La mutazione climatica non si arresta e le gelate mettono in ginocchio l’agricoltura
Ieri, martedì 24 marzo 2020, è stata registrata la temperatura minima più bassa dai primi di dicembre (-11°C nell’appennino modenese) con punte di -5 °C in pianura
In pianura bolognese le basse temperature di questi giorni, con punte di – 5°, si abbattono su uno stadio fenologico delle piante estremamente anomalo per questo periodo alle nostre latitudini. Condizione che rischia di portare ulteriore aggravio alla situazione economica e sociale che stiamo già vivendo.
A primavera ormai iniziata, la gelata di questi giorni fa registrare la temperatura minima più bassa in Emilia Romagna dall’inizio dell’inverno (-11° C il 24 marzo nella stazione di Lago Scaffaiolo, nel modenese). Si conferma così una crisi climatica in atto anche nella nostra regione.
Dopo un inverno praticamente assente (con temperature molto al di sopra della media, senza neve e con pochissime precipitazioni in pianura), le piante sono ad uno stadio molto avanzato di fioritura. Come gli albicocchi, già in piena fioritura nelle nostre campagne almeno dalla fine di febbraio (con più di una settimana di anticipo).
Questa situazione di sfasamento del ciclo vegetativo è la vera particolarità climatica di questi giorni, ancora prima della gelata, fenomeno non del tutto insolito nel mese di marzo, ma che incrociandosi con gli effetti del Cambiamento Climatico si è dimostrata letale.
Da maggio dell’anno scorso quasi ogni mese i report di ARPAE hanno registrato picchi anomali di parametri climatici: piogge estreme, temperature elevate, siccità. La temperatura media dello scorso febbraio è stata la più alta dal 1961.
La gelata potrebbe dare dunque un ulteriore brutto colpo al comparto agricolo, un settore economico finora poco colpito dai provvedimenti sul CoVid19. Settore che, peraltro, sta già vivendo le difficoltà incorse dalla comparsa delle “Cimice Asiatica” (Halyomorpha alys), amplificate dalla crisi climatica e dagli inverni miti.
La situazione di questi giorni ci ricorda dunque l’altra grande sfida che la nostra comunità dovrà affrontare quando avremo superato il Coronoavirus: quella del Clima.
Si tratta di un monito da tenere a mente anche in questo momento di grande fragilità, perché mettere la nostra società al riparo da rischi significa anche essere consapevoli che gli eventi climatici estremi non ci daranno tregua. Il maggio del 2019 è stato tra i più piovosi del dopoguerra, con diverse alluvioni che hanno colpito l’Emilia Romagna: è bene incrociare le dita per i prossimi mesi, nella consapevolezza che sarà necessario ripartire con il piede giusto.
Neanche di fronte a un disastro l’attuale classe dirigente europea è disposta a prendere atto che le idee che hanno guidato finora la politica economica sono profondamente sbagliate. Questa classe dirigente pretende che tali idee interpretino il modo migliore di far funzionare i mercati, elevati a mitici giudici di ciò che è giusto e ciò che non lo è e di fatto sostituiti al processo democratico. Ma proprio la reazione dei mercati alle prime decisioni dei ministri finanziari e poi della Bce su come fronteggiare l’emergenza hanno sepolto sotto una valanga di vendite da panico la palese incomprensione della situazione da parte dei massimi dirigenti europei, costringendoli a frettolosi tentativi di riparazione.
Queste reazioni non sono però servite a convincere leader e tecnocrati della fallacia delle loro teorie. Gli interventi sono presentati come una risposta d’eccezione a uno stato di eccezione, senza che questo metta in questione le regole di funzionamento dell’Unione che – si sottintende – passata la tempesta riprenderanno ad operare pienamente.
Il Patto di stabilità in un primo momento non era stato nemmeno sospeso, preferendo affermare che non ce n’era bisogno perché “consente tutta la flessibilità necessaria”. Il “whatever it takes” di Mario Draghi è stato dapprima smentito, provocando il crollo dei mercati, e poi ripetuto in un tentativo di recupero. Ma è stata persa la credibilità, che è la condizione indispensabile affinché quella frase sia efficace, sia perché è evidente che sia stata detta solo perché forzata dagli eventi, sia perché i nuovi provvedimenti annunciati dalla Bce prevedono limiti e paletti (come la capital key, gli acquisti di titoli sovrani in base alle quote di capitale della Banca che ogni Stato possiede, seppure attenuata) e non sono quindi nella logica di “qualsiasi cosa sia necessaria”.
