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Anche Giovanni Paglia (Deputato di Sinistra Italiana) prova a sbloccare la situazione e a rilanciare il dialogo nel e col Brancaccio.

17/11/2017
So che dopo il cortocircuito che si è prodotto a sinistra nell'ultima settimana in tante e tanti sono ora delusi, arrabbiati, disorientati.
Lo capisco, ma credo che mai come in questo momento abbiamo l'obbligo di sospendere ogni ostilità, comprendere le ragioni di tutti e provare a riannodare il filo di un percorso comune.
Non è facile, perché come vado dicendo da mesi tutti vogliamo la sinistra unita, ma tutti la immaginiamo senza qualcuno, al punto che mettendo assieme i veti reciproci ognuno finirebbe a fare l'unità solo con se stesso.
Questo non va bene, perché se per i militanti le distinzioni sono molte ed evidenti, per le elettrici e gli elettori italiani diventano sfumate al punto da non essere riconoscibili.
È la ragione per cui sosteniamo spesso che ci sia di mezzo una questione enorme di credibilità: non si dà fiducia a chi non è in grado di trovare un accordo nemmeno con chi dice le sue stesse cose.
Propongo quindi di ripartire da alcuni fondamentali.
Il primo è il rapporto con il Pd.
Me la cavo rapidamente, dato che non esiste nè prima, nè dopo le elezioni, per le mille ragioni di programma e persino di valori che ci siamo detti mille volte.
Capisco il fastidio per l'ossessiva campagna di Repubblica, per i retroscena giornalistici, per lo stalking di Fassino, ma non vale la pena preoccuparci per cose che non esistono.
La sinistra si presenterà alle elezioni con una lista autonoma e alternativa.
Chiamatelo quarto polo, se vi piace il titolo.
Il secondo riguarda il programma.
Personalmente mi ritrovo in pieno in quello del Brancaccio: scuola e sanità pubbliche come fondamento di uguaglianza, abolizione del Jobs Act e della riforma Fornero, riduzione dell'orario di lavoro, reddito minimo garantito, disobbedienza ai trattati europei, abolizione del vincolo Costituzionale al pareggio di bilancio, riforma del sistema bancario, fine della stagione delle grandi opere e delle trivelle, conversione ecologica dell'economia.
D'altra parte tutto ciò è contenuto nelle battaglie parlamentari condotte in questi cinque anni di opposizione da Sinistra italiana e fa parte della nostra identità politica.
Ora il punto è che non siamo soli, ma in compagnia di altri che potrebbero avere idee leggermente diverse, ma ancor di più che non ci si può limitare ad un programma scritto da poche mani.
Il tentativo del documento uscito dopo il confronto con Mdp, Possibile e Montanari era esattamente quello di verificare se ci fossero le condizioni minime da cui partire, per poi affidare a un confronto ampio e democratico la definizione puntuale della proposta comune.
È possibile riprendere questa ispirazione, o ci dobbiamo rassegnare a dire potenzialmente le stesse cose con formule distinte?
Il terzo è la questione della rappresentanza.
Anche in questo caso non può esserci una soluzione diversa dalla democrazia, nella scelta dei criteri per le candidature e quindi delle persone a cui affidare il mandato parlamentare.
Credo tuttavia che dovremmo fare lo sforzo di trovare un metodo che porti tutte e tutti noi ad essere soddisfatti dei candidati proposti, e non tanto a mettere in campo una competizione feroce che sarebbe solo l'altra faccia della spartizione.
Non mi convince la distinzione fra vecchi e giovani, ma comprendo che alcune esperienze possano apparire più logorate di altre.
Capisco invece che ognuno è un programma vivente e che quindi non esistono persone per tutte le stagioni, soprattutto perché le stagioni che abbiamo alle spalle sono disgraziate.
Infine un appunto che sento di dover fare a Tomaso Montanari, che spero possa rifletterci.
La distinzione fra civici e partiti è totalmente fuorviante e ci porta molto lontano dai nostri comuni obiettivi.
Io infatti milito in un partito da quando ho 15 anni, ma sono piuttosto certo che in qualsiasi confronto politico nel campo della sinistra io e Tomaso staremo dalla stessa parte, D'Alema o Bersani dall'altra.
Io mi sono sentito di casa al Brancaccio, esattamente come mi ero sentito di casa nelle tante esperienze civiche e di sinistra che in questi anni hanno animato la politica locale.
Le compagne e i compagni di Mdp hanno invece un approccio e una storia diversi, che credo sia evidente a tutti.
In poche parole, una parte della sinistra ha idee radicali, un'altra moderate.
Non è una novità, d'altra parte, come non è nuova la discussione sulla possibilità che si possa collaborare sul piano politico ed elettorale.
Nuova, purtroppo, è al massimo la condizione di uguale debolezza di entrambe, che consiglierebbe di propendere questa volta per l'unità, qualora se ne vedano le condizioni minime possibili.
Non si tratta di fingere di essere uguali, nè di omologare le idee politiche di ciascuno, ma di mettere le proprie peculiarità al servizio di un programma condiviso.
Ci siamo messi su un binario che rischia di produrre due risultati negativi, ovvero la divisione della sinistra e insieme la separazione dell'area più radicale.
Questo accade dopo che quasi un anno fa la collaborazione attiva di tutte queste componenti aveva invece prodotto il risultato straordinario di salvare la Costituzione repubblicana, riscoprendone lo straordinario valore di programma per il futuro.
Veramente vogliamo che vada a finire così?