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25 Aprile Per questo splendido 25 aprile c’è chi merita dei ringraziamenti particolari. Per primo il ministro della protezione civile e soprattutto, in questo caso, del mare perché è anche merito suo […]

il carro del manifesto alla manifestazione del 25 aprile 2025 a Milano il carro del manifesto alla manifestazione del 25 aprile 2025 a Milano

Per questo splendido 25 aprile c’è chi merita dei ringraziamenti particolari. Per primo il ministro della protezione civile e soprattutto, in questo caso, del mare perché è anche merito suo se nella soleggiata Milano dal cielo terso ieri soffiava quella brezza leggera.

Non sarebbe giusto però farlo salire da solo sul podio: anche se è stato lui a mettersi più di altri in mostra chiedendo di festeggiare la Liberazione dal nazifascismo con «sobrietà» causa lutto nazionale, a ispirarlo (per non dire a dettargli legge) è stata la sua capa, la presidente del consiglio Giorgia Meloni.

Forse con le sue disposizioni la premier sperava di seminare non un venticello, ma una tempesta: reazioni esacerbate, rabbia scomposta, violenze e saccheggi. E invece ha raccolto cortei festosi corredati dall’inevitabile dose di rabbia, colori, vino, musica e protesta.

Ma nelle varie piazze, nessuno ha prestato il fianco a una destra pronta a scagliarsi contro la sinistra che usa il 25 aprile – si è sentito anche questo dalle parti degli ultrà meloniani – per giustificare il “comunismo” putiniano (sic!) e l’islamismo (arisic!).

Ma forse invocando sobrietà il governo cercava solo l’ennesima occasione per acquattarsi sobriamente in una giornata che sotto l’esecutivo più a destra della storia della repubblica suscita grande nervosismo. Una giornata che, vale la pena di ricordare, ai tempi del “liberale” Silvio Berlusconi, il padre che tutto alla sua destra inglobava, era stata ridotta con la complicità di una parte del centrosinistra a un trito gioco delle parti.

E invece la ricorrenza del 25 aprile, grazie a una risposta in primo luogo “democratica” e “civile”, non guidata da partiti ancora disorientati, è tornata centrale negli ultimissimi anni, animata da una forza capace di smontare nuove trappole e vecchie retoriche.

Come l’ultimissima provocazione – non troppo bene orchestrata dal governo – che non solo non ha suscitato morti e feriti, ma non ha nemmeno fornito argomenti utili per essere utilizzati dai governisti compiacenti dell’entourage mediatico, pronti a sostenere la tesi insostenibile ma comoda del “chiudiamola qui con un a pari e patta”. Ma ha invece corroborato, da Roma a Milano, piazze vivaci e determinate.

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Dal canto suo la presidente del consiglio quest’anno si è spinta addirittura a sostenere che il 25 aprile «onoriamo quei valori democratici che il fascismo aveva negato».

Forse è stato l’inciampo (per non dire l’enormità) del tentativo di contrapporre il lutto per Bergoglio alla festa più importante della repubblica a farla riflettere. Forse è stata una suggestione arrivata dal Colle più alto: «È sempre tempo di resistenza» ha rimarcato Sergio Mattarella a Genova.

Quello che le piazze di ieri hanno chiarito, nonostante gli imbarazzanti, per non dire allarmanti eccessi di zelo (multe, divieti e anatemi contro le iniziative per la Liberazione) è che la Resistenza non chiude per lutto perché il 25 aprile si commemora la fine di una guerra che ha provocato milioni di orribili lutti.

Forse chissà, inciampo dopo inciampo, anche la premier erede di Giorgio Almirante e della sua fiamma ci arriverà. Lo auguriamo a lei e soprattutto lo auguriamo a tutti noi.