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Export mai così su negli ultimi vent'anni, crescono anche gli investimenti

Una regione per molti aspetti “forte” come l’Emilia-Romagna, vive oggi una fase di drammatica incertezza. Alla transizione tecnologica e a quella ecologica, agli interrogativi che pone l’evoluzione demografica e l’invecchiamento della popolazione, si sono aggiunti la crisi generata dalla pandemia, quella energetica e infine lo scoppio di una guerra nel cuore dell’Europa. È il quadro che emerge dalla lettura del 9° rapporto dell’Osservatorio del lavoro e dell’economia in Emilia-Romagna a cura dell’Ires regionale presentato questa mattina dal segretario generale della CGIL Emilia-Romagna Massimo Bussandri e dal presidente di Ires Emilia-Romagna Giuliano Guietti, in un dibattito che ha coinvolto anche l’assessore regionale al Bilancio Paolo Calvano, il capo di Gabinetto della Città metropolitana di Bologna Sergio Lo Giudice e la docente universitaria, nonché membro del comitato scientifico di Legambiente Emilia-Romagna, Alessandra Bonoli. 
Dopo la grave caduta del 2020, la crescita nel 2021 è stata significativa (+7,3%), trainata dall’eccezionale ripresa dell’export, che ha segnato l’incremento più alto degli ultimi vent’anni (+16,9%), e dal buon andamento di alcuni settori chiave dell’industria manifatturiera regionale. Contributi decisivi sono giunti anche dal settore delle costruzioni e dal turismo, in netta risaluta dopo i contraccolpi del 2020. Grazie alla spinta delle risorse messe a disposizione da Next Generation UE, anche gli investimenti registrano un aumento sconosciuto da tempo (+19,8%).
foto relatori Da sinistra, Lo Giudice, Calvano, Bussandri, Guietti e Bonoli

Nuova occupazione sempre più precaria. Ed è boom dimissioni dal lavoro

Meno importante è stata la crescita degli occupati, che ha scalfito in minima parte la riduzione di quasi 60 mila unità registrata nel 2020 e il corrispondente aumento degli inattivi (+64 mila). La risalita delle unità lavorative equivalenti (+7,7%), che pur si è registrata nel 2021, è l’effetto soprattutto di un minor ricorso alla cassa integrazione. Così come il calo dei disoccupati rispetto al 2020 (-19,7%), non può essere considerato un segnale del tutto positivo, in quanto accompagnato da una crescita senza precedenti degli inattivi e concentrato sulla componente maschile, la stessa che risulta più marcatamente interessata dalla ripresa occupazionale (+0,9% a fronte del +0,2% di quella femminile). In regione il 75% delle posizioni di lavoro dipendente in più create nel 2021 sono a tempo determinato. C’è poi il caso delle dimissioni volontarie, diminuite nel 2020 (-2,6%) e poi esplose nel 2021 (+39,7%) soprattutto tra gli uomini (29 mila su 48 mila totali). Considerando solo le dimissioni a tempo indeterminato, è l’amministrazione pubblica (sanità, istruzione e assistenza sociale) a segnare l’aumento più alto negli anni della pandemia (+79%). “È evidente come le dinamiche sin qui descritte abbiano già avuto effetti negativi sul reddito, sul potere d’acquisto e sulla spesa per consumo delle famiglie, soprattutto negli strati di popolazione che erano già a rischio: le fasce più giovani della forza lavoro, i lavoratori a termine, i cittadini stranieri e mediamente più le donne degli uomini”, sottolinea Guietti.

