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Palestina All’indomani della «giornata storica» e delle colate di melassa retorica che la hanno sommersa, converrà ritornare alle giornate di ordinaria violenza, nelle quali il cessate il fuoco assomiglia piuttosto al «diminuite il fuoco» di una precaria tregua armata piena di trappole e di falle

Il presidente Donald Trump parla con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu Il presidente Donald Trump parla con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu – Ap

All’indomani della «giornata storica» e delle colate di melassa retorica che la hanno sommersa, converrà ritornare alle giornate di ordinaria violenza, nelle quali il cessate il fuoco assomiglia piuttosto al «diminuite il fuoco» di una precaria tregua armata piena di trappole e di falle. Nemmeno il flusso degli aiuti umanitari, indirizzati alla stremata popolazione di Gaza, sembra più essere garantito. Israele si riserva il potere di aprire, chiudere o restringere i varchi, e in particolare il valico di Rafah, come strumento di ricatto o di rappresaglia nei confronti della controparte palestinese. Saranno dunque ancora i civili a pagare con la fame e ulteriori restrizioni, eventuali pause, impasse o ripensamenti nei negoziati. L’assedio non è stato tolto.

I pretesti per riaprire in un modo o nell’altro le ostilità non mancano di certo. Il primo riguarda la macabra questione delle salme degli ostaggi morti in cattività, che Israele vorrebbe restituite tutte e subito, ben sapendo, come confermato anche dalla Croce rossa, che si tratta di un’impresa praticamente impossibile. Sotto gli enormi cumuli delle macerie di Gaza, prodotti da due anni di bombardamenti dell’Idf, potrebbero giacere migliaia di corpi palestinesi, molti dei quali forse disintegrati e comunque non meritevoli di menzione.

Non dovrebbe dunque meravigliare il fatto che Hamas fatichi a ritrovare rapidamente in questo paesaggio devastato tutti i corpi degli ostaggi deceduti.

I pretesti per riaprire in un modo o nell’altro le ostilità non mancano di certo. Il primo riguarda la macabra questione delle salme degli ostaggi morti in cattività, che Israele vorrebbe restituite tutte e subito, ben sapendo, come confermato anche dalla Croce rossa, che si tratta di un’impresa praticamente impossibile. Sotto gli enormi cumuli delle macerie di Gaza, prodotti da due anni di bombardamenti dell’Idf, potrebbero giacere migliaia di corpi palestinesi, molti dei quali forse disintegrati e comunque non meritevoli di menzione. Non dovrebbe dunque meravigliare il fatto che Hamas fatichi a ritrovare rapidamente in questo paesaggio devastato tutti i corpi degli ostaggi deceduti. E, del resto, che interesse avrebbe la milizia palestinese a centellinare la restituzione delle salme, offrendo così a Israele un pretesto per sabotare il negoziato?

Di certo, per ora, vi è stato uno scambio di prigionieri, che è una buona cosa (accaduta anche tra Russia e Ucraina) e una sostanziale sospensione dei combattimenti, che è un’altra buona cosa (non accaduta tra Russia e Ucraina). E poi i punti, tutti da chiarire, del piano imposto da Trump, quando Netanyahu ha osato bombardare una cassaforte globale come il Qatar.

In Cisgiordania, invece, le operazioni militari, le irruzioni, le violenze diffuse contro la popolazione palestinese e in particolare le famiglie dei prigionieri liberati, non hanno subito alcun rallentamento, semmai un’intensificazione. È in questo Far West, dove arbitrio, prevaricazioni e vessazioni d’ogni genere sono la norma quotidiana, che la pax trumpiana rinuncia al suo presunto significato «storico». Sulla guerra sporca dei coloni appoggiati dall’Idf contro gli abitanti della Cisgiordania la Casa bianca non si pronuncia affatto e non è improbabile che proprio questa astensione sia stata offerta a Israele in cambio di una rinuncia all’annessione diretta e immediata della striscia di Gaza con relative strategie di deportazione. Per il resto nulla lascia pensare che il governo israeliano sia disposto ad abbandonare le sue ambizioni espansionistiche e l’ideologia aggressiva che le sostiene. La polveriera è tutt’altro che disinnescata.

L’ostacolo più grande che da decenni si oppone a una stabile pacificazione del Medio oriente è un fattore più insidioso e micidiale di una guerra batteriologica. Si tratta della diffusione del fanatismo religioso che, messo in campo verso la fine della guerra fredda per disarticolare il blocco avversario, ha finito con lo scardinare ciò che restava di una razionalità laica, tanto tra i palestinesi quanto tra gli israeliani, capace di stringere accordi e di muovere sia pure tra mille ostacoli nella direzione di una convivenza pacifica. Il fondamentalismo sarebbe divenuto, grazie anche all’impopolarità delle dittature laiche, socialiste o filoccidentali della regione, il tratto dominante della politica medio-orientale. Con la piena complicità e partecipazione della destra israeliana, sostenuta dagli Stati uniti, sempre più trascinata da fattori ideologici guerrafondai.

Altro che «oppio dei popoli», gli integralismi sono stati, da una parte e dall’altra, l’anfetamina che ha accresciuto a dismisura la reciproca ostilità e le forme spietate dei conflitti che hanno devastato il Medio oriente. Non dovrebbe suonare strano a uno come Donald Trump che in casa sua ricorre ampiamente e pragmaticamente all’appoggio del fanatismo religioso, dalle sette evangeliche alle dottrine reazionarie di Charles Kirk, per muovere guerra ai suoi avversari.

Gli Stati uniti in realtà hanno sempre potuto in ogni momento fermare Israele, moderarne le ambizioni, correggerne i comportamenti. Se è vero che le dipendenze sono anche reciproche è soprattutto vero che il patrimonio e l’arsenale stanno nelle mani di Washington. Gli Usa non hanno esercitato questo potere fin quando Tel Aviv agiva in favore dei loro interessi geopolitici senza compromettere i rapporti tra l’America e i capitali arabi. Trump non ha fatto miracoli, ha semplicemente assecondato l’azione muscolare dell’alleato israeliano fin dove il suo isolamento non lo avrebbe danneggiato. Per poi tirare un freno che mostrasse le sembianze di un piano di pace. Questo è l’evento «storico».