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Dobbiamo recuperare lo spirito di Ventotene e lo slancio pionieristico dei Padri Fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra, porre fine ai guasti del nazionalismo dandoci un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza.” Discorso di insediamento del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli (Strasburgo, 3 luglio 2019)

Cosa possiamo fare per salvare l’Unione Europea? Per promuovere l’Unione “politica”? Per colmare il gap esistente tra le ambizioni e la realtà?

Partiamo dal presupposto che siamo tutti d’accordo sul fatto che c’è bisogno di più Europa, soprattutto di più Europa “politica”. In molti lo stiamo ripetendo da diversi lustri, quanto meno dalla caduta del Muro di Berlino e dalla fine dell’era bipolare.

Il punto è: quale Europa “politica” vogliamo?

L’Europa che rilancia una folle corsa al riarmo o l’Europa che avvia un negoziato globale per la pace e la giustizia sociale internazionale? 

L’Europa sonnambula che cammina verso il precipizio trascinando con sé le popolazioni che dovrebbe servire o l’Europa determinata “a salvare le future generazioni dal flagello della guerra e a riaffermare la fede nei diritti fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana”?

L’Europa che lascia impuniti i crimini più atroci, quali i crimini di guerra e contro l’umanità o l’Europa che fa della giustizia penale internazionale una delle sue priorità?

L’Europa dei doppi standards – si alle sanzioni contro la Russia, no alle sanzioni contro Israele, si al mandato d’arresto internazionale contro Putin, no al mandato d’arresto internazionale contro Netanyahu – o l’Europa della legge uguale per tutti?

L’Europa che fa prevalere le criminali politiche neoliberiste sulla giustizia sociale, climatica e di genere o l’Europa che vuole dare piena attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030 come previsto dall’Agenda delle Nazioni Unite?

L’Europa che alimenta la tumultuosa crescita dei partiti di estrema destra, cova nel suo seno i nazionalismi e costruisce muri ai suoi confini esterni, o l’Europa dei diritti fondamentali, dello stato sociale, della solidarietà, dell’accoglienza, dell’inclusione? E ancora.

L’Europa intergovernativa dell’unanimità e dei veti o l’Europa sopranazionale della maggioranza qualificata con un ruolo centrale del Parlamento europeo e del Comitato europeo delle Regioni e con un dialogo strutturato con le organizzazioni della società civile?

Quali sono i valori dell'Unione Europea? L'individuazione dei valori è fondamentale perché consente di capire le ragioni profonde che stanno alla radice del processo di integrazione sopranazionale europeo. Il prof. Antonio Papisca scriveva: “Il problema dei valori è il problema del perché dell'UE, della sua identità: l'Europa unita eventualmente si, ma à quoi faire?"

Qual è l’identità dell’Europa? Quella di difendere i rispettivi confini nazionali per evitare che le persone che cercano di fuggire dalle guerre e dalla fame possano arrivare da noi, o quella di spegnere gli incendi lavorando per la pace e il rispetto di tutti i diritti umani per tutti?

L’UE è sempre stata un attore civile (economico, commerciale, culturale). Un attore di soft power, a sostegno del diritto internazionale dei diritti umani, della diplomazia preventiva e del multilateralismo efficace, anche di fronte a minacce globali quali terrorismo, conflitti regionali, proliferazione di armi di distruzione di massa.

Per diventare un attore di hard power ci vogliono unità, visione, strategia, leadership, tutte caratteristiche che mancano all’UE. Ma soprattutto ci vogliono soldi, tanti soldi, che non ci sono o che bisogna togliere alla cura delle persone, della loro dignità e dei loro diritti fondamentali.

Oggi, l’UE è divisa. E’ divisa sulla politica estera, sulla politica di difesa, sullo sviluppo di una politica industriale in materia di armamenti, sulla politica di asilo e immigrazione, sulla politica della cittadinanza, sulla politica fiscale, sul green deal, …. 

Ma non può esistere una politica comune di difesa senza una politica estera comune, senza una visione strategica di lungo periodo. Per esempio: quali saranno i rapporti dell’UE con la Russia quando la guerra sarà finita? Saranno rapporti fondati sul dialogo e la cooperazione o sulla deterrenza e il riarmo? La mancanza di una visione e di una volontà unitaria rimane dunque il problema centrale dell’UE.