Continua il calo della popolazione regionale

All’incertezza di questa fase storica è connesso anche l’andamento demografico regionale, che registra nell’ultimo biennio un calo della popolazione. Frutto di un aumento dei decessi a causa della pandemia, ma anche del proseguimento del calo delle nascite e della insufficienza ormai del saldo migratorio a bilanciare questi andamenti. Dal punto di vista dell’inquinamento ambientale il 2021 in Emilia-Romagna è stato un po’ meno critico rispetto all’anno precedente, che aveva risentito non tanto maggiori emissioni locali di sostanze inquinanti ma degli effetti di fenomeni atmosferici conseguenti alla ormai strutturale alterazione del clima a livello mondiale. Questo conferma che non si può più affrontare il tema dell’emissione di sostanze direttamente inquinanti separatamente da quello della messa in atto di azioni climalteranti (non solo emissioni ma anche il crescente consumo di suolo o l’ancora troppo elevata produzione di rifiuti urbani).
“È chiaro che una lunga fase storica si sta chiudendo, molto meno chiaro è il futuro che ci attende. A livello nazionale le vertenze principali sono tre: la questione salariale, la lotta alla precarietà e la difesa del sistema sanitario pubblico. Quest’ultimo punto è comune alle priorità che invece stiamo affrontando in Emilia-Romagna, coerenti tra l’altro con quelle previste nel Patto per il lavoro e il clima, che include anche la transizione energetica, la mobilità sostenibile, il welfare, la formazione e il lavoro di qualità, l’integrazione della popolazione migrante, gli investimenti in ricerca e sviluppo”, sottolinea Bussandri. “Serve quindi ridare un nuovo slancio al Patto, che non va cambiato di una virgola, per renderlo maggiormente operativo nella quotidianità, così da evitare che gli eventi internazionali e nazionali non mettano troppo sotto stress quanto abbiamo abbiamo scritto e condiviso nel dicembre del 2020”, conclude il segretario generale della CGIL Emilia-Romagna.

9° Rapporto dell'Osservatorio regionale sull'economia e il lavoro (versione integrale)
9° Rapporto dell'Osservatorio regionale sull'economia e il lavoro (sintesi)

 

CRISI UCRAINA. Sabato 25 l'iniziativa di StoptheWarNow, 170 le associazioni aderenti e due obiettivi: portare aiuti umanitari e riportare in Italia chi ne ha bisogno, e affermare un principio di simbolica interposizione alla guerra e quella della pace. L'appoggio della Cei

 La carovana di StopTheWarNow diretta a Leopoli

Questa volta ci saranno meno mezzi e meno persone nel convoglio che sabato mattina partirà da Gorizia alla volta di Odessa, in una nuova Carovana di pace il cui senso è continuare il percorso iniziato a Leopoli nell’aprile scorso.

Allora furono 60 mezzi e diverse tonnellate di aiuti umanitari a raggiungere la città occidentale dell’Ucraina. Ma questa volta le associazioni aderenti al cartello StoptheWarNow – oltre 170 – hanno dovuto fare i conti con la guerra guerreggiata così che percorsi e date hanno subìto più variazioni.

ANDARE A ODESSA è una scelta forte perché significa entrare nella fornace del conflitto col rischio di diventarne un target. Le cose sono state preparate con cura, riunioni virtuali, chat, punti di raccolta, dettagliate informazioni logistiche, avvisi alle autorità. A Odessa c’è un’antenna della coalizione che fa capo a StoptheWarNow che aggiorna di continuo la segreteria organizzativa.

Il senso politico è molto chiaro: portare aiuti umanitari e riportare in Italia chi ne ha bisogno (anziani, bambini, disabili, mamme), ma anche affermare un principio – pacifista e non violento – di simbolica interposizione, anche di corpi, tra la logica della guerra e quella della pace.

Le sensibilità diverse delle sfaccettate anime del movimento per la pace italiano scommettono su questo cartello unitario dove ci sono associazioni laiche, religiose, non violente.

I cattolici, presenti con decine di sigle e forse i più numerosi, incassano anche il placet della Conferenza episcopale italiana dove, non a caso, è da poco presidente un cardinale, Matteo Zuppi, che oltre ad aver fama di «prete di strada», ha un passato da mediatore nelle file di Sant’Egidio.

Di più, la Cei assicura anche una presenza pesante: quella del vescovo di Cassano allo Jonio, Francesco Savino, Vice Presidente dell’istituzione. Parteciperà alla carovana accompagnato da alcuni volontari della Caritas.

LE ORGANIZZAZIONI LAICHE ci saranno comunque con una vasta rappresentanza, testimoni anche di battaglie sull’obiezione di coscienza, sindacali o di attenzione alle minoranze Lgbtq+.

La carovana, oltre a raccogliere cibo e medicinali, si è nutrita infatti anche delle molte riunioni, incontri, festival (come l’Eirene Festival di maggio a Roma) in cui si è cercato di declinare la parole guerra nelle mille forme che purtroppo conosciamo: dalle fibrillazioni governative – triste spettacolo a fronte di un Paese che i sondaggi dipingono come fortemente contrario all’invio delle armi – al problema dell’accoglienza, in cui non mancano le discriminazioni verso comunità che hanno la sfortuna di non essere ucraine.

Declinazioni complesse – dove appare evidente l’interesse dell’apparato militar industriale – ma in cui si muove , ragionando, un movimento che è una delle migliori espressioni della società civile italiana (come si può leggere nelle adesioni alla coalizione su stopthewarnow.eu).

