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La premier, nel suo intervento al congresso della Cgil, ha difeso la riforma fiscale. Le rispondiamo punto per punto

 

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando alla platea del XIX congresso della Cgil, si è soffermata lungamente sulla legge delega per la riforma fiscale, provando a disegnarla come una riforma importante e positiva per i lavoratori e i pensionati. La realtà è invece che tale legge delinea un sistema fiscale estremamente frammentato, che individua una tassazione diversa a seconda di una molteplicità di fattori. Sembra proprio che una cedolare, o una flat tax, non la si voglia negare a nessuno. Pensavamo fossero già troppe, ebbene questa delega ne aggiunge di ulteriori. Di seguito il fact checking all’intervento di Giorgia Meloni.


L'evasione fiscale

A mio avviso (la legge delega fiscale) è stata un po' frettolosamente bocciata da alcuni. Noi lavoriamo per consegnare agli italiani una riforma complessiva del sistema fiscale che migliori l'efficienza della struttura delle imposte, che riduca il carico fiscale, che contrasti adeguatamente l'evasione fiscale con un tax gap che è stabilmente intorno ai 100 miliardi di euro.

 

L’evasione fiscale, storicamente, diminuisce quando

i contribuenti percepiscono una volontà politica di non tollerarla. È successo nel 1996, è successo nel 2006/2007 e vi sono evidenze sia nella relazione annuale del Mef che nei dati dell’Agenzia presentati dal direttore Ruffini il 9 marzo, che la partenza della tracciabilità e la spinta alla digitalizzazione l’abbiano ridotta anche negli ultimi 3 anni. Cosa, invece, incentiva l’evasione? Una politica che assecondi gli evasori, che apra condoni fiscali, che riduca la tracciabilità incrementando la soglia massima del contante o tentando di impedire ai consumatori il pagamento con carte e altri strumenti tracciabili. Quello, cioè, che ha previsto la legge di Bilancio 2023.


Quale fiducia?

Una riforma che semplifica gli adempimenti a carico dei contribuenti, che crei un nuovo rapporto di fiducia tra lo Stato e il contribuente.

 

Se il rapporto di fiducia tra lo Stato e il contribuente è la possibilità di accordi biennali preventivi che determinano le imposte da pagare a prescindere dall’imponibile, mettendo in atto nei fatti un condono preventivo, allora questo rapporto si basa sulla fiducia di non pagare tutte le imposte dovute. Secondo la Cgil, ogni contribuente deve pagare le imposte relative al suo reddito effettivo, e tale reddito può ormai essere facilmente individuato attraverso gli strumenti che ci mette a disposizione la tecnologia.


La crescita economica

Vogliamo in sostanza usare la leva fiscale come strumento base di promozione della crescita economica.

 

Lo strumento base per la crescita economica sono le politiche industriali, gli investimenti pubblici e l’azione delle grandi partecipate nel governo dell’economia e in direzione degli obiettivi. È la definizione della posizione della nostra economia nelle filiere internazionali, accompagnata dalla strategia per raggiungerla. Il fisco può e deve accompagnare questa strategia, senza tuttavia affidarsi al solo mercato (magari deregolato e detassato).


Lo scaglione della prima aliquota

Una diminuzione progressiva delle aliquote Irpef, che non vuol dire far venire meno la progressività, che rimane, ma nella nostra idea significa ad esempio ampliare sensibilmente lo scaglione di chi rientra nella prima aliquota, quella più bassa, per comprendere al suo interno molti lavoratori dipendenti.

 

Estendere l’ampiezza dello scaglione cui applicare la prima aliquota (attualmente il 23%) favorisce soprattutto chi produce redditi superiori al limite. Se si applicasse il 23% non più fino a 15.000 euro ma, ad esempio, fino a 25.000, i maggiori beneficiari sarebbero i percettori di redditi superiori a tale soglia. L’operazione, quindi, fornirebbe maggiori vantaggi anche al supermanager che guadagna 1 milione di euro all’anno.


La flat tax

L'introduzione, anche per i lavoratori dipendenti come abbiamo fatto per gli autonomi, di una tassa piatta agevolata sugli incrementi di salario rispetto agli anni o all'anno precedente, una sostanziale introduzione del riconoscimento del principio del merito perché, per come la vedo io, il merito è l'unico solo vero ascensore sociale che esista, chiaramente se accompagnato da pari condizioni di partenza. (…) Penso che sia giusto riconoscere il valore di chi in un momento difficile si rimbocca le maniche, produce di più e lavora di più.

 

Se la flat tax incrementale ha poco senso per gli autonomi, ne ha addirittura meno per i lavoratori dipendenti. Gli incrementi di reddito dei dipendenti derivano infatti da fattori non legati alla propria volontà, come la possibilità di fare straordinari, di avere un contratto integrativo, dall’andamento dell’impresa che magari li ha posti in cassa integrazione guadagni per alcuni periodi. Legare questo vantaggio fiscale al concetto di “merito” è la plastica dimostrazione di quanto questo concetto sia utilizzato esclusivamente a fini propagandistici, e per punire lavoratori e pensionati, specie con redditi bassi, carriere frammentate, lavoro precario.