* * *

Il futuro della pace e della sicurezza dell’Europa non può essere affidato alla follia di governanti che alimentano le guerre e una nuova spaventosa corsa al riarmo. Oggi c’è bisogno di una nuova Conferenza di Helsinki che, come nel 1975, riunisca tutti gli Stati del nostro continente e dia nuovo avvio alla costruzione in Europa di un sistema di sicurezza comune, dall’Atlantico agli Urali, basato sul disarmo, i diritti umani, il diritto all’autodeterminazione dei popoli e i diritti delle minoranze.

L’Europa deve ricominciare a lavorare per la pace, con coraggio, lungimiranza e creatività. Come fecero i Padri fondatori dell’Europa che, sulle macerie di due guerre mondiali, in un tempo di grandi sofferenze e divisioni, “osarono trasformare i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione”. Grazie a questo sforzo straordinario, l’Europa è stata un originale progetto e un grande esperimento di pace. Nessuno può permettersi di cancellare quella che è la prima ragion d’essere dell’Europa.

L'Europa che vogliamo ripudia la guerra, è fondata sulla pace e sui diritti umani, sulla dignità umana e sui diritti che le ineriscono, sui valori indivisibili e universali della libertà, della democrazia, dell'eguaglianza, della giustizia e della solidarietà.

L’Europa che vogliamo è aperta, democratica, solidale e nonviolenta. E’ l’Europa della convivialità e dell’interculturalità; un’Europa che è accoglienza di popoli, di lingue, di culture, di identità e di storie diverse; un’Europa che rifiuta il razzismo e la discriminazione in tutte le sue forme; che riconosce e rispetta i diritti dei migranti e il diritto d’asilo ai profughi e rifugiati in fuga dalla guerra, dalla violenza e dalla fame.

Abbiamo bisogno urgente di un’Europa di pace:

  • decisa a riaffermare sé stessa come soggetto politico di pace, democratico e indipendente; 
  • determinata a costruire un ordine mondiale più giusto, pacifico e democratico centrato sulle Nazioni Unite e sul diritto internazionale dei diritti umani, sulla solidarietà e la cooperazione internazionale; 
  • decisa a contrastare la corsa al riarmo, a promuovere il disarmo e a combattere la fame, la sete, le malattie e la povertà promuovendo un’economia di pace e giustizia; 
  • impegnata a ridefinire coerentemente i suoi rapporti di amicizia e cooperazione con tutti i popoli e i paesi, a partire dai suoi vicini, con il mondo arabo e con il resto del mondo.

Abbiamo bisogno di un’Europa che sappia agire non in base alla legge della forza ma con la forza della legge. In questa prospettiva, l’Onu, istituzione multilaterale per antonomasia, è indispensabile per gestire l’ordine mondiale nel rispetto di “tutti i diritti umani per tutti” e per costruire un’economia di giustizia. C’è bisogno di una istituzione mondiale in cui tutti gli stati, grandi e piccoli, siano rappresentati e tutti i popoli, anche i più lontani e diseredati, possano far sentire la loro voce. Se l’UE è sincera nel proclamare oggi la centralità delle Nazioni Unite, occorre senza indugio che persegua il duplice obiettivo del potenziamento e della democratizzazione della massima organizzazione mondiale.

La via giuridica e istituzionale alla pace, con al centro l’architettura multilaterale e il diritto internazionale dei diritti umani generato all’indomani della Seconda guerra mondiale, è la bussola che l’Unione Europea deve seguire se vuole continuare ad esistere.

Marco Mascia, Presidente Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova

Flavio Lotti, Presidente Fondazione PerugiAssisi per la Cultura della Pace

3 marzo 2025

 

Faenza, 28/2/2025     

 

Dopo il rigetto del progetto di conversione e ampliamento dell'impianto di Granarolo Faentino, come era prevedibile, la società ha inviato all'Unione della Romagna Faentina le proprie osservazioni.

Dato che le principali ragioni della bocciatura erano prevalentemente sull'impatto (insostenibile) sulla viabilità locale, l'azienda ha intitolato le sue controdeduzioni Nota viabilità.

