Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Pubblichiamo il Comunicato del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, che da informazione di un Esposto per chiedere alla magistratura di fare chiarezza sul respingimento dei migranti in Libia in merito alla vicenda della nave "Asso 28".

Di seguito troverete un link, accedendo al quale potrete firmare, sulla piattaforma Change org, per aderire alla iniziativa.

 

Chiediamo la verità sui respingimenti in Libia

Un gruppo di personalità, attive nella vita culturale, civile e politica: Massimo Villone, Mauro Volpi, Luigi Ferrajoli, Alfiero Grandi, Domenico Gallo, Silvia Manderino, Mauro Beschi, Guido Calvi, Felice Besostri, Livio Pepino, Antonio Esposito, Raniero La Valle, Vincenzo Vita, Luigi De Magistris, Moni Ovadia, Sergio Caserta, Alfonso Gianni, Antonio Pileggi, Giulia Venia, Francesco Baicchi, Elena Coccia, Roberto Lamacchia, Fabio Marcelli, Paolo Solimeno, Leonardo Arnau, Paola Altrui, Elisena Iannuzzelli, Margherita D'Andrea, Tommaso Sodano, Costanza Boccardi, Massimo Angrisano, Antonio Garro tramite l’avv. Danilo Risi hanno presentato un esposto al Procuratore della Repubblica di Napoli intorno alla vicenda della nave “Asso 28”.

Secondo informazioni di stampa il 30 luglio la nave “Asso 28”, società Augusta Offshore di Napoli, operante in appoggio a una piattaforma petrolifera dell’ENI al largo di Sabratha (Libia), ha effettuato il recupero in mare in acque internazionali di 101 profughi in fuga dalla Libia (fra cui 5 donne e 5 bambini) e in seguito si è diretta al porto di Tripoli dove sono stati sbarcati senza alcuna possibilità di chiedere di asilo o protezione internazionale.

I sottoscrittori chiedono al Procuratore della Repubblica di Napoli di accertare se in questa occasione siano stati commessi reati e in questa eventualità da parte di chi, tenendo conto che una nave battente bandiera italiana è a tutti gli effetti parte del territorio nazionale, e se possa configurarsi una forma di respingimento collettivo.

Sulla vicenda della nave Asso 28 sono state fornite diverse versioni dell'accaduto, tra queste quella che alla richiesta di coordinamento dei soccorsi all’MRRC (Maritime Rescue Coordination Center) di Roma non sia venuta risposta o che la risposta abbia rinviato la responsabilità alla guardia costiera libica.

Se confermato sarebbe la prima volta una nave italiana avrebbe sbarcato in Libia dei naufraghi raccolti in acque internazionali dopo la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che nel 2012 ha duramente condannato l’Italia per i respingimenti in Libia, effettuati da navi militari italiane nel 2009, su disposizione del Ministro dell’interno dell’epoca.

E’ noto che la Grande Chambre della Corte di Strasburgo con la sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia del 23 febbraio 2012 ha statuito che:

Le azioni di Stati contraenti compiute a bordo di navi battenti la bandiera dello Stato, anche fuori del territorio nazionale, rientrano nella giurisdizione della Corte EDU ai sensi dell’art. 1 CEDU.

L’esecuzione di un ordine di respingimento di stranieri costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, relativo al divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, quando vi sono motivi seri ed accertati che depongono per un rischio reale che lo straniero subisca nel Paese di destinazione trattamenti contrari all’art. 3 della Convenzione (con riferimento alla Libia)

L’allontanamento di un gruppo di stranieri effettuato fuori del territorio nazionale, in presenza di giurisdizione dello Stato, senza che venga esaminata la situazione personale di ciascun componente del gruppo e senza che ciascuno possa presentare argomenti contro l’allontanamento, integra una violazione del divieto di espulsioni collettive di cui all’art. 4 Protocollo n. 4 CEDU la cui portata deve considerarsi anche extraterritoriale.

A norma del codice penale (art. 4) le navi italiane sono considerate “territorio dello Stato” agli effetti della legge penale.

I presentatori chiedono alla magistratura che siano accertate le condotte di tutti coloro che hanno concorso nell’evento in quanto sussiste pienamente la giurisdizione italiana sui fatti accaduti.

