Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

Per il nuovo rigassificatore al largo di Ravenna,  Draghi nomina Bonaccini commissario straordinario. Intanto in Emilia a tutto gas “solo” fino al 2040

Massimo Manzoli - Consigliere di Utopia - Home | Facebook

E così, abbiamo saputo poche ore fa che il Presidente della nostra Regione sarà Commissario Straordinario per l’installazione del rigassificatore in prossimità della costa ravennate.

La notizia non ci giunge certo inaspettata, ma non è per questo meno sconfortante.

A parte il fatto che ci sembra strano che venga conferito l’incarico di Commissario Straordinario per una grande opera pubblica proprio al principale esponente della parte richiedente (ricordiamo che il Presidente in persona aveva a gran voce richiesto al Governo che Ravenna fosse il punto di forza del mondo del gas in Italia), abbiamo forti dubbi che si possa trattare con un criterio emergenziale una scelta riguardante i prossimi decenni, come se fossimo in presenza di una calamità naturale, di un terremoto o di un’ epidemia inaspettata, insomma eventi sui  quali ci siano da prendere decisioni addirittura nel giro di poche ore. Senza una discussione politica a tutto campo, che coinvolga anche la società civile e informi correttamente la cittadinanza nel suo complesso, abbiamo buone ragioni per temere che  la scelta del Commissario Straordinario sia un modo per evitare, saltare o minimizzare gli iter valutativi che invece dovrebbero essere scrupolosi e sarebbero quindi quanto mai opportuni.

Che l’installazione del rigassificatore, insieme a  tutte le altre tessere del mosaico fossile (l’aumento della durata e del numero delle strutture di trivellazione, il  sempre riproposto piano per la realizzazione dell’impianto  CCS, il già esistente e funzionante deposito di GNL, i prossimi investimenti per la costruzione del braccio nord del gasdotto della cosiddetta Linea Adriatica), sia una misura per far fronte all’emergenza, è un vero e proprio imbroglio che si cerca di far digerire ai cittadini addirittura affermando che queste scelte faranno calare il prezzo delle bollette e porteranno verso l’autosufficienza energetica. Innanzi tutto, è noto a tutto il mondo scientifico e industriale che le navi adatte ad essere utilizzate come rigassificatori sono poche al mondo, nessuna è bell’ e pronta per Ravenna nel giro di poco tempo, e non devono certo essere considerate strutture “leggere” che si possano far arrivare, spostare o dismettere in quattro e quattr’otto quando si voglia. Una volta installata, sarebbe un delirio di antieconomia prevederne il funzionamento solo  per un breve periodo. La nave rigassificatrice ha poi bisogno della costruzione di un vero e proprio gasdotto per portare a terra il gas liquido una volta ritrasformato, e ciò richiede interventi pesanti per il territorio, il suo ambiente e le casse pubbliche. E quando si parla di “autosufficienza”, ricordiamo che tali strutture riceveranno e lavoreranno, comunque e sempre, il metano proveniente da paesi lontani (Stati Uniti ? Emirati Arabi ? Nordafrica ?), quindi con l’autosufficienza hanno ben poco a che fare.

Anche perché, il gas che nel frattempo si vorrà estrarre dal “nostro” giacimento adriatico e nazionale, avrà vita breve, se è vero che la sua consistenza dimostrata ammonta in totale a quanto il nostro Paese consuma in un paio d’anni. Va poi sottolineato che il rigassificatore, se funzionerà, dovrà ricevere un gran numero di navi gasiere trasportatrici di metano liquido, il cui traffico quindi sarà destinato ad aumentare considerevolmente, parallelamente con i rischi connessi a tale trasporto. Gli impianti di questo tipo, per altro non sono scevri essi stessi da rischi di esplosione, si impattano con l’ecosistema marino dovendo fra l’altro  riscaldare, per riportarlo allo stato gassoso,  il gas liquido che viaggia a oltre 160 gradi sottozero. E poiché bisogna avere uno sguardo planetario, perché planetaria è la crisi climatica e ambientale  che stiamo vivendo, non si può ignorare che il gas liquido che accoglieremo, sarà stato estratto in gran parte  con le tecniche di fracking, pesantissime per l’ambiente, per l’esasperato consumo di acqua, per la devastazione che lasciano nei territori. E non possiamo non ricordare che nessuna struttura metanifera al mondo è riuscita ad azzerare le perdite di metano libero in atmosfera, con il suo effetto molto più climalterante di quello della stessa anidride carbonica.