In tale documento, ha abbandonato la sommaria ipotesi di un percorso parzialmente alternativo su aree peraltro non nella loro disponibilità e punta invece su “un importante allargamento e adeguamento della sede stradale, tale da poter garantire il transito scorrevole dei mezzi in ingresso ed in uscita dall'impianto... Inoltre, nel'ottica di diminuire i possibili disagi arrecati ai ricettori prossimi all'impianto, la Società è disponibile a realizzare un nuovo accesso all'impianto, in modo tale da evitare il transito davanti all'unica abitazione presente sul tracciato precedentemente ipotizzato”.

In sostanza, propone di allargare via Fabbra e ipotizza uno svincolo per un nuovo accesso all'impianto, quest'ultimo dovrebbe essere realizzato su “particelle in disponibilità della Ricci Società Agricola srl attuale gestore dell'impianto...” mentre per l'allargamento di via Fabbra, dall'inizio della zona industriale di Granarolo fino all'impianto, servirebbe l'utilizzo di altri terreni di proprietà di privati, coi quali sarebbero state avviate intelocuzioni.

Al di là di queste complicazioni non risolte, le altre questioni insormontabili sono che, più del raddoppio del traffico di camion, trattori e carri bombolai, continuerebbe a passare nell'abitato di Granarolo e poi, che via Fabbra è interna all'impianto storico della centuriazione romana e quindi non può essere modificata, come recita, tra l'altro, l'art. 23 del RUE del Comune di Faenza in vigore.

A questo proposito come Legambiente abbiamo inviato una segnalazione alla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio di Ravenna, per chiedere il rispetto del vincolo di tutela dell'area, ed impedire un intervento che riteniamo sia uno sfregio al patrimonio culturale, oltre che un impatto insostenibile per il territorio e i suoi abitanti.

Naturalmente anche tutti gli altri Enti deputati a rilasciare propri pareri sulla richiesta dell'azienda dovranno farlo e il termine per la conclusione è stato fissato per il 10 marzo prossimo, potrebbe essere utile che anche l'Amministrazione dell'URF ribadisse le ragioni contrarie alla proposta dell'azienda.

Come abbiamo più volte argomentato, la questione non è la contrarietà alla produzione di biometano, quando questo è fatto con tutti i crismi di sicurezza e sostenibilità, il problema invece è che un impianto con queste caratteristiche non può essere ampliato in quell'area.

Se la BYS è sul serio interessata all'impianto, progetti di realizzarlo in un'area più adeguata che può essere individuata nel nostro territorio, altrimenti rinunci a questo ampliamento.

Questa potrebbe essere la controproposta che l'Amministrazione dell'URF avanza alla BYS.

                                                                                                                                                     Circolo Legambiente Lamone Faenza

 

In queste ore arriva a Ravenna la famigerata nave rigassificatrice BW Singapore, la cui presenza sarà di qui in avanti uno degli elementi caratterizzanti del panorama della Costa Adriatica.

E come sanno tutte le persone informate, i problemi principali saranno i pericoli che questa presenza riveste, i costi che comporta e che saranno interamente scaricati sulle tasche della cittadinanza, i danni per la qualità dell’aria e dell’ambiente marino; inoltre, questa realizzazione, voluta dai colossi dell’estrattivismo locale, nazionale, internazionale, e caldeggiata dalle Istituzioni, ci lega ancor più strettamente ai voleri e agli interessi del sistema fossile.

Il sistema fossile è il primo e principale responsabile della catastrofe ecologica, che promette di peggiorare nei prossimi anni, ma della quale ai nostri governanti importa evidentemente poco. La scelta di portare a Ravenna (come già a Piombino, come si farà probabilmente in Liguria, come si intende fare in Sardegna e in Calabria) un terminale della filiera del gas liquefatto, devastante in ogni fase del suo percorso, non è la sola che minaccia sempre di più i nostri territori.

Infatti sta anche andando avanti a velocità vertiginosa la costruzione del gasdotto della Linea Adriatica, che sventra l’ Appennino e le campagne; si sta proponendo senza alcun senso del pudore di potenziare e incrementare il ricorso alle trivellazioni, in perfetto stile Trumpiano; si stanno spacciando per innovazione e strumenti di transizione delle illogiche realizzazioni tecnologiche, come l’impianto di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica.