La richiesta è che l'Autorità giudiziaria verifichi se vi sia stato un respingimento collettivo di migranti, vietato dall’art. 4 del quarto Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Europea per i Diritti Umani (CEDU) e dall’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in quanto è stato impedito ai migranti l’accesso alla protezione internazionale poiché forzosamente ricondotti in Libia, Paese dichiarato posto non sicuro dall'UE e dall'UNHCR nel quale i migranti sono notoriamente sottoposti a torture, trattamenti disumani e degradanti in violazione dell’art. 3 della CEDU e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, a cui la Libia non ha mai aderito.

Ad avviso dei firmatari, stanti le diverse e contraddittorie versioni fornite dalla stampa, va chiarito anche il ruolo svolto dal Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (MRCC), contattato dalla nave “Asso 28”, che ha l’obbligo di coordinare i soccorsi adottando tutte le misure necessarie affinché le persone soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro. L’autorità giudiziaria italiana ha avuto modo in più occasioni di escludere che la Libia possa essere considerata un luogo sicuro, ai sensi delle convenzioni internazionali.

In particolare il Gup del tribunale di Ragusa, con il provvedimento che ha disposto il dissequestro della motonave Open Arms (dep. in data 16 aprile 2018), ha osservato che “le operazioni SAR di soccorso non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro (POS, Place of safety), come previsto dalla Convenzione SAR siglata ad Amburgo nel 1979 .. Non può essere considerato sicuro un luogo dove vi sia serio rischio che la persona possa essere soggetta alla pena di morte, a tortura, persecuzioni od a sanzioni o trattamenti inumani e degradanti, o dove la sua vita o la sua libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o orientamento politico. Il tema è evidentemente connesso con il principio di non respingimento collettivo, con il diritto internazionale dei rifugiati, e più in generale con i diritti fondamentali dell’uomo.”

I sottoscrittori dell'esposto confidano che l’Autorità Giudiziaria, accerti l’esatto svolgimento dei fatti, verificando se vi siano responsabilità individuali private o pubbliche e ribadiscono di essere mossi dalla preoccupazione che vi sia stata violazione dell’obbligo di soccorso in mare e della libertà personale delle persone ricondotte contro la loro volontà in Libia, salvo diversi e più gravi reati, sottolineano, inoltre, che sarebbe necessario individuare queste persone e ripristinare il loro diritto individuale di chiedere asilo.

8/8/2018

 

RICORDIAMO UNA DATA, l’8 AGOSTO 1956. 62 anni fa, la strage su lavoro nella miniera di MARCINELLE in Belgio. Il bilancio finale fu di 262 morti, di cui 136 di emigrati italiani.

 

Causa della strage operaia, un incendio scoppiato a quota 975 della miniera, nel distretto carbonifero di Charleroi, i minatori morirono a causa di un incidente banale, UCCISI SUL LAVORO soprattutto dalla "premeditata" imprevidenza, dalla mancanza di elementari misure di protezione, dalla disorganizzazione.

Uno degli eventi luttuosi dell'immigrazione italiana all'estero, in base ad accordi tra i Governi belga e italiano, forza lavoro e braccia in cambio di quote di carbone per la "ripresa economica". Nel linguaggio locale, un misto tra il francese e il dialetto, fu detta "La catastròfa".

Per molti anni, nessun Presidente della Repubblica Italiana, nessun esponente del Governo italiano, si è recato sul luogo della strage di Marcinelle, nè si impegnò a sostegno delle vittime e dei familiari, nessun intervento istituzionale durante l'inchiesta successiva al disastro sul lavoro, con una giustizia inerte di fronte a questo "massacro annunciato". OGGI, sarà presente l’attuale Ministro degli Esteri.

A tanti anni di distanza dalla strage e in una fase nella quale in Europa, in Italia, continua la fuga di centinaia di migliaia di disperati e disperate, non solo dalla fame e dalla miseria, ma anche da persecuzione religiose, politiche, dalle discriminazioni etniche, con forme di sfruttamento bestiale e un mercato che ricorda quello, abolito formalmente, della schiavitù e della tratta di di esseri umani, questa storia di emigrazione e di immigrazione (italiana, questa volta) dovrebbe farci riflettere. La sola rievocazione del fatto, non dovrebbe lasciare insensibili coloro che oggi, in Italia come nella "civile" Unione Europea con tante direttive sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, parla di "flussi programmati"e di "integrazione", o di "invasione", quando si riferisce al fenomeno dell'immigrazione, come se fosse già dimenticato quello che subirono i nostri antenati, bisnonni, nonni...emigrati e immigrati nei Paesi "ricchi" per uscire dalla quotidiana miseria e alla ricerca di un destino e di un futuro migliore.