Nella logica della carovana c’è anche l’evidente spinta dal basso a fare di più che non limitarsi a secretare la lista degli armamenti per l’esercito ucraino: una mancanza di diplomazia, un’assenza dell’Onu, un’incapacità europea di formulare proposte francamente imbarazzanti. Tant’è, nessuno si illude che marce e convogli possano fermare le guerra.

MA QUESTA SFILATA di corpi ha il senso di esserci. Con la propria presenza fisica oltreché con i pensieri, i medicinali e gli slogan. Non finirà a Odessa. A luglio si partirà di nuovo come a garantire un flusso virtuoso senza interruzioni. L’idea di fondo è quella di creare luoghi fisici fissi in almeno tre città ucraine: Leopoli, Kiev e Odessa, garantiti dalla presenza a rotazione di decine di volontari.

A Odessa sono previsti diversi incontri con autorità civili, religiose e associative. Ma l’agenda resta incerta come lo sono possibili spostamenti in altri luoghi fuori dalla grande città portuale. E forse non ci sarà la possibilità di una marcia simbolica, come avvenuto a Leopoli in aprile, perché le condizioni sul campo potrebbero non permetterlo.

Ci sarà però la possibilità di far sapere agli ucraini che c’è una solidarietà italiana che sembra ricalcare la grande mobilitazione che abbiamo visto durante la guerra nei Balcani dove all’aspetto umanitario, anche di singoli cittadini partiti da soli alla volta di Sarajevo, si accompagnava il ripudio netto della guerra. Espresso fisicamente da chi si espose come target sui ponti di Belgrado.

 

PACE. L’Italia non può disertare la conferenza di Vienna sul trattato per l’abolizione delle armi nucleari. Il rischio della guerra nucleare è più vicino che mai. È difficile comprendere perciò la scelta dell’Italia di non partecipare, neanche come Paese Osservatore, al contrario di Germania e Olanda, alla Conferenza di Vienna dei Paesi che hanno ratificato il “Trattato per l’abolizione delle armi nucleari”
L’Italia non può disertare la conferenza di Vienna
 

Un forte appello a Governo e Parlamento dai Presidenti e dai Responsabili nazionali di Acli, Azione Cattolica italiana, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari Italia, Pax Christi, Fraternità di Comunione e Liberazione, Comunità di Sant’Egidio, Sermig, Gruppo Abele, Libera, Agesci, Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale), Argomenti 2000, Rondine-Cittadella della Pace, Mcl (Movimento Cristiano Lavoratori), Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli, Città dell’Uomo, Amici di Raoul Follerau, Associazione Teologica Italiana, Coordinamento delle Teologhe Italiane, Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario),Centro Internazionale Hélder Câmara, Centro Italiano Femminile, Csi (Centro Sportivo Italiano), La Rosa Bianca, Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani), Fondazione Giorgio La Pira, Fondazione Ernesto Balducci, Fondazione Don Primo Mazzolari, Fondazione Don Lorenzo Milani, Comitato per una Civiltà dell’Amore, Movimento Cattolico Mondiale per il Clima, Federazione Stampa Missionaria Italiana, Rete Viandanti, Noi Siamo Chiesa, Beati i Costruttori di Pace, Fraternità francescana frate Jacopa, Comunità Cristiane di Base, Associazione delle Famiglie Italiane, SAE (Segretariato Attività Ecumeniche), Confcooperative, C3dem, MEC (Movimento Ecclesiale Carmelitano) AIDU (Associazione Italiana Docenti Universitari cattolici), Arca di Lanza Del Vasto, Fondazione Magis.

L’Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari

Il 22 gennaio 2021, al termine dei 90 giorni previsti dopo la 50esima ratifica, il “Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari” è diventato giuridicamente vincolante per tutti i Paesi che l’hanno firmato.

Questo Trattato, che era stato votato dall’Onu nel luglio 2017 da 122 Paesi, rende ora illegale, negli Stati che l’hanno sottoscritto, l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari.

Il nostro Paese non ha né firmato il Trattato in occasione della sua adozione da parte delle Nazioni Unite, né l’ha successivamente ratificato. Tra i primi firmatari di questo Trattato vi è invece la Santa Sede.

In Italia, nelle basi di Aviano (Pordenone) e di Ghedi (Brescia), sono presenti una quarantina di ordigni nucleari (B61). E nella base di Ghedi si stanno ampliando le strutture per poter ospitare i nuovi cacciabombardieri F35, ognuno dal costo di almeno 155 milioni di euro, in grado di trasportare nuovi ordigni atomici ancora più potenti (B61-12).