Il cosiddetto Fondo salva-Stati (Mes) è rimasto ai margini degli annunci, a riprova che non è in grado di salvare nulla. Si tratta in effetti solo di uno strumento di disciplina che gli Stati egemoni vogliono usare per imporre il loro dominio su quelli che cadano in difficoltà. Ne vogliono fare la chiave di accesso agli interventi della Bce, una chiave che sarebbe pagata con la “grecizzazione” di chi incautamente vi facesse ricorso, ossia l’impoverimento del paese e la sua successiva spoliazione da parte delle economie più forti.
Nell’immediato è necessario che:
– la Bce riaffermi con forza che i 750 miliardi di interventi annunciati rispondono solo alle prime necessità della crisi, e che è disposta ad interventi illimitati in base a quanto necessario;
– gli acquisti di titoli pubblici non avverranno più in base alle quote di capitale della Banca che ogni Stato possiede (criterio che peraltro non è applicato per le obbligazioni societarie), ma in base alla necessità di contrastare la speculazione;
– la Bce dichiari che i titoli sovrani detenuti in base ai vari programmi di acquisto saranno rinnovati indefinitamente;
– la Bce trovi la formula giuridica compatibile con i Trattati per acquistare a titolo definitivo bond senza scadenza emessi dagli Stati, con rendimento zero o prossimo allo zero, da collocare poi presso le Banche centrali nazionali.
Per il futuro è necessario che:
– i governi Ue abbandonino l’idea che la crescita dell’economia possa essere affidata alle sole esportazioni, continuando a perseguire indefinitamente una politica di contenimento dei bilanci pubblici e dei consumi interni;
– i governi Ue prendano atto che l’inserimento del Fiscal compact all’interno dei trattati europei è stato bocciato dal Parlamento europeo e quindi quelle prescrizioni vanno lasciate cadere;
– i governi Ue concordino che il pareggio di bilancio debba valere solo per le spese correnti;
– i governi Ue prendano ufficialmente atto che la politica fiscale possa essere usata in funzione anticongiunturale, anche se ciò comporta un deficit pubblico o un suo aumento;
– i governi Ue abbandonino i criteri di sorveglianza basati su parametri inaffidabili come il Pil potenziale e l’output gap.
Le decisioni necessarie ad assicurare la sopravvivenza dell’Unione europea non sono naturalmente soltanto queste – valga per tutte l’impellente necessità di dare vita agli eurobond – e ci sarà modo di discuterne in futuro, ma ciò che ora importa è che i vertici europei si rendano conto dei clamorosi errori ripetuti nel tempo e dichiarino di voler seguire d’ora in poi una strada diversa. Se questo non sarà fatto la crisi sarà pagata duramente da tutti i cittadini europei e sarà messa a forte rischio la stessa sopravvivenza dell’Unione.
Nicola Acocella (univ. Roma La Sapienza) Massimo Amato (univ. Bocconi) Davide Antonioli (univ. Ferrara) Marco Antoniotti (univ. Milano Bicocca) Roberto Artoni (univ. Bocconi) PierGiorgio Ardeni (univ. Bologna) Lucio Baccaro (Managing Director, Max Planck Institute, Colonia) Alberto Baccini (Univ. Siena) Giancarlo Bertocco (Univ. dell’Insubria) Paolo Borioni (univ. Roma La Sapienza) Sergio Bruno (univ. Roma La Sapienza) Sergio Cesaratto (univ. Siena) Roberto Ciccone (univ. Roma Tre) Giulio Cifarelli (univ. Firenze) Carlo Clericetti (giornalista) Antonio Cuneo (univ. Ferrara) Massimo D’Antoni (univ. Siena) Antonio Di Majo (univ. Roma Tre) Giovanni Dosi (Scuola Superiore Sant’Anna) Sebastiano Fadda (univ. Roma 3) Guglielmo Forges Davanzati (univ. del Salento) Maurizio Franzini (univ. Roma La Sapienza) Andrea Fumagalli (univ. Pavia) Mauro Gallegati (univ. Politecnica delle Marche) Claudio Gnesutta (univ. Roma La Sapienza) Dario Guarascio (univ. Roma La Sapienza) Andrea Guazzarotti (univ. Ferrara) Andres Lazzarini (univ. of London e Roma Tre) Riccardo Leoncini (univ. Bologna) Riccardo Leoni (univ. Bergamo) Enrico Sergio Levrero (univ. Roma Tre) Stefano Lucarelli (univ Bergamo) Ugo Marani (univ. Napoli l’Orientale) Maria Cristina Marcuzzo (univ. Roma La Sapienza e Acc. Lincei) Massimiliano Mazzanti (univ. Ferrara) Marco Missaglia (univ. Pavia) Francesco Morciano (univ. Pavia) Mario Morroni (univ. Pisa) Guido Ortona (univ. Piemonte orientale) Ruggero Paladini (univ. Roma La Sapienza) Daniela Palma (Enea) Gabriele Pastrello (univ. Trieste) Anna Pettini (univ. Firenze) Paolo Piacentini (univ. Roma La Sapienza) Paolo Pini (univ. Ferrara) Cesare Pozzi (Luiss Guido Carli e univ. di Foggia) Michele Raitano (univ. Roma La Sapienza) Simonetta Renga (univ. Ferrara) Guido Rey (Scuola superiore Sant’Anna) Umberto Romagnoli (univ. Bologna) Roberto Romano (economista) Alessandro Roncaglia (univ. Roma La Sapienza e Acc. Lincei) Vincenzo Russo (univ. Roma La Sapienza) Enrico Saltari (univ. Roma La Sapienza) Roberto Schiattarella (univ. Camerino) Alessandro Somma (univ. Roma La Sapienza) Antonella Stirati (univ. Roma Tre) Pietro Terna (univ. Torino) Mario Tiberi (univ. Roma La Sapienza) Leonello Tronti (univ. Roma Tre) Marco Valente (univ. dell’Aquila) AnnaMaria Variato (univ. Bergamo) Andrea Ventura (univ. Firenze) Antimo Verde (univ. della Tuscia) Marco Veronese Passarella (Leeds University Business School) Gennaro Zezza (univ. Cassino)
Aderiscono anche:
Roberto Burlando (univ. Torino) Riccardo Cappellin (univ. Roma Tor Vergata) Andrea Coveri (univ. Urbino) Lucio Gobbi (univ. Trento) Lia Pacelli (univ. Torino) Giuseppe Tattara (univ. Venezia) Fabio Berton (univ. Torino) Maurizio Zenezini (univ. Trieste) Enzo Valentini (univ. Macerata) Alessandro Balestrino (univ. Pisa) Roberto Balduini (economista, Roma) Nino Galloni (economista, Roma) Annaflavia Bianchi (economista, Bologna) Luca Fantacci (univ. Bocconi) Elena Cefis (univ. Bergamo) Alessandra Corrado (univ. della Calabria) Emanuele Leonardi (univ. Parma) Federico Chicchi (univ. Bologna) Angelo Salento (univ. del Salento) Carmelo Buscema (univ. della Calabria) Devi Sacchetto (univ. Padova) Lorenzo Robotti (univ. Politecnica delle Marche) Luca Michelini (univ. Pisa) Paolo Paesani (univ. Roma Tor Vergata) Silvia Lucciarini (univ. Roma La Sapienza) Fabio Fiorillo (univ. Politecnica delle Marche) Marilena Giannetti (univ. Roma La Sapienza) Giulia Zacchia (univ. Roma La Sapienza) Gianni Vaggi (univ. Pavia) Francesco Scacciati (univ. Torino) Stefano Giubboni (univ. Perugia) Daniela Federici (univ. Cassino) Francesco Ferrante (univ. Cassino) Valentino Parisi (univ. Cassino) Eleonora Sanfilippo (univ. Cassino) Carlo Devillanova (univ. Bocconi) Elena Paparella (univ. Roma La Sapienza) Salvatore D’Acunto (univ. della Campania) Stefano Tomelleri (univ. Bergamo) Piero Esposito (univ. Cassino) Luigi Doria (univ. Venezia) Paolo Polinori (univ. Perugia) Amedeo Argentiero (univ. Perugia) Giuseppe Croce (univ. Roma La Sapienza)
Giusto tutelare con misure straordinarie il bene della vita e contrastare un pericolo unico nel suo genere, ma in nessun caso si può costituire un precedente.