Per non parlare dello strumento principale che incrementa i salari, ovvero i rinnovi dei Ccnl. Che demerito hanno avuto i lavoratori della pubblica amministrazione quando hanno dovuto aspettare un decennio per vedersi rinnovato il contratto? Quale la colpa dei lavoratori di interi settori che attendono il rinnovo di contratti scaduti da anni?


I fringe benefits

Vogliamo rendere interamente deducibili per lavoratori e datori di lavoro benefici come trasporto pubblico, istruzione, asilo nido che vengono dati ai lavoratori dipendenti e vogliamo elevare il tetto di quello che si chiama fringe benefit (…) e renderlo monetizzabile in determinate circostanze, ad esempio nel caso della nascita di un figlio.

 

Pensare che la riduzione fiscale sui fringe benefits riguardi tutti significa non conoscere il mondo del lavoro e chi ne fa parte.


Dipendenti e pensionati

Vogliamo allineare i lavoratori dipendenti ai pensionati sulla no tax area, sul livello più alto che attualmente è quello dei pensionati.

 

Qui è probabile che la premier sia incappata in un (perdonabile) refuso. L’area di esenzione dalle imposte dirette sul reddito personale dei dipendenti è più elevata di quella dei pensionati. La parificazione di questi livelli può avere senso, ma non è certo il più grande esempio di disparità fiscale in un Paese in cui l’Irpef stessa ormai è pagata quasi solo sui redditi da pensione e da lavoro, mentre le rendite immobiliari e finanziarie, le plusvalenze, il reddito da lavoro autonomo ne è esentato. Quindi, certo, si parifichi il trattamento, ma a partire da una base imponibile Irpef più ampia, premessa per un sistema di imposizione davvero progressivo.


La global minimum tax

Vogliamo abbassare gradualmente l’Ires, intervento che si rende necessario nel momento in cui entrerà in vigore la global minimum tax al 15%, chiaramente per non penalizzare la competitività delle nostre imprese a livello globale. Ma non per tutte le società. Noi vogliamo abbassarla per quelle che investono e assumono a tempo indeterminato in Italia, mentre quelle che fanno elevati ricavi senza creare ricchezza e occupazione in Italia, per come la vedo io, possono continuare a pagare il 24%. Il principio che io vorrei cercare di realizzare, e che il governo vorrebbe cercare di realizzare: è più assumi meno tasse paghi.

 

La global minimum tax è da considerarsi livello minimo di imposta, e nasce per combattere la pratica di porre sedi aziendali nei paradisi fiscali da parte delle multinazionali. Vogliamo forse diventare un paradiso fiscale? Ridurre le imposte sui profitti apporta benefici minimi all’economia di un Paese (è l’azione di politica fiscale con il minor effetto moltiplicatore sul Pil) e va in decisa controtendenza rispetto alle politiche dei Paesi avanzati. La riduzione delle imposte per le imprese senza una forte selettività ha dimostrato di portare risultati esigui alla crescita come all’occupazione. Ripetere queste esperienze non avrà effetti diversi.


Unione Sovietica o Unione Europea?

Vogliamo un rapporto completamente diverso tra fisco e contribuenti. Un rapporto che offra al contribuente, oltre alla necessaria semplificazione dei processi, maggiori garanzie contro lo Stato (…) Questo non significa tollerare l'evasione fiscale come ho sentito dire, perché noi metteremo finalmente, per esempio, in rete le banche dati per combattere l'evasione. Significa però non confondere l'evasione fiscale con la caccia al gettito.

 

L’utilizzo dell’incrocio delle banche dati per individuare l’evasione fiscale è un tema che da anni sta molto a cuore alla Cgil, che ne ha fatto punto centrale delle sue piattaforme fiscali, anche a livello unitario. Siamo quindi soddisfatti che il governo abbia compreso l’utilità di questo strumento. Ci permettiamo però di ricordare alla presidente del Consiglio un post da lei scritto il 4 dicembre del 2018, che recitava, in merito alla partenza dell’incrocio banche dati e analisi del rischio fiscale (che ha portato ad un incremento di gettito attraverso cui anche il suo governo può adesso operare con maggiori risorse): “Ci rifilano anche il Grande Fratello Fiscale: la Guardia di Finanza avrà accesso diretto ai conti correnti e agli altri rapporti finanziari degli italiani, e potrà anche utilizzarli per ‘elaborare analisi di rischio’ sull’evasione futura. Una roba da Unione Sovietica. Vogliamo meno Stato nei nostri conti correnti, e più Stato nelle strade per la nostra sicurezza!”.

Forse, la necessità di questa riforma per ricevere le risorse del Pnrr dall’Unione Sovietica Europea ha portato il presidente a più ragionevoli posizioni. Meglio tardi che mai.

Cristian Perniciano, responsabile delle Politiche fiscali, economia e finanze della Cgil