Il nostro Paese si è impegnato ad acquistare 90 cacciabombardieri F35 per una spesa complessiva di oltre 14 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i costi di manutenzione e quelli relativi alla loro operatività.

Le armi nucleari sono armi di distruzione di massa, dunque, in quanto tali, eticamente inaccettabili, come ci ha ricordato anche papa Francesco in occasione della sua visita in Giappone domenica 24 novembre 2019, a Hiroshima: «Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia
atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta
se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra».

Il 22 gennaio 2021 autorevoli esponenti della Chiesa cattolica di tutto il mondo, tra i quali il cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia, hanno sottoscritto a loro volta un appello in cui «esortano i Governi a firmare e ratificare il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari», sostenendo in questo «la leadership che papa Francesco sta esercitando a favore del disarmo nucleare». Altri vescovi italiani si sono espressi pubblicamente in questa direzione e anche numerose sedi locali delle nostre
associazioni e dei nostri movimenti hanno fatto altrettanto.

A tutti questi appelli, unendoci convintamente alla Campagna nazionale “Italia ripensaci”, che ha registrato una vasta e forte mobilitazione su questo argomento, aggiungiamo ora il nostro e chiediamo a voce alta al Governo e al Parlamento che il nostro Paese ratifichi il Trattato Onu di Proibizione delle Armi Nucleari. La pace non può essere raggiunta attraverso la minaccia dell’annientamento totale, bensì attraverso il dialogo e la cooperazione internazionale.

Papa Francesco, messaggio Urbi et Orbi, 4 aprile 2021, giorno di Pasqua
«La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo – ed è scandaloso – non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi»