E’ necessario che cessino la disinformazione e la manipolazione dettate direttamente dai padroni del sistema fossile, e tutti i soggetti in campo si prendano le proprie responsabilità, assumendo posizioni argomentate e conseguenti.
L’informazione, la politica, le aziende stesse, devono rivolgere il proprio impegno al servizio di una svolta, nell’interesse generale, invece di continuare sulla via della distruzione in cambio dei profitti immediati.

A nostro avviso è oggi indispensabile che vengano assunti impegni precisi per un percorso di dismissione del rigassificatore; si istituisca un monitoraggio continuo e indipendente sulla qualità dell’aria, dell’ambiente marino, dell’assetto idrogeologico e dell’impatto sull’ambiente e sulla salute, in tutte le zone interessate non solo dal rigassificatore, ma anche dalla costruzione del gasdotto e dalle altre realizzazioni collegate al gas; tutta la politica apra un confronto serio, finalizzato al taglio dei sussidi alle fonti fossili e promuova l’incentivazione degli
investimenti rinnovabili, nell’ottica di trasferire l’energia dall’ambito dei profitti a quello dei beni comuni.

Ed è necessario che finalmente si metta seriamente in discussione il rapporto di subordinazione delle Istituzioni amministrative, culturali, formative e sociali ai poteri dell’energia fossile.


RETE EMERGENZA CLIMATICA AMBIENTALE
RETE NO RIGASS NO GNL
CAMPAGNA PER IL CIMA FUORI DAL FOSSILE
ENERGIA PER L’ITALIA
COMUNITA’ ENERGETICA RAVENNA
LEGAMBIENTE REGIONALE

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Faenza 27 02 2025                                                                                                                                                                

    

Ecoquartiere San Rocco all'asta ?

Quale futuro?

 

Abbiamo avuto notizia della messa all'asta di diversi lotti dell' ormai noto Eco quartiere San Rocco e abbiamo visionato le proposte sul sito delle aste giudiziarie

https://www.astalegale.net/Aste/Detail/B2334122-Terreno-Quartiere-S-Rocco---Quartiere-Centro-Nord-Faenza

Da un primo sguardo si evince che l’asta riguarda 9 lotti dei 13 edificabili facenti parte del progetto dell’Ecoquartiere San Rocco che ebbe origine dalla partecipazione del Comune di Faenza al bando regionale “Contratti di quartiere” e relativi finanziamenti.

2 lotti sono costituiti dai condomini già abitabili per i quali è prevista la messa all’asta di 68 appartamenti e 72 autorimesse/posti auto;

11 lotti costituiscono l’attuale area non urbanizzata ed in stato di completo abbandono.

7 di questi furono oggetto di progetti preliminari ed esecutivi elaborati da diversi studi di progettazione e poi assegnati con bando pubblico alla Società “San Rocco Faenza Case” espressamente costituita nel 2007 per l’edificazione del quartiere.

Sono questi sette lotti per una superficie edificabile di circa 10.000 mq. oggetto di asta. Due di questi lotti furono a più riprese oggetto di inizio lavori con opere di fondazione ancora visibili.

Nel nostro sito c’è la storia del quartiere (“Meraviglie di Faenza” 25.09.2020) ed un ultimo aggiornamento il 10.02.21 quando abbiamo appreso le vicende giudiziarie che hanno coinvolto la Società San Rocco Faenza Case a seguito dell’interdittiva antimafia notificata nel 2017 dalla prefettura di Vibo Valentia.

Le domande che facevamo sono in parte ancora valide soprattutto relativamente alla disciplina urbanistica e cioè se chi interverrà dovrà o meno rispettare quanto già progettato.

Nella perizia c’è tutta una serie di valutazioni normative che andranno verificate per capire cosa comportano e quali modifiche urbanistiche sarebbero possibili.

L’area è complessa data la forma ed i lotti che non sono oggetto di asta perché di fatto mai entrati nel progetto e nell’assegnazione originaria.

Per quanto riguarda l'aste per i lotti dei terreni, non costruiti o interrotti, non parrebbe possano avere una grande appettibilità, a meno che qualche interlocutore disponga di insospettabili risorse finanziarie o che progetti di stravolgere l’impianto urbanistico.

Questione che l'Amministrazione Comunale deve necessariamente valutare e dare più precise informazioni ai cittadini.