Spesso pagato a caro prezzo di vite umane, come a Marcinelle, non dovremmo mai dimenticare i cartelli davanti a negozi ed esercizi pubblici “…vietato l’ingresso ai cani e agli italiani”. Non facciamo anche da noi, quello che fecero ai nostri connazionali, in termini di discriminazione, intolleranza e razzismo. OGGI COME IERI, CON I MORTI DI BRACCIANTI NELLE CAMPAGNE DELLA CAPITANATA E NEL NOSTRO “BEL PAESE”, sottoposti a regime di semischiavitù e del caporalato, quindi della criminalità organizzata che sfrutta forza lavoro per pochi soldi e ottiene comunque margini di profitto e di controllo sociale, non sono sufficienti alcuni controlli DOPO che avvengono morti e disgrazie “annunciate”, sono fattori di sfruttamento sul lavoro e del lavoro, che vanno combattuti sempre e in funzione preventiva, all’interno della generale “lotta di classe” per la liberazione da sfruttamento e dominio, collegando la lotta contro le discriminazioni, l’intolleranza, la barbarie di matrice razzista, anche se non esplicita, con la lotta contro lo sfruttamento salariale, di riduzione di diritti e di dignità delle persone, che lavorano e producono comunque la “ricchezza sociale” italica.

l'Italia rimane pur sempre un PAESE DOVE LA SALUTE E' CONSIDERATA UNA MERCE, LA SICUREZZA NON SOLO SUI LUOGHI DI LAVORO MA SUI TERRITORI (inquinati, devastati, senza manutenzione, rimboschimento, o controlli seri in termini preventivi), E' VISTA DA PADRONI E GOVERNANTI COME "UN COSTO" DA RIDURRE O ELIMINARE PER MANTENERE, IN REGIME DI "CRISI PERMANENTE", UN MARGINE PUR MINIMO DI PROFITTO, UN’OCCASIONE PER LUCROSE SPECULAZIONI FINANZIARIE, EDILIZIE, o come smaltimento illecito di scorie e deposito di materie pericolose, inquinanti sui territori.

NOI NON DIMENTICHIAMO, PERCHE' CHI NON HA MEMORIA, NON HA UN FUTURO E NONOSTANTE TUTTO, SIAMO ANCORA TENACEMENTE DETERMINATI, A LOTTARE COLLETTIVAMENTE, AD ESSERE SOLIDALI, PER UN ALTRO FUTURO...POUR UN AUTRE FUTUR

Usi Unione Sindacale Italiana segreteria nazionale confederale 

07 agosto 2018 

Due tragici incidenti in meno di 48 ore, in cui hanno perso la vita 16 braccianti migranti e numerosi feriti anche gravi.

Quanto accaduto è la conseguenza estrema e drammatica di una condizione che accomuna tutti i lavoratori in agricoltura della Capitanata: sfruttamento, illegalità, sottosalario, assenza di sicurezza, condizioni di lavoro e di trasporto estreme, con diverse modalità, gravi o meno gravi, a secondo della debolezza dei lavoratori -italiani o stranieri- sono una realtà sempre più presente nei nostri territori, nel l’indifferenza e acquiescenza generale”.

“Per questo è il momento di dire basta a ogni forma di sfruttamento, di sottosalario.

È il momento di abbandonare la pratica del caporalato che oramai rendono i lavoratori succubi di una “normalità” non più accettabile.

Per dire no a tutto questo manifestiamo a Foggia mercoledì 8 agosto con concentramento dalle ore 18.00 presso il piazzale della Stazione.

Il corteo si muoverà alle ore 18.30 e proseguirà sino a Piazza Cesare Battisti (Teatro Giordano), dopo il corteo seguiranno degli interventi a chiusura della manifestazione”.