Emiliano Manfredonia
Presidente nazionale delle Acli
Matteo Truffelli
Presidente nazionale di Azione Cattolica fino al 26 maggio 2021
Giuseppe Notarstefano
Presidente nazionale di Azione Cattolica dal 27 maggio 2021
Giovanni Paolo Ramonda
Responsabile nazionale dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII
Rosalba Poli e Andrea Goller
Responsabili nazionali del Movimento dei Focolari Italia
Don Renato Sacco
Coordinatore nazionale di Pax Christi
Don Julián Carrón
Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione
Adriano Roccucci
Responsabile nazionale per l’Italia della Comunità di Sant’Egidio
Don Luigi Ciotti
Presidente del Gruppo Abele e di Libera
Ernesto Preziosi,
Presidente di Argomenti 2000
Ernesto Olivero
Fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani)
Beppe Elia
Presidente nazionale del MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale)
Martina Occhipinti e Lorenzo Cattaneo
Presidenti nazionali della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana)
Barbara Battilana, Vincenzo Piccolo
Presidenti del Comitato Nazionale dell’Agesci
Franco Vaccari
Presidente di Rondine, Cittadella della Pace
Antonio Di Matteo
Presidente nazionale MCL (Movimento Cristiano Lavoratori)
Antonio Gianfico
Presidente della Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli
Luciano Caimi,
Presidente di Città dell’Uomo – associazione fondata da Giuseppe Lazzati
Ivana Borsotto
Presidente della Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale
Volontario)
Antonio Lissoni
Presidente nazionale dell’Associazione Italiana Amici di Raoul Follerau
Luciano Corradini
Presidente emerito dell’UCIIM (Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi)
Don Riccardo Battocchio
Presidente nazionale dell’ATI (Associazione Teologica Italiana)
Cristina Simonelli
Presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane fino al 4 giugno 2021
Lucia Vantini
Presidente del Coordinamento delle Teologhe Italiane dal 5 giugno 2021
Renata Natili Micheli
Presidente nazionale del CIF (Centro Italiano Femminile)
Vittorio Bosio
Presidente nazionale del CSI (Centro Sportivo Italiano)
Massimiliano Costa
Presidente nazionale del MASCI (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani)
Mario Primicerio
Presidente della Fondazione Giorgio La Pira (Firenze)
Andrea Cecconi
Presidente della Fondazione Ernesto Balducci (Fiesole)
Paola Bignardi
Presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari (Bozzolo)
Agostino Burberi
Presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani (Barbiana)
Rosanna Tommasi
Presidente del Centro Internazionale Hélder Câmara di Milano
Fabio Caneri
Presidente dell’associazione La Rosa Bianca
Giuseppe Rotunno
Presidente del Comitato per una Civiltà dell’Amore
Antonio Caschetto
Coordinatore dei programmi italiani del Movimento Cattolico Mondiale per il Clima
Suor Paola Moggi
Per la segreteria della FESMI (Federazione Stampa Missionaria Italiana)
Franco Ferrari
Presidente dell’associazione Viandanti e della Rete dei Viandanti (costituita da 19
gruppi e 12 riviste di varie città)
Vittorio Bellavite
Coordinatore nazionale di Noi Siamo Chiesa
Lisa Clark
Per l’associazione Beati i costruttori di pace
Argia Passoni
Responsabile nazionale della Fraternità Francescana frate Jacopa
Paolo Sales
Per la Segreteria nazionale delle Comunità Cristiane di Base Italiane
Diego Bellardone
Presidente AFI (Associazione delle Famiglie – Confederazione Italiana)
Piero Stefani
Presidente del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche)
Maurizio Gardini
Presidente nazionale di Confcooperative (Confederazione Cooperative Italiane)
Paolo Tomassone
Coordinatore della rete C3dem (Costituzione, Concilio, Cittadinanza,) composta da
26 associazioni di varie parti d’Italia
Gabriele Tomasoni
Presidente nazionale del MEC (Movimento Ecclesiale Carmelitano)
Alfonso Barbarisi
Presidente AIDU – Associazione Italiana Docenti Universitari cattolici
Enzo Sanfilippo e Maria Albanese
Responsabili italiani della comunità dell’Arca di Lanza Del Vasto
Ambrogio Bongiovanni
Presidente della Fondazione Magis
Altre adesioni
Fra Fabio Scarsato
Direttore editoriale Messaggero di Sant’Antonio
Aurora Nicosia
Direttrice della rivista “Città Nuova”
Padre Enzo Fortunato
Direttore della rivista “San Francesco Patrono d’Italia” (Assisi)
Alessio Zamboni
Per la Direzione e la Redazione della rivista “Sempre”
Pasquale Colella
Direttore della rivista “Il Tetto” (Napoli)
Diego Piovani
Direttore della rivista “Missionari Saveriani”
Alessandro Cortesi
Direttore Centro Espaces “Giorgio La Pira” (Pistoia)
Pierangelo Monti
Coordinatore del gruppo Amici di Gino Pistoni (Ivrea)
Martino Troncatti
Presidente di Acli Lombardia
Ettore Cannavera
Presidente di “Cooperazione e Confronto” e responsabile della comunità “La
Collina” di Serdiana (Cagliari)
Maria Gabriella Esposito
Presidente Uciim (Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi) della diocesi di
Teramo-Atri
Gennaro Scialò
Presidente del Centro Giorgio La Pira di Pomigliano d’Arco
Roberto Marcelli
Presidente di Raphaël, cooperativa sociale onlus di Clusane d’Iseo (BS)
Carla Biavati
Presidente dell’Associazione per la nonviolenza attiva
Maurizio Certini
Responsabile del Centro internazionale studenti “G. La Pira” di Firenze
Giorgio Grillini
Presidente della cooperativa sociale “frate Jacopa”
Davide Bertok
Responsabile dell’associazione Mondo senza guerre e senza violenza (Trieste)
Maria Pierina Peano
Responsabile dell’associazione Comunità di Mambre (Busca, Cuneo)
Mario Metti
Presidente dell’associazione Mamre di Borgomanero (Novara)
Irene Larcan
Presidente della Fraternità di laici domenicani “Annunciazione del Signore” di
Agognate (Novara)
Maria Laura Tortorella
Presidente di “Patto Civico” di Reggio Calabria
Giuseppe Licordari
Referente di “Reggio Non Tace” e della Comunità di Vita Cristiana di Reggio
Calabria
Andrea Zucchini
Presidente dell’associazione Igino Giordani di Montecatini Terme
Antonella Lombardo
Presidente di “Dancelab Armonia” di Montecatini Terme, attiva nello sviluppo della
collaborazione interculturale
Paolo Magnolfi
Presidente di Nuova Camaldoli APS
Fratel Antonio Soffientini
Responsabile della Comunità Comboniana di Venegono Superiore (Varese)
Luciano Ferluga
Presidente Comitato Pace, Convivenza e Solidarietà “Danilo Dolci” di Trieste Antonio
Francesco Beltrami
Presidente Associazione Famiglie Nuove della Lombardia APS

Questa iniziativa è stata avviata il 25 aprile 2021, con lo slogan “Per una Repubblica libera dalle armi nucleari”

 

Esclusivo TPI: Verdi e Sinistra Italiana pronti a fondersi in un nuovo  partito
Evi, Bonelli e Fratoianni: registriamo una grande affermazione delle liste dei Verdi e della Sinistra su tutto il territorio nazionale.