Vista la complessità dell’area, la posizione (tra la ferrovia e l’area ex Zanzi già convenzionata per costruire), con la nota realtà di scarsa necessità di nuove residenze (viste anche quelle già potenzialmente costruibili), il costo ecc. è utopistico pensare che possa essere acquisita dal Comune per farne un grande parco urbano, magari in parte adibito a produzioni ortofrutticola gestiste da associazioni?

 

Circolo Legambiente Lamone Faenza

 

 

Due anni dopo, il ricordo della strage in un Paese che continua a respingere migranti. “Una commemorazione per cambiare un modello sbagliato”  

Avalon/Sintesi Avalon/Sintesi

“Per non dimenticare”. A due anni dalla strage di Cutro, la Cgil Calabria e la Cgil Area Vasta hanno organizzato una commemorazione delle vittime del naufragio. Si tiene il 26 febbraio, alle 11.30, davanti alla stele di piazzale Africa, a pochi metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro su cui hanno perso la vita più di cento persone, , 94 vittime ritrovate e 11 dispersi, durante il naufragio del caicco “Summer love”. L'obiettivo del sindacato è confermare e rivendicare l'impegno per “buone politiche dell'immigrazione, dell'accoglienza e dell'integrazione”, in un territorio di frontiera come quello calabrese.

Mancanza di politiche eque

“Lo facciamo, non solo per non dimenticare, ma anche per agire affinché quello che è accaduto due anni fa non si ripeta mai più”, afferma Celeste Logiacco, segretaria della Cgil calabrese con delega all'immigrazione. “Nel nostro mare si verifica da anni una strage silenziata perché le morti in mare non fanno più clamore e meno se ne parla meglio è - continua -. Donne, uomini e bambini in fuga dalla fame e dalla guerra le cui storie testimoniano drammaticamente come la mancanza di politiche eque ed efficaci sull’immigrazione e sull'accesso effettivo al diritto d’asilo, di canali legali e sicuri siano la causa diretta della loro morte”.

L’altra strage

Sbarchi e naufragi che rappresentano “la dimostrazione plastica dell’inefficacia del decreto Cutro che sin dall’inizio come Cgil abbiamo ritenuto non idoneo, perché conferma il carattere repressivo e punitivo delle politiche sull'immigrazione e agisce, come altre disposizioni di legge come i decreti sicurezza, nella limitazione delle attività di ricerca e soccorso in mare”.  Lo dimostra anche un'altra strage, avvenuta mesi fa in questo territorio, e passata davvero sotto traccia. E' quella dello scorso 17 giugno, a Roccella Jonica, quando l’ennesimo barchino partito dalle coste della Turchia, dopo giorni passati in balia del mare, si è inabissato. Al suo interno c’erano più di 70 persone in fuga da guerra e fame, e solo in 13 sono stati recuperati. Tra loro, una giovane donna incinta all’ottavo mese, è morta prima di raggiungere il porto. “Un altro dramma - continua Logiacco - passato inspiegabilmente sotto silenzio. Da giugno, sul naufragio in cui hanno perso la vita 65 persone, tra cui 25 bambini, è calato un assordante silenzio. Il tutto per evitare un nuovo effetto Cutro.”

Un approccio sbagliato

“La strage di Cutro non ha invertito l'approccio alle politiche governative sull'immigrazione - afferma Maria Grazia Gabrielli, segretaria confederale della Cgil -, è evidente che non c'è stato alcun percorso per rafforzare le attività di ricerca, soccorso e assistenza in mare. Anzi, il Governo è intervenuto per continuare nell’azione d’interdizione delle Ong sia sotto il profilo legislativo che attraverso gli atti amministrativi come l’assegnazione dei porti sicuri o le ispezioni e i fermi alle navi che prestano soccorso. A livello nazionale si continua a perseguire la logica dei respingimenti alle frontiere, emblematico è il caso dei centri aperti in Albania per i quali si paventa l’ipotesi di trasformazione in ulteriori Cpr, mentre a livello europeo il Patto asilo e immigrazione preoccupa per le restrizioni nel riconoscimento della protezione internazionale, così come lascia perplessi la definizione dei Paesi cosiddetti 'sicuri'”.