Pertanto, quando il Presidente Bonaccini definisce questo insieme di misure, in favore di un futuro legato a doppio filo al metano, come provvedimenti che vanno nel senso dell’autosufficienza energetica e della transizione ecologica, o non sa di che cosa sta parlando (il che sarebbe molto grave), o lo sa benissimo ma è in perfetta malafede (il che sarebbe ancora più grave), e se aggiunge che esse servono “a dare risposte rapide al caro bollette, che così duramente sta pesando su famiglie e imprese” non sa (ma forse si!) che i prezzi verranno comunque decisi dall’andamento del mercato, in buona parte  condizionato da manovre speculative, che  poco hanno a che vedere con la “prossimità” dei luoghi di estrazione e stoccaggio. “E’ importante – dice il Presidente della Regione - che a poche settimane dall’incontro che abbiamo avuto a Bologna, nella sede della Regione, con il ministro Cingolani, sia stata accolta la disponibilità dell’Emilia-Romagna a diventare hub nazionale per il gas, grazie al porto di Ravenna”. E aggiunge: “al servizio del territorio regionale e dell’intero Paese”.

Noi diremmo piuttosto al servizio di ENI e dei suoi profitti.

Ma un guaio ancora più grosso, dal nostro punto di vista di ravennati, è che il mondo politico del nostro Comune è schierato con pochi distinguo a favore di questa operazione sbagliata, anacronistica, pericolosa e massimamente antiecologica. Diversamente da quanto sta succedendo, per esempio a Brindisi e a Piombino, altre sedi potenziali dei rigassificatori, dove Sindaci e Consigli Comunali hanno espresso pareri sfavorevoli alla realizzazione di questi impianti. A Brindisi, proprio in questi giorni, il Sindaco ha anche convocato la società civile e il mondo associativo, incluso il radicato movimento di contrasto alle fonti fossili, per consultare la popolazione e costruire l’ opposizione ai disegni del Governo e di ENI.

E’ lo stesso Bonaccini a dirci che  “con il sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, avevamo messo a disposizione del Governo un grande distretto dell’energia, ricco di conoscenze, professionalità, imprese”. E aggiunge, per indorare la pillola del futuro definitivamente “metano-centrico”, che comunque ci sarà anche  il parco eolico –fotovoltaico del “progetto Agnes”, sul quale, ci sarebbe anche il parere positivo del ministro Cingolani.

Peccato che per tale progetto non vi siano le stesse corsie preferenziali che vengono dedicate al fossile. Così come, naturalmente, sui progetti di risparmio, le comunità energetiche e il ripensamento, per esempio, del modello dei trasporti, non si nominano certo commissari straordinari.

Contestualmente a queste notizie su Ravenna, apprendiamo che in Emilia, per l’esattezza a Mezzolara di Budrio, sempre la Regione ha dato il via libera a un pozzo di estrazione dell’australiana Po Valley, con concessione “solo” fino al 2040 ! (duemilaquaranta, non è un refuso).

Quindi, programmano un futuro vicino e lontano a tutto gas, e lo chiamano transizione ecologica. Ci chiediamo se quelle realtà politiche che hanno fatto le proprie campagne elettorali prevalentemente sui temi ambientali, e che sia a Ravenna che in Regione appoggiano le maggioranze di governo, abbiano intenzione di farsi sentire con la dovuta … energia.

