Stampa

SCAFFALE. «Il lavoro operaio digitalizzato», a cura di Garibaldo e Rinaldini e «Sfruttamento 4.0» di Gaddi

La rivoluzione tecnologica dentro le fabbriche della rossa Bologna (e provincia). Industria 4.0 declinata all’emiliana grazie alla mediazione decisiva del sindacato e dei suoi delegati in fabbrica. Due libri per un’unica «inchiesta operaia» del terzo millennio. Il lavoro operaio digitalizzato, inchiesta nell’industria metalmeccanica bolognese a cura di Francesco Garibaldo e Matteo Rinaldini (Il Mulino, pp. 216, euro 20) e Sfruttamento 4.0, nuove tecnologie e lavoro (Punto Rosso, pp. 240, euro 18, introduzione di Sergio Bologna ) di Matteo Gaddi – che ha collaborato anche al primo – sono veri e propri lavori sul campo, figli di visite alle aziende e interviste ai lavoratori.

Per mettere in fila le cose di un processo complesso un punto fermo iniziale c’è: i nuovi tempi di lavoro sono imposti dalle aziende e mai contrattati. I nuovi sistemi di produzione in linea hanno come scopo principale la riduzione dei tempi morti e la produzione just in time. Lavoratori e sindacati sono rimasti inizialmente spiazzati da questa rivoluzione che sulla carta metteva a repentaglio tanti posti di lavoro sostituiti dai robot e dell’automazione dei processi. Ma proprio il retroterra culturale di una terra in cui dagli anni ’50 il sindacato è stata parte attiva e innovativa nel cambiamento del modello di produzione è fondamentale per comprendere lo sviluppo dialettico dell’applicazione di industria 4.0 nelle fabbriche ancora dominate dalla partecipazione operaia.

LA FIOM DI BOLOGNA è centrale in questo processo. Un sindacato dalle radici antiche e conflittuali e una pratica sempre innovativa e analitica che punta costantemente a migliorare le condizioni degli operai. Se certamente Il lavoro operaio digitalizzato è un testo più analitico, Sfruttamento 4.0 lo compendia dal punto di vista della denuncia di un modello «non di mera introduzione di nuove tecnologie ma di business strettamente determinati dalle condizioni di mercato» che senza la mediazione del sindacato di fabbrica rischia di slittare verso «ritmi di lavoro insostenibili e controllo delle prestazioni dei lavoratori in competizione con eventuali fornitori esterni».

DUNQUE A «INDUSTRIA 4.0» – termine coniato in Germania nel 2013 con intento positivo per aumentare la competitività del sistema industriale e importato in Italia in gran parte per sdoganare incentivi alle imprese per comprare macchinari tecnologici (il famoso piano Calenda) – va tolta la patina retorica della «grande conquista». Si tratta di «una sfida» in primis per il sindacato. L’espressione «contrattare l’algoritmo» è troppo generica e illusoria e difatti mai citata nel libro a cura di Garibaldo e Rinaldini. La Fiom in stretto contatto con i suoi delegati – «il collante», lo definisce un operaio intervistato, tra manager e lavoratori – ha costruito e adottato una strategia fatta di conquiste su campi distinti dai ritmi di lavoro ma altrettanto importanti e innovative partendo dall’assunto che «le nuove tecnologie non devono ridurre i livelli occupazionali».

E dunque nelle grandi fabbriche bolognesi delle multinazionali – Ducati e Lamborghini di proprietà dei tedeschi di Audi, la autoctona Gd leader mondiale del packaging, i carrelli elevatori della Cesab di proprietà dei giapponesi di Toyota – la Fiom è riuscita a tutelare e spesso migliorare le condizioni di lavoro – il cosiddetto «tempo esterno» in primis con aumento dei congedi e ore di formazione, orari di entrate e uscita flessibili, ergonomia delle postazioni – senza dimenticare gli aumenti salariali e limitando «l’intrusione della sorveglianza algoritmica» evitando che il controllo delle prestazioni possa essere usato contro i lavoratori.

MA IL RISULTATO più peculiare dal punto di vista sindacale è certamente quello di aver evitato di scadere negli accordi aziendali-corporativisti ma costruendo una piattaforma comune che non dimentica i lavoratori degli appalti e delle forniture, cercando di contrattare uguali condizioni anche per loro in nome dell’universalismo che caratterizza il sindacato del bolognese Claudio Sabattini.