“È una linea politica che non condividiamo - continua Gabrielli -, e che abbiamo da sempre contestato. Perché riteniamo che non solo sia possibile, ma che sia anche necessario affrontare il fenomeno migratorio in maniera totalmente diversa. Bisogna rafforzare I canali sicuri e regolari per la migrazione, creando corridoi umanitari, ampliando i ricongiungimenti familiari sui quali si è intervenuti di recente con delle restrizioni e prevedendo l'ingresso in Italia per la ricerca di lavoro. Sono proposte che anche nel dettaglio abbiamo formulato nelle pochissime occasioni in cui il Governo ha deciso di ascoltare la voce delle organizzazioni sindacali e di quel vasto mondo che opera intorno ai temi della migrazione”.

“Ma non c’è stato alcun cambiamento - va avanti Gabrielli - come dimostra la formulazione del decreto legge che ha modificato le procedure sui flussi dove non si è tenuto conto delle proposte che abbiamo avanzato e gli esiti, sull’assegnazione delle quote per l’anno 2025, confermano tutti gli elementi di criticità. Le nostre proposte non sono nemmeno diventate oggetto di un confronto più strutturato e più ampio a partire dalla necessità di una procedura di regolarizzazione dei migranti già presenti nel nostro paese per l’insieme dei settori economici e produttivi e da attivare anche senza l’istanza del datore di lavoro”.

E ancora:  “È un evidente segnale che questo Governo ha la presunzione di ritenere che le politiche che sta adottando e le pratiche che sta mettendo in campo siano le uniche possibili, e non siano in alcun modo discutibili. Il tema migratorio viene gestito con un approccio esclusivamente securitario, basato sui respingimenti. Così si continua solo con la retorica della difesa dei confini e delle frontiere ignorando completamente le possibilità di inclusione e integrazione, e le opportunità di creare una vita migliore per moltissime persone in fuga da guerre, disperazione, privazione dei diritti, delle libertà”. “La centralità dei diritti umani - conclude Gabrielli -  è il messaggio che lancia ancora oggi la strage di Cutro e che deve essere raccolto con scelte coerenti e completato da politiche di accoglienza per costruire quel modello d’integrazione italiano ancora mancante”.

Il processo

Intanto, quasi in contemporanea con l'anniversario della strage di Cutro, il 6 marzo a Crotone si aprirà il processo a carico dei sei militari della Guardia di finanza e della Guardia Costiera per i quali vengono ipotizzati i reati di naufragio e omicidio colposo plurimo per la strage di Cutro. Si tratta di un primo passo per far luce sulla catena di responsabilità di quella notte. Furono Arci e Asgi a depositare il 9 marzo 2023 tre esposti alla Procura di Crotone, che confluirono poi in un unico procedimento e in un’unica indagine, coordinata dal pubblico ministero Pasquale Festa, da cui è scaturito il processo.

Le accuse sono quelle di naufragio colposo e omicidio plurimo colposo e fanno riferimento ad una serie di omissioni legate alla mancata attivazione del piano Sar (il Piano per la ricerca ed il salvataggio in mare), probabilmente a causa di uno scambio di informazioni poco trasparente tra Guardia di finanza e Guardia costiera, all’aver ignorato il supporto offerto dalla Capitaneria di porto.

Responsabilità

Il rischio è che il procedimento si concluda con una dichiarazione di intervenuta prescrizione com’è stato per il processo sul naufragio di Lampedusa del 2013. Finora le uniche responsabilità penali sono state attribuite a cinque migranti sopravvissuti al naufragio condannati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte in conseguenza di altro reato.

 

“Il governo deve garantire la massima informazione e partecipazione dei cittadini”

IMAGOECONOMICA IMAGOECONOMICA

Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, per il Comitato Referendum sul lavoro, e Riccardo Magi, Deepika Salhan, Daniela Ionita, del Comitato Referendum cittadinanza, hanno inviato oggi una lettera al presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, per chiedere un incontro finalizzato a garantire la massima informazione e partecipazione al voto. Per i comitati promotori è necessario che la data della consultazione elettorale, che, secondo quanto stabilito dalla legge, dovrà tenersi tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi, non sia fissata in momenti che rischino di aggravare il fenomeno dell’astensionismo invece che contrastarlo e che, laddove possibile, coincida con quella delle altre elezioni regionali e amministrative.