 

                                             Coordinamento ravennate “Per il Clima-Fuori dal Fossile”

 

Ravenna, 9 giugno 2022

Secondo la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi, devono essere corrette alcune lacune e storture delle norme attuali, ma la misura contro la povertà va difesa e rilanciata. Il dibattito finora è stato solo ideologico e strumentale, anche da parte degli imprenditori

"

Sostenere la tesi che la causa principale della disoccupazione e della mancanza di risposta alla domanda di lavoro degli imprenditori di alcuni settori sia il Reddito di cittadinanza suona come un’offesa all’intelligenza delle persone e in particolare una offesa a tutte quelle famiglie povere e poverissime che beneficiano oggi del sostegno”. Non usa mezzi termini la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi, commentando il dibattito che si è riaperto in questi giorni sul Reddito di cittadinanza. Per la dirigente nazionale della Cgil, “si tratta di una misura contro la povertà che non va affatto cancellata e caso mai va migliorata e rafforzata perché con le norme attuali sono penalizzate alcune figure sociali tra cui i migranti e le famiglie più numerose”.

Ripulire il dibattito
Si tratta anche di fare un po’ di pulizia tra i concetti che vengono utilizzati normalmente nello scontro tra detrattori e sostenitori. La prova dell’infondatezza delle posizioni più distruttive sul Reddito di cittadinanza la ritroviamo facilmente nelle cifre ufficiali sui beneficiari e sull’entità del sostegno economico. Dati che sono stati aggiornati di recente dall’Istat e dall’Anpal, l’agenzia nazionale per l’avviamento al lavoro (c’è tutto sui siti ufficiali). La prima leggenda metropolitana che va smontata riguarda la cosiddetta “sindrome da divano”. Chi attacca il Reddito di cittadinanza (quasi tutto lo schieramento di destra con Giorgia Meloni in testa, in compagnia di Matteo Renzi, che ha ventilato perfino l’ipotesi di un referendum per abolire la legge) descrive i beneficiari come nullafacenti opportunisti che per non perdere l’assegno continuano a dire no alle offerte di lavoro.

Un’immagine retorica e falsa che funziona magari nei talk show, ma che come ha spiegato la sociologa Chiara Saraceno su Repubblica, non ha alcun fondamento empirico. “In primo luogo – scrive Saraceno - va ricordato che solo la metà circa dei componenti delle famiglie beneficiarie del RdC è tenuta a firmare un patto per il lavoro. L'altra metà, composta da minorenni, o adulti non in condizione di essere avviati all'occupazione per malattia, disabilità o pesanti carichi familiari, è tenuta invece ad un patto per l'inclusione sociale”.

Le cifre
Tra chi è tenuto al patto per il lavoro, secondo Anpal circa 878 mila, cioè meno della metà (spesso con qualifiche molto basse), sono definibili come "vicini al mercato del lavoro". Di questi la stragrande maggioranza - 724.494 - ha avuto una qualche esperienza lavorativa in costanza di recezione del RdC. Di questi, 546.598 hanno trovato lavoro dopo aver ottenuto il Reddito, anche se non sempre come esito del patto sottoscritto e della presa in carico da parte di un centro per l'Impiego. Gli altri sono definiti come "molto lontani dal mercato del lavoro", quindi bisognosi di investimenti particolari sul piano sia formativo sia occupazionale.

Combattere le diseguaglianze
“Analizzando i dati senza pregiudizi ideologici – spiega Daniela Barbaresi – ci rendiamo conto del grave peggioramento della situazione sociale del nostro Paese dopo la crisi, la pandemia e una nuova crisi economica. Nelle cifre ufficiali scopriamo uno spaccato fatto di povertà e marginalità. E vediamo anche la grande difficoltà (spesso impossibilità) d'inserimento nel mercato del lavoro. Si tratta quindi di fare chiarezza: da una parte ci sono le politiche del lavoro che si devono basare sul rilancio degli investimenti e di buona e stabile occupazione, facendo dialogare la domanda con l’offerta. Ma dall’altra parte c’è la grande questione sociale della povertà che va affrontata con strumenti specifici come il Reddito di cittadinanza”.