In calce al comunicato le adesioni di Flai Cgil, Fai Cisl, Uila Uil, Intersos, Libera, Arci, Acli, Anolf, Amici dei migranti, Associazione Baoubab, Associazione Arcobaleno,Cooperativa Alterego, Cooperativa Pietra di scarto, Caritas, Consulta immigrazione Comune di Cerignola, Associazione Solidaunia, Casa Sankara, Cgil Cisl e Uil Puglia e Foggia, Arci Bassa Valle Cecina, Arci Puglia, Legambiente.

Lido di Dante, 04 agosto 2018                                                                                Comunicato stampa

 

STOP alle fonti fossili 

Da Lido di Dante l’appello di Goletta Verde in transito verso Porto Garibaldi per fermare le estrazioni petrolifere

 Firma la petizione #NoOil: https://bit.ly/2NWh8oI

Il dossier completo NoOil Emilia Romagna: https://bit.ly/2AHGgNo

L’appello di Goletta Verde: “Nonostante le ‘rassicurazioni’ del Governo dopo il referendum sulle trivelle del 2016, vecchi e nuovi pozzi e piattaforme e nuove attività di prospezione mettono concretamente a rischio i mari italiani e le coste dell’Emilia Romagna. Ecco perché chiediamo al Ministro dello Sviluppo Economico di cancellare tutti i sussidi ancora oggi garantiti alle fonti fossili e di mettere in campo una rottamazione delle fonti energetiche inquinanti”

A minacciare la costa dell’Emilia Romagna vi è pure il fenomeno della subsidenza che riguarda soprattutto il litorale del ravennate, dove ogni anno si assiste al grave abbassamento della costa di Lido di Dante, di fronte al quale insiste la piattaforma ENI di estrazione gas Angela Angelina

Nonostante gli Accordi sul clima di Parigi e gli impegni presi per contrastare i cambiamenti climatici nel nostro Paese si persevera nell'incentivare l’uso dei combustibili fossili, fornendo a questo settore quasi quattro volte più sussidi che alle energie rinnovabili, pari a 14 miliardi di euro l’anno. Fermare le estrazioni di idrocarburi e, di conseguenza, uscire definitivamente dalla dipendenza dalle fonti fossili, è un passo fondamentale per arrestare il cambiamento climatico. Tale stop infatti permetterebbe di ridurre le emissioni di CO2 di oltre 750 milioni di tonnellate, ovvero il 5,8% al 2020, un obiettivo importante confermato anche da tutte le ricerche scientifiche che continuano a mettere in evidenza l’urgente necessità di contenere l'aumento della temperatura globale entro 1,5 °C per evitare gravi ripercussioni su persone ed ecosistemi.

Per dire “basta” alle estrazioni e ai continui sussidi che vengono erogati alle infrastrutture, alla ricerca e alla produzione di energia da fonti fossili, oltre che per fermare il fenomeno della subsidenza che sta interessando il litorale ravennate, in particolare in corrispondenza della piattaforma ENI di estrazione gas Angela Angelina, Legambiente, in occasione del passaggio di Goletta Verde da Lido di Dante, prima di raggiungere Porto Garibaldi, ha organizzato un flash mob sulla spiaggia di fronte alla piattaforma di estrazione gas più vicina alla costa di tutta Italia, ed ha lanciato la petizione #NoOil (https://bit.ly/2NWh8oI) indirizzata al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio.

In Emilia Romagna le fonti fossili coprono l’89,1% dei consumi totali regionali (Simeri GSE, 2015), contro il 10,9% da fonti rinnovabili. La produzione di petrolio, nel 2017, è stata pari a 18,4 mila tonnellate, lo 0,4% della produzione nazionale, mentre quella di gas è stata di 1.819,2 milioni di Smc, pari a circa il 32,2% della produzione nazionale che, stando agli attuali consumi, coprirebbero lo 0,03% del fabbisogno del nostro Paese attraverso la produzione di olio, e il 2,4% con quella di gas. Numeri certamente poco incidenti ma che nei territori e nei mari interessati dai progetti di trivellazione portano a rischi ambientali importanti: in caso di incidente, infatti, verrebbero messi in ginocchio turismo e pesca, come testimoniato dal disastro causato nel 2010 dalla piattaforma petrolifera della BP nel Golfo del Messico.

