Stampa

Si dice spesso che in politica non esistono spazi vuoti, quando se ne creano vengono presto riempiti. Credo che questo sia vero anche oggi, e non solo rispetto alle recenti elezioni regionali. In questo caso, la distanza e la delusione rispetto alle proposte politiche, e al personale politico, soprattutto delle forze maggiori in campo, a partire dal PD, ha prodotto l'enorme l'astensionismo, ma anche un ricompattamento di diverse opzioni di destra e moderate verso la Lega di Salvini, fenomeni entrambi preoccupanti. (Oggi, anche per effetto delle ultime scoperte sul malaffare, come “Mafia capitale”, la tendenza all'astensionismo sarebbe ancora maggiore).

Tuttavia, visto da sinistra, il problema vero è la mancanza di una proposta alternativa credibile, che quindi possa essere un riferimento innanzitutto per i milioni di persone che si stanno mobilitando contro gli effetti della crisi e anche contro le politiche del governo.

Come è stato osservato, le due liste a sinistra del PD non hanno intercettato, se non in minima parte, questa domanda. Ma potevano farlo? Non c'è dubbio che se fossero state unite sarebbe stato meglio (e noi, nel nostro piccolo, avevamo cercato di contribuire), ma questo avrebbe sul serio cambiato il quadro? Credo non

sarebbe stato ancora sufficiente.

Vale la pena di continuare ad interrogarsi sul serio su cosa potrebbe significare oggi capacità di incidere e di fare politica, per ricostruire un punto di vista di sinistra, alternativo al quadro liberista nel quale siamo immersi.

Parto proprio dall'opposizione sociale, che se pur in maniera frammentaria, si sta esprimendo contro le politiche del governo Renzi. Mi pare si possano individuare tre questioni, che principalmente la motivano, oltre naturalmente allo stile propagandistico e autoritario che caratterizza il governo: L'attacco ai diritti del lavoro, a partire dal jobs act, che sta producendo una enorme mobilitazione sindacale, fino ad arrivare allo sciopero generale del 12 dicembre; l'attacco all'impianto istituzionale con la modifica della Costituzione; la riconferma della stessa logica di “sviluppo”, senza alcuna politica industriale, con il rilancio delle grandi opere e lo sfruttamento indiscriminato del territorio.

I “corpi intermedi”, le associazioni, i movimenti, le persone, che contrastano queste politiche, riescono a delineare un quadro unitario (qualcuno dice “una narrazione”, che a me non piace) che ricomponga i valori che stanno alla base di queste mobilitazioni? Qualche tentativo c'è, ma le contraddizioni sono ancora molte (per esempio: chi si batte per i diritti del lavoro non sempre riesce a comprendere quelli ambientali, o quelli riferiti alle riforme istituzionali; le ragioni della “crescita” economica si scontrano con la tutela dei “beni comuni”, ecc...).

Una volta era la politica (“il partito”) il soggetto a cui era affidata la delega per una sintesi, oggi “la politica” non vuole, o non è in grado di costruire questa sintesi, e per altri versi, da parte dei movimenti, questa delega non si intende darla. Questo richiama ad altre modalità del fare politica, che non è solo chiedere un voto (una delega) alle elezioni, sulla base di un sommario programma, necessariamente propagandistico, ma come far pesare le mobilitazioni e la partecipazione delle persone in carne ed ossa per avanzare nella realizzazione degli obiettivi per cui ci si batte.

C'entrano qualcosa questi nodi con la divisione che c'è stata (e che continuerà!?) nella lista L'Altra Europa con Tsipras e tra SEL e l'Altra Emilia Romagna? Purtroppo, a me pare, poco. Se ci si autodefinisce solo per differenza rispetto al PD renziano: dichiararsi sinistra del centrosinistra per SEL; oppure definirsi globalmente alternativi come l'AER (che pure ho votato), senza una effettiva pratica sociale, è difficile delineare una alternativa credibile e potenzialmente di massa.

Tuttavia io penso che i militanti e gli elettori (in alcuni casi astensionisti) di queste formazioni siano gran parte della base di riferimento per “continuare a cercare”, per tentare di ricostruire oggi, una coalizione politico-sociale di sinistra, da “convertire” più che “riconvertire”, nei contenuti e nelle modalità di funzionamento (intanto superando vecchi vizi e personalismi).

Per questo ho addirittura litigato con alcuni amici e compagni che dichiaravano di volersi astenere alle regionali, perché pensavo che se si fosse dimostrato che i pezzi della sinistra non riuscivano neppure a raggiungere il quorum, sarebbe stato ancora più difficile riprendere questo lavoro.

Ed infatti oggi è comunque difficile, ma ci si può provare, con l'idea di dare una rappresentanza ad un’area ben più vasta di disagio sociale, a partire dai movimenti sociali più attivi, e che deve comprendere anche militanti ed elettori delusi, o ex elettori, del PD e dei 5 stelle.

Una rappresentanza, anche elettorale, ma soprattutto che sviluppi iniziativa politica e sociale, che superi la semplice richiesta di delega e la visione “plebiscitaria e presidenzialista” dell'uomo solo al comando, mutuata prima da Berlusconi e poi da Grillo e da Renzi, che ha preso piede anche a sinistra.

Una rappresentanza che abbia una vocazione non minoritaria (anche se oggi sarebbe di minoranza) ricordiamoci che parecchie delle grandi conquiste per i diritti sociali e del lavoro, che oggi vengono messe in discussione da Renzi, sono state raggiunte quando la sinistra era in minoranza e all'opposizione.

Vittorio Bardi