Nelle cifre pubblicate dall’Anpal troviamo migliaia di persone definite “molto lontane dal mercato del lavoro", quindi bisognose d'investimenti particolari sul piano sia formativo sia occupazionale. “Tra questi – di ricorda sempre Chiara Saraceno – ci sono anche 136.131 giovani tra i 18 e i 29 anni che vivono non con i genitori, ma da soli o con altri giovani verosimilmente nelle stesse condizioni. Fanno parte della schiera di Neet, di giovani né in formazione né occupati, di cui l'Italia ha il poco apprezzabile primato in Europa, che spesso hanno lasciato precocemente la scuola. I dati indicano quindi che anche coloro che sono definiti come occupabili in larga misura non sono molto appetibili a chi cerca camerieri, baristi, commesse/i, ovvero persone con un minimo di competenza professionale o comunque con le competenze di base necessarie per acquisirle, per non parlare di figure specializzate come cuochi o operai, appunto, specializzati”. 

Se 450 euro vi sembran tanti
L’altro aspetto dell’approccio ideologico al problema riguarda l’entità del sostegno effettivamente erogato. “Stiamo parlando di assegni che variano da 450 euro al mese per nuclei familiari con una singola persona a 700 euro mensili per nuclei famigliari di quattro persone – precisa Barbaresi – se queste cifre sono considerate concorrenziali con il lavoro vuol dire che c’è chi pensa che sia giusto un salario mensile di quelle entità. Caso mai sarebbe necessario, come hanno suggerito anche gli esperti del Comitato scientifico, correggere quei meccanismi pensati per disincentivare l’idea che è meglio un reddito purché sia al lavoro. Ma allora il tema vero riguarda i bassi salari e le tante forme di sfruttamento che si sono consolidate negli anni”. 

Una guerra contro i poveri
Quella che si vuole innescare, insomma, più che una guerra tra poveri sembra davvero una guerra contro i poveri. Lo ha detto con parole chiare il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, in occasione dell’assemblea di Bankitalia. “Se gli italiani non accettano certi lavori è perché sono pagati poco, non per colpa del Reddito di cittadinanza. Bonomi ha la fortuna di non aver bisogno del Reddito di cittadinanza, perché se si mettesse nei panni di quelli che senza quel reddito non saprebbero dove sbattere la testa perché sono poveri e senza lavoro forse ragionerebbe in modo diverso”. “Il secondo tema – dice sempre Landini - non è che perché c’è il reddito di cittadinanza non trovano da lavorare, è perché li pagano poco e li sfruttano troppo. Se vogliono affrontare il tema bisogna aumentare i salari e ridurre la precarietà”.

Così il segretario generale della Cgil in una recente intervista, ospite della trasmissione RadioAnch'io

 

Il mondo gira alla rovescia, se in Italia, come certifica l'Ocse, dal 1990 al 2020, i salari sono diminuiti e la precarietà è aumentata. Lo spiega perfettamente il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, in questa intervista a RadioAnch'io, andata in onda nella mattina del primo giugno, mentre su tutti i mezzi di informazione infuria la polemica di Confindustria sulla difficoltà di trovare manodopera. Colpa del reddito di cittadinanza, dicono da Viale dell'Astronomia. 