Non solo, ma il cambio di rotta verso un futuro 100% rinnovabile, rimarrà complesso e difficile se il nuovo Governo non si impegnerà con urgenza ad eliminare tutti i vantaggi di cui godono nel nostro Paese le compagnie petrolifere. Basti pensare che dal 2010 al 2017 le concessioni produttive di greggio in Emilia Romagna hanno estratto in totale circa 203 mila tonnellate di greggio, di cui 158 mila (78,1%) sono risultate esenti dal pagamento delle royalties (soglia di esenzione 50.000 tonnellate per concessioni in mare e 20.000 tonnellate per quelle a terra). In questi anni la soglia minima di esenzione è stata del 65,3% nel 2012, con il massimo raggiunto proprio nel 2017, in cui tutto il petrolio estratto è stato esente dal pagamento delle royalties. Sempre per lo stesso periodo, le concessioni produttive di gas hanno estratto in totale 21.954 milioni di Smc, di cui 11.956 (il 54,5%) sono risultati esenti dal pagamento delle royalties (soglia di esenzione 25 milioni per concessioni a terra e 80 milioni per quelle a mare). In questi anni, la percentuale di esenzione non è mai scesa al di sotto del 47% del 2010, con il massimo raggiunto nel 2016, in cui il 63% del gas estratto è stato esente dal pagamento delle royalties.

“Si tratta di regali che rendono i nostri territori e i nostri mari un vero e proprio Texas petrolifero, dove gli interessi nel proseguimento alle attività petrolifere non si sono mai fermati. Sono almeno 15 le compagnie che hanno fatto richiesta di ricerca e prospezione per nuove aree, per 2.385,3 kmq per la terraferma e 774,3 kmq in mare - commenta Katiuscia Eroe, portavoce di Goletta Verde - I numeri raccontati nel dossier di Legambiente #NoOil Emilia Romagna raccontano bene non solo il ruolo, oggi ancora determinante delle fonti fossili, anche a causa di politiche mancanti di sviluppo di un nuovo sistema energetico innovativo e rinnovabile, ma anche come le produzioni siano in costante riduzione da anni. Scegliere di continuare a produrre gas e petrolio non solo mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici, ma anche quelli di sviluppo locale della Regione Emilia Romagna, costretta a subire l’arroganza delle compagnie, ma anche la poca lungimiranza e la mancanza di coraggio dei Governi, che invece di investire su un nuovo modello energetico, continuano a supportare lo sviluppo di politiche energetiche dipendenti dalle fonti fossili. Dopo aver contribuito alla definizione di obiettivi europei al 2030 su rinnovabili ed efficienza molto ambiziosi, chiediamo al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio di segnare un’altra discontinuità con i governi precedenti, fermando la corsa all’oro nero nel nostro Paese, e al Governo italiano di essere coerente con gli impegni sottoscritti a livello internazionale, indirizzando le scelte di aziende come Eni, a prevalente capitale pubblico, che continua ad investire solo sulle fossili, lasciando le briciole alle rinnovabili, per contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici e non per alimentarli, come fa oggi”.

A compromettere lo stato di salute delle coste dell’Emilia Romagna vi è pure il fenomeno della subsidenza che interessa in particolare il litorale ravennate dove, dal 1984 al 2011, si è verificato un abbassamento massimo del suolo di circa 45 centimetri. Il record negativo si ha nel tratto costiero che va da Lido Adriano fino ad oltre la Bocca del T. Bevano, proprio di fronte alla piattaforma ENI di estrazione gas Angela Angelina che - a meno di 2 km dalla costa - determina un aumento della tendenza naturale alla subsidenza.

“La piattaforma Angela Angelina, con le sue estrazioni di gas a ridosso della costa, concorre in modo significativo all’abbassamento del suolo, fenomeno che proprio sulla costa di fronte ha raggiunto livelli allarmanti - commenta Lorenzo Frattini, presidente di Legambiente Emilia Romagna - con un abbassamento di ben 45 cm dal 1984 ad oggi. Nel periodo che va dal 2011 al 2016 tali tendenze diminuiscono ma, stando ai dati forniti da ARPAE, rimane comunque il record massimo di abbassamento regionale della costa con 15 mm/anno. Proprio per l’innegabile evidenza della correlazione subsidenza-estrazioni, l’amministrazione del Comune di Ravenna sembra avere aperto una trattativa con la stessa ENI ed il MISE per anticiparne la chiusura. Al momento, però, le promesse dell’amministrazione ravvennate sembrano non avere nessun riscontro oggettivo e ogni anno che passa aumenta il rischio per l’entroterra. Restiamo dunque in attesa di sapere se questo processo si attuerà o meno - conclude Frattini - e se alle dichiarazioni sui giornali del Sindaco seguiranno anche atti. Noi certo non smetteremo di batterci per la difesa della costa e del clima e per ottenere la dismissione di questa e di tutte le altre piattaforme di estrazione presenti in regione”.

