Stampa

Ri-Mediamo La rubrica su media e società. A cura di Vincenzo Vita

Referendum sulla cittadinanza, parte la campagna: «Ce la faremo»

Si avvicina la scadenza del voto sui referendum: quattro sul lavoro e uno sulla cittadinanza. Silenzio pressoché totale dei media.

Lasciamo stare, ovviamente, queste giornate, dedicate (non sempre bene e spesso con elogi di maniera da parte di chi non l’ha mai sopportato) alla scomparsa di Papa Francesco. Servirebbero approfondimenti rigorosi e lontani dalle retoriche farisaiche, che fanno di Bergoglio un santino e non una figura indigesta per guerrafondai e affaristi, dentro il tempio e pure fuori.

Torniamo ai referendum. Si tratta di una scadenza fondamentale, perché tocca alcuni meccanismi determinanti della deriva neoliberista -licenziamenti illegittimi, tutele per i lavoratori delle piccole imprese, precariato, sicurezza sul lavoro- e dello spirito vessatorio contro i migranti.

Se è vero che la commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai (2 aprile, in vigore dal 6) e l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (8 aprile, in vigore dal 9) hanno emanato i rispettivi regolamenti che disciplinano le diverse forme di comunicazione, è altrettanto vero che la disciplina classica della par condicio poco si adatta alle caratteristiche dei referendum.

In tale consultazione chi va a votare in gran parte si esprime per l’abrogazione di leggi e commi in questione, mentre è il raggiungimento del quorum richiesto ad essere il vero problema. Parliamo dei referendum abrogativi, mentre differente sarebbe il caso di quelli confermativi.  Non a caso il segretario di +Europa Riccardo Magi ha immaginato un ricorso alla giustizia amministrativa contro le scelte regolamentari, proprio per sottolineare la necessità di privilegiare l’informazione sui quesiti rispetto alla mera conta cronometrica del Si e del No.

Insomma, ben vengano le tribune elettorali, ma a poco servono se sono collocate in orari non centrali e se non vi è soprattutto una adeguata spiegazione di testi e contesti.

Se, ad esempio, si riproducesse l’affluenza nelle cabine delle ultime consultazioni per il parlamento europeo, i referendum fallirebbero.

Giustamente, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha insistito e insiste proprio su tale nodo, l’altra faccia della posta in gioco generale.

Del resto, i dati che si possono leggere sul sito della Rai raccolti dall’Osservatorio di Pavia sottolineano che il vulnus risiede nella carenza di attenzione e di racconto mediatico. Briciole di secondi dedicati ad argomenti concreti legati alla vita reale delle persone.

Non va. Una correzione immediata diviene indispensabile, per non rendere l’apparato pubblico e privato complice di una violazione della Costituzione, che fa dei referendum un vero potere statuale.

Non solo. La stessa routine dei talk andrebbe rivista, inserendo la scadenza dell’8 e 9 giugno tra le priorità dell’agenda e delle scalette.

Naturalmente, le maglie strette della par condicio scatteranno nel cosiddetto periodo protetto, che di prassi è l’ultimo mese. A maggior ragione, quindi, nello spazio che precede e accompagna tribune e messaggi autogestiti (12 maggio) è cruciale che se ne parli.

Bene o male non importa, ma che se ne discuta.

Altrimenti non solo si perderà un’occasione di tale rilievo per l’universo del lavoro e per i migranti che vivono in Italia (il tempo per l’acquisizione della cittadinanza si dimezzerebbe da 10 a 5 anni), ma si darà un colpo letale allo stesso istituto referendario. E sembra che in simile direzione si orientino il governo e la maggioranza di destra, assai sensibili verso quello che getta sabbia nei motori dell’involuzione in corso. Quest’ultima scarta gli strumenti della rappresentanza e del voto consapevole, per dare spazio al premierato populista.

Non casualmente, gli stessi partiti contrari hanno tardato a chiarire alla commissione di vigilanza i propri orientamenti, la cui assenza impedisce l’organizzazione dei confronti radiotelevisivi. Nella tendenza verso i lidi della cosiddetta democratura, attenzione a non sottovalutare la manomissione dell’istituto del referendum abrogativo con il boicottaggio del quorum.

La partita si gioca subito, non nello scadenzario tradizionale della legge 28.