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Donald e Bibi Che si tratti di dazi inflitti e poi ritirati in allegra e imprevedibile sequenza, media intimiditi o giudici arrestati, minacce contro banchieri centrali o contro ex “dogi” usurati, criptovalute da spacciare per sé o minerali ucraini da intascare per la patria, ogni singola parola di Trump è uno stress test del perimetro del proprio dominio

Illustrazione Ikon Images Illustrazione Ikon Images

La chiamano bomba a caduta libera leggera, ma di leggero la Mk-82 non ha niente. Pesa 500 libbre (circa 230 chili), è più americana della torta di mele – prodotto orgogliosamente esclusivo di una fabbrica della General Dynamics in Texas – ed è in circolazione dai tempi del Vietnam. E poi le guerre del Golfo, fino ad arrivare a Gaza. Un evergreen di tutte le guerre da quando abbiamo smesso di numerarle, e non per questo sono diminuite.

È questa bomba leggera americana che ha fatto strage sull’internet café del lungomare di Gaza, lanciata dall’esercito israeliano che ne è il più generoso utilizzatore finale mondiale. Migliaia di Mk-82 sono già state consegnate a Tel Aviv, altre migliaia lo saranno dopo un ulteriore approvvigionamento deciso pochi giorni fa. Ogni amministrazione di Washington le ha spedite a Israele, qualche presidente di più e qualche altro di meno. Joe Biden le fermò nel maggio scorso dopo un massacro più efferato della media a Rafah, ma durò un paio di mesi. Donald Trump oggi le invia con impareggiato entusiasmo. Pretende il Nobel per la pace e si candida a broker di un accordo ma gioca per una delle squadre e non potrebbe essere altrimenti.

Trump e Netanyahu sono due facce di un’unica medaglia. L’Onu chiede a paesi e aziende di smettere di essere complici di un genocidio ma se c’è un complice questo è a Washington. La “più potente democrazia mondiale” e la “sola democrazia del Medio oriente” sono saldamente guidate da animali politici simili e complementari, e nessuno dei due sembra annettere grande significato al termine democrazia, che pure era il terreno comune su cui venne costruita una sinergia tra Stati con pochi precedenti nella storia – anche quella militare: dal ’46 a oggi Israele è di gran lunga il principale recipiente dell’assistenza bellica americana, il secondo storicamente è il Vietnam e con tutta la guerra è costato la metà. Trump e Netanyahu fanno dell’erosione delle norme democratiche il proprio codice di esercizio del potere.

Quanto meno le norme democratiche come credevamo di conoscerle, i canoni scritti e non scritti che chiamavamo democrazia liberale – ma dopo questi anni terrificanti dovremo inventare altri termini, aggiornare il vocabolario e forse anche le pratiche, dare significato a questa democrazia o assistere alla sua metamorfosi. Lo faremo, ma non sarà un bel momento. Se c’è un filo conduttore nel comportamento erratico e sfacciatamente irrazionale di Donald Trump è la costante pressione sui limiti che dovrebbero circoscriverne il potere.

Che si tratti di dazi inflitti e poi ritirati in allegra e imprevedibile sequenza, media intimiditi o giudici arrestati, minacce contro banchieri centrali o contro ex “dogi” usurati, criptovalute da spacciare per sé o minerali ucraini da intascare per la patria, ogni singola parola di Trump è uno stress test del perimetro del proprio dominio. Dopo ogni stress test il perimetro cede un po’, il dominio è un po’ più largo, il gioco può ricominciare. Netanyahu fa lo stesso da più tempo, con la stessa base ideologica nazionalista-populista, con identica tensione verso la riproduzione di sé stesso come unico scopo. Uno sfida la sua Corte suprema tutti i giorni e l’altro se ne è nominata una su misura ma lo slancio è il medesimo.

L’indipendenza del potere giudiziario e dei media, le attività dei gruppi della società civile, la libertà delle università e degli artisti, i diritti delle minoranze, le procedure elettorali e quelle legislative, ogni aspetto dei meccanismi della convivenza umana che possa contrastare le scelte di chi usa come una clava l’essere stato eletto dal popolo viene sottoposto a torsioni brutali. Sul sangue di decine di migliaia di palestinesi come sulle vite di decine di migliaia di deportati latinoamericani, fenomeni certamente diversi ma accomunati dall’indicazione del nemico comune. Trump e Netanyahu sono lo spirito del tempo. Ma il tempo è pessimo.