Per favorire la massima partecipazione al voto, i comitati promotori chiedono inoltre che “il Governo si attivi con urgenza per garantire la possibilità di votare presso il domicilio di quanti rischiano di essere nuovamente degli astenuti involontari, fenomeno che riguarda all’incirca 5 milioni di elettori fuorisede (cittadini che lavorano o studiano in una città diversa da quella di iscrizione nelle liste elettorali). Come altresì è fondamentale predisporre tutte le condizioni per agevolare il voto dei cittadini italiani residenti all’estero.

“Illustre Presidente – si legge nella missiva – a nome dei comitati promotori dei referendum sul lavoro e sulla cittadinanza le scriviamo per chiedere un incontro formale rispetto a questioni urgenti che il Governo deve affrontare al fine di garantire la massima informazione e partecipazione dei cittadini italiani al voto referendario della primavera prossima. Come ben sa, gli strumenti di democrazia diretta sono elementi fondamentali nell’architettura costituzionale del nostro Paese, in quanto permettono ai cittadini di decidere su questioni essenziali e possono essere anche importanti al fine di riavvicinare l’elettorato alla politica in un momento storico nel quale gli istituti di democrazia rappresentativa sembrano essere considerati dai cittadini puramente formali”.

“La Corte costituzionale, il 20 gennaio 2025 – prosegue la lettera – ha dichiarato l’ammissibilità di cinque quesiti referendari ex articolo 75 della Costituzione e, secondo quanto stabilito dalla legge 352/1970, la consultazione popolare dovrà tenersi in una data compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi. Come noto, l’astensionismo raggiunge a ogni tornata elettorale dimensioni sempre più preoccupanti, e questo è spesso aggravato dal cosiddetto ‘astensionismo involontario’, che riguarda all’incirca 5 milioni di elettori fuori sede; cittadini, cioè, che lavorano o studiano in una città diversa da quella di iscrizione nelle liste elettorali”.

“La Camera dei deputati, nella seduta del 4 luglio 2023 – ricorda la missiva – ha approvato una legge che delega al Governo l’adozione di uno o più decreti legislativi volti a disciplinare le modalità atte a garantire l’esercizio del diritto di voto degli elettori che si trovano in un Comune situato in una regione diversa da quella di residenza in occasione di consultazioni referendarie ed europee, ma ad oggi nessun decreto che vada in questo senso è stato approvato. Garantire la partecipazione dei cittadini rappresenta un preciso dovere istituzionale per garantire alla democrazia di inverarsi ed è di fondamentale importanza eliminare tutti gli ostacoli che la rendono impraticabile, il che implica anche favorire la più ampia e capillare informazione ai cittadini nonché garantire che la data del voto non sia fissata in momenti che rischino di aggravare il fenomeno dell’astensionismo invece che contrastarlo”.

“Il ministro dell’Interno, lo scorso 12 febbraio, alla Camera dei deputati, in risposta all’interrogazione n. 3-01728 – aggiunge la lettera dei comitati promotori dei referendum – ha affermato che ‘si procederà certamente a individuare la data per la celebrazione dei referendum nella predetta finestra temporale, tenendo conto della ricorrenza delle festività civili, di quelle religiose, delle necessità legate al calendario scolastico e dei tempi necessari agli adempimenti connessi al procedimento referendario, che prevedono anche il voto per corrispondenza dei cittadini italiani residenti all’estero’.

Per tutte queste ragioni, è urgente e necessario che il Governo garantisca, per quanto di competenza, la massima informazione ai cittadini per consentire la più ampia partecipazione e che consulti i comitati promotori sulla decisione della data in cui dovranno essere celebrati i referendum, in modo che sia lontana dalle festività, dalla chiusura delle scuole e che – laddove possibile – coincida con quella delle altre elezioni regionali e amministrative. Ed è fondamentale, altresì, che il Governo si attivi con urgenza per garantire la possibilità di votare presso il domicilio di quanti rischiano di essere nuovamente degli astenuti involontari, come già precedentemente fatto per la scorsa tornata delle elezioni europee. Come fondamentale è predisporre tutte le condizioni per agevolare il voto dei cittadini italiani residenti all’estero”.

“Su tutte queste questioni, Presidente, vorremmo richiamare la sua attenzione, con richiesta formale di incontro”, conclude la missiva.