“Queste elezioni amministrative hanno fatto registrare una grande affermazione delle liste dei Verdi e della Sinistra, dicendo chiaramente che c’è uno spazio politico enorme per un’area verde, di sinistra e civica che riteniamo possa ampiamente raggiungere il 10%. Come Europa Verde e Sinistra Italiana, vogliamo lavorare per dare una speranza al Paese e a chi, da questa area politica, si sente rappresentato, chiedendo con forza giustizia climatica e sociale, in risposta all’area sovranista e conservatrice del Paese, intenzionata ad annientare le conquiste in tema di diritti sociali e ambientali e a fermare la transizione ecologica, elemento di grande innovazione per l’Italia”.

Così, in una nota, i co-portavoce nazionali di Europa Verde, Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, e il Segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni.

“Ora, nelle prossime due settimane, ogni sforzo deve essere compiuto - proseguono Europa Verde e SinistraItaliana - affinché ai ballottaggi vengano fermati i candidati della destra, e si affermino i sindaci dell’area progressista.
Da Verona a Sesto San Giovanni a Catanzaro e in molti altri comuni, può essere scritta una pagina nuova nel futuro di quelle città “

“Seppure nelle diversità storiche e sociali che contraddistinguono l’Italia e la Francia, l’importante risultato della NUPES alle legislative francesi incoraggia la nostra azione comune e ravviva la fiducia di chi, con coraggio, persegue anche in Italia l’obiettivo di una forte rappresentanza verde, di sinistra e civica,” concludono Bonelli, Evi e Fratoianni.

Lo rende noto l’ufficio stampa di SI
ROMA, 14 giugno 2022 ore 15

Vi invitiamo a visionare questo nostro progetto
CREATTIVAMENTE
realizzare un laboratorio creativo
dove accogliere le ragazze/i con disturbi del comportamento alimentare e della nutrizione, per coinvolgerli con lavori manuali.

Siamo genitori impegnati direttamente nell’aiuto alle famiglie che si trovano nella situazione da noi già vissuta. Proprio per questo abbiamo sperimentato che coinvolgere nelle attività creative aiuta la mente.

Per realizzare il progetto la nostra l’Associazione ha pensato ad una raccolta fondi……
….da oggi siamo pronti… Aprite il link visionate il ns. progetto se ritenete di volerci sostenere DONATE adesso ed aiutateci condividendolo con
AMICI – COLLEGHI – FAMILIARI
ENTRATE ANCHE VOI A FAR PARTE DELLA NOSTRA SQUADRA
https://www.ideaginger.it/progetti/creaattivamente.html

L'aumento del prezzo dei cereali è in minima parte dovuto alla guerra e al blocco in Ucraina. A causarlo sono le scommesse gestite dalla finanza e i rincari dell'energia. La penuria riguarda Africa, medio e lontano Oriente, non Italia e Ue. Ma lo spettro di una crisi alimentare (che non c'è) rischia di aprire la strada in Europa all'agricoltura intensiva e agli Ogm

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Navi cariche di grano bloccate nel porto di Odessa. Silos traboccanti di frumento che aspetta di essere distribuito. Ipotetici corridoi per fare transitare carichi di cereali verso i Paesi del Nord Africa. Le cronache dal fronte ucraino si sono arricchite in queste settimane di informazioni e dettagli su un’altra guerra, quella del grano, che minaccerebbe la sicurezza alimentare di mezzo pianeta, terrebbe in scacco la produzione italiana di pane e pasta, e starebbe causando gli aumenti vertiginosi dei prezzi di materie prime e prodotti trasformati. Ma le cose non stanno esattamente in questi termini.

Il granaio d’Europa
Partiamo dalla prima tesi che si dà per scontata: l’Ucraina è il granaio d’Europa. Non è così. Era vero agli inizi dell’Ottocento, ma non oggi. E non lo sono neppure la Russia e tutti i paesi riconducibili all’orbita ex sovietica: non sono l’ombelico del mondo da un punto di vista del commercio alimentare mondiale. I dati possono aiutarci a capire. Russia e Ucraina producono il 14 per cento del grano tenero mondiale (10+4) e il 4 per cento del mais (1+3), e poco grano duro. Per l’Italia rappresentano un mercato tutto sommato marginale: da loro importiamo il 3,2 per cento del grano tenero e il 2,5 del grano duro. Eppure, il prezzo del primo è cresciuto del 70 per cento rispetto al 2021 e quello del secondo dell’85 per cento, con effetti che si fanno sentire sul prezzo di pane e pasta. Quindi questi aumenti dipendono solo in minima parte dal conflitto.

