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Si vede già con chiarezza che l’opinione pubblica si divide sul “dopo” in due diversi orientamenti. C’è chi auspica una “ricostruzione” il più possibile rapida, per riavere una produzione ed un mercato “come prima più di prima” (crescita) e, dato che nessuno è così stupido dal credere che la pandeconomia riporterà indietro le lancette della storia, con grandi cambiamenti dettati solo dalle regole della competizione e dei mercati. Il loro punto di forza è il bisogno, generalmente avvertito, di un ritorno rapido alla “normalità”.

Gli altri sono quelli del “niente potrà più essere come prima” ed hanno in mente un “nuovo modello di sviluppo” finalmente rispettoso dell’ambiente, anzi che lo metta al primo posto, e contrappongono all’inevitabile supersfruttamento provocato dai primi (ripartire subito, prima del 4 maggio, anche sulla pelle dei lavoratori …!!!) la richiesta di una maggiore qualità del lavoro e di una migliore equità sociale che passi anche attraverso una robusta redistribuzione della ricchezza. Il loro punto di forza è quello di basare la spinta alla “ricostruzione” su un nuovo patto fra capitale e lavoro e su un’auspicabile alleanza fra classi sociali per il conseguimento del bene comune.

E nell’immediato? Il primo problema dell’emergenza affrontato dal governo è stato quello di evitare che le misure del lockdown provocassero sofferenze insopportabili e inaccettabili alle famiglie colpite dal blocco. Blocco dei licenziamenti (fino al 17 maggio), sospensione degli sfratti (fino al 30 giugno), rinvio dei pagamenti tributari (al 30 giugno), delle utenze e tributi locali (Tari, Tosap, Icp, bollette Acqua ecc), cassa integrazione estesa, bonus per i lavoratori autonomi (i 600 €). Contemporaneamente il governo ha cercato di scongiurare il tracollo delle imprese (a partire dalle piccole) a causa della drammatica crisi di liquidità, con piena (?) garanzia statale dei crediti a pronta attivazione da parte delle banche.
Questo nell’immediato. Ora è evidente che molte altre misure di sostegno sociale, alleggerimento fiscale, e sussidio

economico dovranno essere adottate a breve soprattutto nella fase della auspicata ripresa.
In questa seconda fase, lo ha già dichiarato il governo, diverrà centrale il ruolo dei Comuni. È una scelta. io credo giusta, perché il compito non è facile, ci si muove su di un terreno nuovo e diverso e le amministrazioni comunali non solo hanno già in mano i meccanismi dell’assistenza, e la conoscenza più puntuale delle condizioni economico-sociali e delle caratteristiche ed esigenze dei territori, ma sono più facilmente sotto il controllo diretto dei cittadini e rendono conto in modo immediato e trasparente agli organi elettivi. Tuttavia si tratta di un’impresa complessa perché la crisi innescata dalla pandemia ha creato e soprattutto determinerà scompiglio anche nella geografia dei bisogni e delle disuguaglianze, accentuandone molte ma anche creandone di nuove.
Non tutte le attività economiche sono state bloccate e gli effetti negativi non si determineranno inoltre per tutte in eguale misura.  Non tutte le rendite (anzi nell’immediato nessuna) sono state colpite. Alcune presto lo saranno a causa della crisi finanziaria, mentre altre, quelle immobiliari, apparentemente non legate alla crisi degli affittuari, presto soffriranno della loro insolvenza.

Ci sono famiglie che in questo periodo di isolamento hanno continuato a godere delle loro ordinarie fonti di reddito, magari assai parche, ma regolari, altre hanno subito una decurtazione del salario a causa della sospensione del lavoro, altre ancora hanno subito una drammatica interruzione di ogni flusso reddituale come i piccoli commercianti, i lavoratori in nero o gli immigrati non regolarizzati.
Una tale ridefinizione della topografia delle povertà e del bisogno, estremamente complessa perché le variabili e combinazioni individuali sono infinite, rende meno utilizzabili alcuni strumenti tradizionali come gli indicatori ISEE; peraltro le manovre finanziarie del Governo possono determinare una modifica dell’importo dei trasferimenti statali ai comuni.
Mentre si parla di un “reddito di emergenza” rispetto al quale non è chiaro quale potrà essere il ruolo dei Comuni da più parti si chiede anche un rinvio dell’IMU. Sarà bene tenere nel dovuto conto che i rinvii delle scadenze sono una cosa (che ha comunque un suo costo in termini di liquidità e disponibilità di risorse anche da parte dei Comuni) e le esenzioni fiscali un’altra perché comportano automaticamente un aumento ulteriore del debito pubblico già necessario per il finanziamento della ripresa economica.

C’è un aspetto che per ora non sembra essere posto in necessaria evidenza: l’esigenza di una condivisione a livello di opinione pubblica delle varie misure adottate. Tale condivisione può passare solo attraverso la costruzione di una rete di solidarietà sociale rispetto alla quale le pubbliche amministrazioni devono contribuire con norme chiare, eque e correttamente applicate, e la società civile e le sue rappresentanze sociali devono essere chiamate a partecipare.

Alessandro Messina
(20 aprile 2020)