Sono legittime le misure di divieto di circolazione e riunione, nonché di svolgere attività produttiva posta in essere a seguito dell’emergenza sanitaria in cui versa il nostro Paese? La Costituzione prevede espressamente, all’articolo 16, che la libertà di circolazione possa essere limitata “per motivi di sanità o di sicurezza”. L’articolo 17, sulla libertà di riunione, dispone che essa possa essere vietata per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. L’iniziativa economica, scrive ancora la Costituzione all’articolo 41, non può svolgersi “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà alla dignità umana”. Infine, l’articolo 32 sulla tutela della salute non solo esplicita che questa è un “diritto fondamentale dell’individuo”, ma che costituisce anche un “interesse della collettività”. Dal punto di vista della
“Nei periodi di crisi, gli effetti delle disuguaglianze formali e sostanziali diventano ancor più evidenti. Le note che seguono forniscono una prima panoramica sui diritti dei cittadini stranieri messi a rischio dall’emergenza COVID-19.”
Così inizia il Documento sottoscritto da decine di associazioni per spezzare il silenzio ed evidenziare le criticità che, in questa drammatica situazione di emergenza da COVID-19, caratterizzano la condizione delle persone straniere ed in particolare dei/delle richiedenti asilo, delle persone senza fissa dimora e dei lavoratori e delle lavoratrici ammassati negli insediamenti informali rurali.
Persone che ad oggi sono prive di effettiva tutela, nella maggioranza dei casi anche degli strumenti minimi di contenimento (mascherine e guanti – acqua, servizi igienici), ed oggettivamente impossibilitate a rispettare le misure previste dal legislatore, vivendo in luoghi che di per sé costituiscono assembramenti.
Il documento non si limita ad enucleare dette criticità ma propone e chiede al legislatore soluzioni concrete ed immediate, che consentano di garantire a tutte le persone le medesime tutele previste dai provvedimenti per contenere il contagio da coronavirus.
Con specifico riguardo ai Centri straordinari di accoglienza (che dalla riforma del cd. decreto sicurezza n. 118/2018 sono diventati grandi contenitori di persone, con significativa riduzione dei servizi, compresi quelli sanitari), le Associazioni firmatarie chiedono che vengano chiusi, riorganizzando il sistema secondo il modello della cd. accoglienza diffusa in piccoli appartamenti e distribuiti nei territori, essendo impossibile nei contesti attuali il rispetto delle misure legali vigenti, a partire dalla distanza tra le persone e al divieto di assembramenti.
Il Documento chiede, altresì, che venga consentito l’accesso al SIPROIMI anche per coloro che ne sono stati esclusi dal decreto sicurezza (titolari di permesso umanitario, richiedenti asilo) e che le persone senza fissa dimora o che vivono negli insediamenti informali rurali (cioè che lavorano per l’agricoltura per fornire i prodotti per la vita quotidiana) siano accolte in strutture adeguate, con dotazione di acqua e servizi igienici, oggi assenti in questi ultimi.
Analoghe richieste chiediamo per i CPR e gli Hot-Spot, evidenziando, quanto ai primi, la necessità di impedire nuovi ingressi e per le persone già trattenute di disporre le misure alternative al trattenimento, stante l’impossibilità attuale di eseguire ogni rimpatrio nei Paesi di origine.
Il documento non si dimentica neppure della situazione in cui versano le persone migranti che anche in questo periodo possono arrivare in Italia, per cercare di sottrarsi a morte e torture nei campi in Libia o in fuga da situazioni di grave pericolo. Rispetto a costoro chiediamo che vengano predisposte misure che consentano la rapida indicazione di un porto sicuro per lo sbarco e la predisposizioni di protocolli atti ad evitare la diffusione della pandemia in corso.
Il Documento non dimentica nemmeno di esortare il legislatore a non ignorare le riforme che da tempo sono urgenti per le persone straniere e per la democrazia tutta, dalla cittadinanza, all’abrogazione dei cd. decreti sicurezza, alla sempre più urgente regolarizzazione.
L’insieme di queste richieste, che ci auguriamo il legislatore e tutte le competenti autorità prendano immediatamente in considerazione, non rispondono solo ad una imprescindibile necessità di trattamento uguale per tutte le persone, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3 Costituzione), ma ad una necessità per la salvaguardia dell’intera salute pubblica.