La realtà è un'altra cosa. È quella di un Paese in cui si investe sempre meno in innovazione e ricerca, in cui la qualità del lavoro ha perso terreno. "Perché nel nostro Paese per anni abbiamo pensato che lo sviluppo si potesse raggiungere a prescindere dalla qualità del lavoro e dalla qualità dei salari - dice Landini -. Un problema legato anche alle politiche fiscali. È mai possibile che le rendite e gli utili di impresa siano tassati meno dei salari da lavoro dipendente?".  

https://www.collettiva.it/copertine/lavoro/2022/06/03/podcast/landini_alzare_i_salari_eliminare_la_precarieta_-2152910/

 

Parte la campagna informativa della Filcams rivolta ai lavoratori e lavoratrici del turismo in vista dell'estate. Non è vero che manca personale. L'impiego è irregolare e precario, senza diritti e tutele, sempre a rischio licenziamento: "Cambiare subito modello, per un settore sostenibile e responsabile"

 

Bagnini © Simona Caleo

 

Non si fermano sui media le dichiarazioni di imprenditori e datori di lavoro che lamentano la mancanza di personale per la stagione ormai alle porte. Si tratta di una falsa narrazione che vuole nascondere, dietro il reddito di cittadinanza, condizioni di lavoro sfavorevoli e non più sopportabili da giovani e meno giovani.

“I lavoratori della filiera del turismo, della ristorazione e della cultura sono stati tra i più colpiti dalla situazione di crisi”. Lo afferma Fabrizio Russo, segretario nazionale della Filcams Cgil. Tra il 2020 e il 2021, rispetto al 2019, nel turismo - come saldo tra cessazioni e nuove attivazioni – si sono "persi" centinaia di migliaia di posti di lavoro, soprattutto tra lavoratrici e lavoratori già in condizioni di precarietà nel pre-pandemia.  

Un settore in cui il 70% di lavoro è irregolare, il 40% precario e il 60% a tempo parziale, con retribuzioni notevolmente più basse rispetto a qualsiasi altro settore economico e produttivo del nostro paese e l’80% dei lavoratori sotto inquadrato o inquadrato ai livelli inferiori della contrattazione nazionale.

Con la fine, al 31 dicembre 2021, del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione con causale Covid la situazione è ulteriormente peggiorata. Molte le aziende, che pur avendo potuto contare su sostegni e ristori a compensare il fatturato non realizzato nel 2020-2021, hanno avviato una campagna di licenziamenti indiscriminati di massa.

La situazione, al di là della temporanea ripresa estiva, resta preoccupante in alcune delle città d’arte, per il turismo d’affari e per le agenzie di viaggi e i tour operator. Nel 2021 è cambiato il vento in termini di quantità, ma non di qualità e di stabilità. È necessario quindi avviare un profondo cambiamento, questo è il senso della campagna di comunicazione della Filcams per la stagione estiva 2022.

“Mettiamo il turismo sottosopra”: questo lo slogan della comunicazione estiva rivolta in primo luogo alle lavoratrici e ai lavoratori del turismo. “Significa porre al centro il lavoro per migliorare la situazione di milioni di addetti del settore - spiega ancora Russo -, garantendo loro diritti e tutele, per approdare a una nuova normalità, a un lavoro nuovo e a un nuovo modello di filiera più sostenibile e responsabile con l’obiettivo di determinare, anche attraverso il rinnovo dei contratti nazionali, le condizioni per un'occupazione stabile, regolare e dignitosa”.

Stare dalla parte giusta del turismo per difendere il lavoro e migliorarne le condizioni anche contrastando le tesi fasulle di chi sostiene che i lavoratori del turismo siano pigri, indolenti o indisponibili. Informarsi è indispensabile per tutelare i propri diritti e per farsi rispettare.

Con immenso dolore annunciamo la scomparsa del nostro presidente emerito Carlo Smuraglia. Il suo nome resterà nella storia di questo Paese per l'appassionata partecipazione alla Resistenza, lo strenuo impegno per la piena attuazione della Costituzione, dei diritti, della democrazia.
Tutta l'ANPI, nel ricordare l'umanità, la sapienza e la forza con cui Carlo ha presieduto l'Associazione, si stringe al dolore della moglie Enrica, dei figli e dei nipoti

LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI

https://www.facebook.com/51135152902/posts/10159022918872903/