La speculazione finanziaria
“In Italia e in Europa non c’è un problema di quantità – sostiene Alessandro Volpi, docente di storia contemporanea al dipartimento di scienze politiche dell’università di Pisa -. La produzione mondiale di cereali è di 2.800 milioni di tonnellate e i grandi esportatori, Russia, Canada, Stati Uniti, in parte Australia, la stessa Unione Europea, sono nelle condizioni di supplire con notevole facilità alla carenza causata dal blocco della materia prima in Ucraina. Stiamo parlando di 20-30 milioni di tonnellate ferme nei porti. Quello che ha fatto schizzare alle stelle i prezzi, come ha rilevato anche la Fao, non può essere quel pezzetto di produzione ucraina”.

Allora qual è il problema? “Sostanzialmente dipende dalla speculazione finanziaria che è iniziata ben prima della guerra – prosegue il professor Volpi -. Il mercato dei cereali, come quello dell’energia, vive di un’aspettativa dell’andamento, con vere e proprie scommesse che determinano il prezzo. Se c’è un conflitto, se ogni giorno si ricorda che il grano ucraino è bloccato, se si annunciano ulteriori restrizioni alla produzione, le scommesse saranno al rialzo, sul fatto che i prezzi tenderanno ad aumentare”.

Le scommesse sul grano
È ciò che sta accadendo in questa fase. I fortissimi rincari, 410-420 dollari a tonnellata è la quotazione attuale, non sono proporzionali alla penuria di materia prima. Sono solo frutto di un’aspettativa futura. “Questi contratti sono i cosiddetti ‘derivati’: lo scommettitore li compra oggi a 30 e li rivende domani a 40. Si tratta di un’enorme quantità di contratti venduti da soggetti che non hanno niente a che fare con il grano, banche di investimento, fondi hedge. Non è il grande panificatore europeo o americano, sono soggetti fuori dai circuiti della produzione che usano i titoli derivati per fare speculazione finanziaria, a ogni step sempre più raffinata. Una pratica che fino agli anni Novanta non era consentita su questi beni perché l’Organizzazione mondiale del commercio non lo ammetteva. Poi le normative hanno liberalizzato il settore, consentendo l’utilizzo di strumenti finanziari anche per beni come il grano che alimentano l’intera popolazione mondiale”.

Che cosa rischia di affamare il mondo
Non è la quantità di produzione che rischia di affamare il mondo, dunque, ma il livello dei prezzi. E poi altri fattori: l’improvvisa decisione dell’India di fermare le esportazioni di grano, che ha portato altri Paesi a tenersi ben stretto quello che hanno in casa o a procedere con accaparramenti, come sta facendo la Cina, mosse che hanno fatto salire ulteriormente le quotazioni. “Si tratta di meccanismi speculativi che non c’entrano niente con l’alimentazione, si fanno profitti sulla pelle delle persone – dichiara Giovanni Mininni, segretario generale Flai Cgil, la categoria del sindacato che rappresenta i lavoratori dell’agro-industria -. Gli organismi internazionali dovrebbero intervenire su questi fenomeni, per garantire il cibo a tutti e impedire che la finanza possa avvantaggiarsi con un simile bene primario”.

Economie fragili
Secondo l’agenzia dell’Onu World Food Programme, in Africa Orientale, dove grano e prodotti a base di grano rappresentano un terzo del consumo medio di cereali, il 90 per cento delle importazioni proviene da Mosca e Kiev. Per la Fao, Kazakhstan, Mongolia, Armenia, Azerbaijan e Georgia dipendono quasi al 100 per cento dal grano russo, mentre hanno una dipendenza tra il 50 e il 100 per cento Bielorussia, Turchia, Finlandia, Libano, Pakistan e molti Paesi africani. L’Egitto comprava dall’Ucraina il 22 per cento del proprio fabbisogno, la Tunisia il 49, la Libia il 48, la Somalia il 60, il Senegal il 20. Poi ci sono i Paesi del medio e lontano Oriente: Turchia, Bangladesh, Indonesia, Cina, Corea del Sud, Vietnam.

