si sta in prima linea.
In realtà ci sono soluzioni alternative sia al riempimento di tutti gli scranni dell’Aula, sia al voto a distanza, senza mettere in pericolo la salute di alcuno e senza lasciarlo a casa. Il voto a scaglioni potrebbe essere uno di queste. Ma mi si potrebbe obiettare che questo sarebbe possibile in caso di un voto unico o al massimo di pochissimi voti. Ma se i voti sono molteplici non si può pensare un via vai continuo che andrebbe controllato e guidato come il traffico cittadino all’ora di punta.
Ma anche in questo caso sono possibili altre soluzioni non lesive dei diritti/doveri costituzionali dei parlamentari. Ad esempio è possibile stabilire forme di collegamento tra l’Aula di Montecitorio e la capiente cosiddetta “auletta dei gruppi”, oggi usata prevalentemente per convegni istituzionali. Il che permetterebbe di riunire contemporaneamente tutti i deputati, rispettando la distanza di sicurezza tra loro, e farli partecipare allo stesso modo e contemporaneamente a discussioni e votazioni, con la Presidenza delle due aule garantita, a vista e in presenza, dal Presidente e da uno dei quattro vicepresidenti.
Non credo che la cosa sia tecnicamente impossibile. Certo è molto più facile e sicura di qualunque votazione di tutti i 630 parlamentari da remoto. C’è quindi da domandarsi perché soluzioni così facilmente alla portata non siano state considerate. Ed è impossibile evitare il sospetto che in questo modo alcuni abbiano voluto dimostrare, prima ancora di avere tenuto il referendum originariamente previsto per il 29 marzo, che in fondo basta la metà o poco più dei parlamentari per fare andare avanti il processo legislativo.
Nei momenti di crisi sanitaria ed economica come l’attuale, sarebbe bene che, invece di ripetere retoricamente  “siamo in guerra”, si garantisse più semplicemente la convocazione delle camere in seduta permanente, in modo tale che tutti gli aspetti connessi alla attuale pandemia siano discussi dalle assemblee legislative e non solo dal governo. Altrimenti non avrebbe più senso parlare di centralità del Parlamento, come ha fatto Fico nella sua intervista.

Alfonso Gianni
da www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it