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A causa della pandemia, il mondo del lavoro è alle prese con una fase di crisi imprevista, imprevedibile e mai sperimentata prima d’ora. La Cgil di Ravenna fa il punto sui dati che emergono dagli studi economici e chiede, tramite la segretaria generale di Ravenna, Marinella Melandri, di non scaricare le fragilità sul mondo del lavoro: “C’è già chi chiede il ritorno dei voucher, del tempo determinato senza causali, senza parlare del rischio di un’impennata del lavoro nero e grigio”, sostiene Melandri. Incrociando i numeri elaborati dall’Ufficio studi e ricerche della Camera del lavoro di Ravenna la Cgil di Ravenna sviluppa un’analisi che può aiutare a comprendere l’impatto del covid sul mondo del lavoro nel territorio provinciale.

Venti milioni di ore di cassa integrazione in provincia di Ravenna

Due i versanti sui quali si è concentrato lo sforzo di sindacato, istituzioni e altre parti sociali per mitigare il più possibile gli effetti negativi di questa catastrofe sociale. Innanzitutto il blocco dei licenziamenti, mantenuto in vigore fino ad ora nonostante da molte parti se ne chiedesse a gran voce l’abolizione in nome di una libertà d’impresa miope e amorale. Dall’altro lato lo sforzo profuso per dare sostegno a lavoratrici, lavoratori e imprese attraverso la sottoscrizione di migliaia di accordi per la concessione di ammortizzatori sociali: quasi 20 milioni di ore autorizzate a circa 46.000 lavoratori dall’Inps, da marzo a dicembre 2020, per la sola provincia di Ravenna.

“Per quanto riguarda il ricorso alla cassa integrazione, la parte del leone, numericamente, è stata fatta dal settore del commercio, dei servizi e del turismo (15.361 lavoratori colpiti) e da quello metalmeccanico (12.694) – spiega Davide Gentilini, responsabile dell’Ufficio studi e ricerche della Cgil di Ravenna -. In generale tutte le realtà e le specificità provinciali sono state interessate in maniera trasversale: dal comparto ceramico faentino, a quello turistico lungo la costa, dalla grande impresa industriale al piccolo artigiano. Tutto il mondo economico-produttivo ha fatto ricorso agli ammortizzatori sociali. Ancora a inizio aprile 2021 sono più di 7.000 i lavoratori “in cassa”. Ammortizzatori e blocco dei licenziamenti hanno contribuito a dare sostegno e mantenere legati alle aziende un gran numero di lavoratori a tempo indeterminato, ma non hanno potuto fermare la fuoriuscita dal ciclo produttivo dei lavoratori più deboli e meno tutelati presenti sul mercato del lavoro: i precari, gli stagionali, gli assunti a tempo determinato e in somministrazione”.

Marinella Melandri, segretaria generale della Cgil di Ravenna: “Di fronte a noi abbiamo ancora mesi difficili”

Ci sarà un prima e un dopo il 2020, l’accelerazione forzata imposta dall’emergenza in alcuni ambiti (smartworking e didattica a distanza per citare solo i capitoli sotto gli occhi di tutti) rivoluzionerà probabilmente l’organizzazione del lavoro post-pandemia.

 

“I mesi che abbiamo di fronte saranno ancora difficili per il mondo del lavoro – commenta la segretaria generale della Cgil di Ravenna, Marinella Melandri -. La campagna vaccinale entro poche settimane dovrebbe consentire di mettere al sicuro la parte più fragile della popolazione; c’è la consapevolezza che dovremo ancora fare i conti con la necessità di prevenire i contagi, con tutto ciò che questo significa per il lavoro. A questo si aggiunge la scadenza del blocco dei licenziamenti per i settori industriali a fine giugno”.

Il tasso di occupazione cala al 67,5%

Gli occupati in provincia di Ravenna sono passati dai 175.592 del 2019 ai 167.442 del 2020, mentre il tasso di occupazione, che era faticosamente risalito ad un 70,6% che non si vedeva dagli anni precedenti la crisi iniziata nel 2009, è ripiombato al 67,5%, inferiore anche al dato regionale (68,8%). È esploso il numero di persone in cerca di lavoro (da 8.474 a 12.352), con il tasso di disoccupazione balzato dal 4,6% al 6,9%. Ma quello che preoccupa maggiormente è l’aumento del numero degli inattivi (da 62.417 a 66.011), ovvero delle persone che non lavorano e che, scoraggiate, non cercano più una occupazione.

L’inattività balza al 27,5%

Il tasso di inattività, ovvero il rapporto tra il numero di inattivi nella classe di età 15-64 e il corrispondente segmento di popolazione, passa dal 26 al 27,5%. Le fasce maggiormente coinvolte sono le donne nell’intervallo dai 15 ai 24 anni (dal 70 al 78%) e gli uomini dai 35 ai 54 anni, che dal 7% raggiungono il 13%. Un andamento che sembra indicare come stiano aumentando le giovani donne che non cercano nemmeno più di entrare nel mondo del lavoro e gli uomini che, espulsi dal posto di lavoro proprio nella fascia di età della maturità lavorativa, disperano di potervi rientrare.

“Se non sarà prorogato – aggiunge – dovremo evitare licenziamenti unilaterali, utilizzando tutti gli strumenti disponibili, dai contratti di solidarietà a quelli di espansione alla cassa ordinaria nelle situazioni di crisi, per mantenere i lavoratori collegati alle loro imprese, spingendo sulla formazione e sulla sicurezza sul lavoro. Poi come sempre accade nei momenti di difficoltà, torna la tentazione di scaricare sul lavoro le fragilità: c’è già chi chiede il ritorno dei voucher, del tempo determinato senza causali, senza parlare del rischio di un’impennata del lavoro nero e grigio, in particolare nel nostro territorio caratterizzato dalla stagionalità. Dobbiamo combattere un’idea di ripresa basata sulla precarietà”.

“È un’esperienza già fatta – conclude -, di cui abbiamo misurato le conseguenze con la pandemia. Gli ingenti investimenti di cui il Paese potrà disporre devono servire a uno sviluppo di qualità, che guardi al futuro, e contemporaneamente bisogna adottare misure di sostegno e accompagnamento, a cominciare da una riforma degli ammortizzatori sociali in senso universalistico e solidaristico. Per questo le risorse del Recovery fund devono essere condizionate a produrre effetti qualitativi e quantitativi sull’occupazione”.