Mosca si finanzia la guerra
“La Russia sta continuando a esportare, anzi ha aumentato le esportazioni, come per il gas, e lo fa a prezzi più alti: in questo modo si finanzia il conflitto” precisa Volpi. Un incremento del 60 per cento per la precisione, da marzo scorso, cioè da quando è iniziata la guerra, di cereali diretti in Turchia, Egitto, Libia, Nigeria. “I Paesi del Sud del mondo – aggiunge Mininni -, che hanno economie fragili incapaci di sostenere le turbolenze dei mercati e delle crisi, non sono produttori, non riescono a incrementare l’autoproduzione e neppure ad accaparrarsi la materia prima sui mercati, cioè di comprarla e stoccarla. Il conflitto per loro è stata solo un’aggiunta a problemi strutturali che si erano già manifestati, primo fra tutti l’aumento del costo dell’energia e dei trasporti che si era affacciato a settembre dello scorso anno, anche questo dovuto a speculazioni, E poi la crisi climatica che ha provocato la siccità in Canada, dove è andato distrutto l'80 per cento della produzione. Insomma, quello che gli economisti hanno definito una tempesta perfetta”.

In quelle aree del mondo nelle prossime settimane e mesi potrebbero tornare le rivolte del pane a cui abbiamo assistito nel 2008, vedremo ondate di persone che lasceranno le loro terre, una nuova migrazione dovuta alla fame, indotta dalla speculazione internazionale e dalla crisi climatica”. Secondo i calcoli della Fao le persone nel mondo che rischiano di soffrire la fame saliranno a 440 milioni. Una crisi che viene da lontano e solo in minima parte è dovuta alla guerra ma che non riguarda l’Italia e neppure l’Europa.

Attacco alle politiche agroecologiche
Sebbene l’aumento dei prezzi si senta anche da noi, complici i rincari dell’energia e dei carburanti e l’infiammata dell’inflazione, è bastato parlare di penuria alimentare per riportare in vita la discussione sulla possibilità per i Paesi europei di importare grano Ogm che attualmente è vietato dalle normative dell’Unione e che è prodotto da soli quattro gruppi monopolisti. Una strada finora chiusa che potrebbe portare alla revisione del Green New Deal europeo. 

 “Purtroppo le guerre sono sempre l’occasione per fare in modo che succeda di tutto – dice Fabio Ciconte, direttore dell’associazione Terra! e autore del volume “Chi possiede i frutti della terra” -. Non c’è un problema di crisi alimentare in Europa, che è sostanzialmente autosufficiente, eccezion fatta per l’olio di girasole, che importiamo e che è usato come sostituto dell’olio di palma. C’è un problema di inflazione e di aumento dei costi. Eppure è in corso un attacco senza precedenti alle politiche ambientali per l’agricoltura, teso a indebolire la transizione verso l’agroecologia decisa dall’Europa, con la scusa che i vincoli ecologici frenano l’aumento della produzione interna. Dopo la Seconda guerra mondiale gli aiuti allo sviluppo hanno portato in giro per il mondo semi ibridi e chimica, una declamata rivoluzione verde che ha ridotto la capacità dei Paesi del Sud del mondo depositari della biodiversità di essere autonomi in termini di produzione. Questa guerra cosa porterà, i nuovi Ogm?”.

Green New Deal addio?
Questa guerra e la fantomatica crisi del grano stanno quindi mettendo in pericolo le strategie Farm to Fork e Biodiversità approvate dal Parlamento europeo, paletti entro cui costruire i sistemi agricoli del futuro. “Quello degli Ogm è un tema complesso e pone questioni legate alla qualità e alla sicurezza alimentare – conclude Mininni -. I disciplinari dei prodotti con marchi di tutela, Dop e Igp, sono giustamente molto rigidi e non prevedono l’impiego di semi geneticamente modificati. Un formaggio Dop non può essere fatto con latte di un animale alimentato con mangimi Ogm. Inoltre, la stragrande maggioranza dei cereali di Canada e Usa sono prodotti usando il glifosato, diserbante sulla cui messa al bando pende una decisione europea e che in Italia è oggetto di una campagna per dimostrarne la tossicità e la pericolosità, che ci vede partecipare”.

Non basta. La messa a coltura dei terreni a riposo pone questioni ambientali. La filiera agroalimentare è responsabile per il 37 per cento delle emissioni gas climalteranti: mettere in produzione un terreno a riposo o incolto significa fare un uso maggiore di fertilizzanti, di diserbanti, di acqua. E con il clima che cambia e la siccità che stiamo vivendo già sarà un problema irrigare i campi questa estate. Con buona pace del Green New Deal e della direttiva Farm to Fork.