 

Ufficio stampa Goletta Verde

Elisabetta Di Zanni 347.6645685

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.">Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Segui il viaggio di Goletta Verde

sul sito www.legambiente.it/golettaverde

blog http://golettaverdediariodibordo.blogautore.repubblica.it

www.facebook.com/golettaverde - https://twitter.com/GolettaVerde

Il Comitato acqua bene comune di Bologna, ritiene sbagliata la scelta della Giunta Comunale Bolognese e del PD di approvare, nella seduta del Consiglio comunale del 30 luglio scorso, la delibera sulla vendita di azioni di HERA.

E’ una decisione presa in clamoroso isolamento, sia nell’ambito del Consiglio comunale che rispetto alle forze sociali, irrispettosa della volontà dei cittadini bolognesi che nel 2011 votarono a maggioranza assoluta i referendum contro il profitto sull'acqua e contro la privatizzazione della gestione del servizio idrico integrato.

Ancora una volta, invece di parlare nel merito del governo e della gestione della risorsa idrica, si affronta la questione solo sotto un profilo finanziario che pare del tutto strumentale ad obiettivi politici di corto respiro. Questa linea trova conferma nella decisione assunta dalla maggioranza di respingere un Ordine del giorno che chiedeva semplicemente l’istituzione di un Forum partecipato dai Comuni e dalle forze sociali al fine di sviluppare per tempo una discussione sulle scelte da fare alla scadenza dell'affidamento del servizio idrico ad HERA (dicembre 2021).

Analogo atteggiamento si rileva nella mancata risposta ad una recente lettera del Comitato Acqua Bene Comune ai sindaci della provincia e al Consiglio territoriale di ATERSIR, dove si chiedeva di istituire il Forum stesso per arrivare a definire in modo democratico e partecipato la forma del futuro affidamento.

Il Comitato Acqua Bene Comune Bologna ribadisce il proprio impegno rivolto a realizzare una moderna forma di gestione pubblica del servizio idrico per il tramite di una azienda speciale - nella quale siano i consigli comunali a decidere strategie e gestione garantendo la fuoriuscita dal mercato e dal profitto – attraverso la partecipazione alla gestione dei lavoratori e dei cittadini, la coerenza con gli obiettivi di tutela e rinnovabilità della risorsa idrica, il diritto umano all'acqua, la tutela ambientale, il rispetto dei diritti dei lavoratori, l'incremento degli investimenti necessari a questi scopi.

Il Comitato, pur valutandoli nella articolazione e pluralità delle posizioni, condivide la necessità di una discussione strategica come espressa nei comunicati delle organizzazioni sindacali e di Legambiente, e si impegna a svilupparla nei prossimi mesi portando avanti il proprio autonomo punto di vista.

Il Comitato segnala anche che, a livello regionale, il Coordinamento dei Comitati Acqua Bene Comune sta ricercando il sostegno politico ad un disegno di legge per rivedere complessivamente l’attuale governo del sistema idrico e dei rifiuti, al fine di restituirlo ai Comuni e favorire i processi di ripubblicizzazione in regione.

Informiamo infine che a livello nazionale il Forum dei Movimenti per l’acqua pubblica sta portando avanti una importante iniziativa politica, iniziativa che ha visto concretizzarsi il 30 luglio scorso un incontro con il Presidente della Camera dei Deputati On. Fico, che si è assunto l'impegno di promuovere in parlamento la discussione e l'approvazione della legge di iniziativa popolare sull'acqua pubblica presentata 10 anni fa al Parlamento della Repubblica col corredo di 400.000 firme di cittadini e mai giunta in discussione.

Comitato Acqua Bene Comune Bologna