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Nel panorama drammatico, e sostanzialmente deprimente, che ha fatto da sfondo  all’annus terribilis 2020, ogni notizia che non sia proprio pessima getta una luce di speranza, che rischiara le tenebre e che risolleva un po’ il concetto di fiducia. Nel campo dei fenomeni migratori, dell’accoglienza, dei processi d’integrazione, veniamo da anni di passi indietro, negligenze, insufficienze, scelte sbagliate, e spesso vere e proprie nefandezze. Per cui la notizia dell’approvazione in Senato, e speriamo imminente anche alla Camera, del disegno di legge che rivede i famigerati “decreti sicurezza” che portavano la firma di Salvini, non può che essere una buona notizia e in un certo senso fa tirare un sospiro di sollievo. Ma stiamo attenti a non rinunciare allo spirito critico e dormire sugli allori. 

Indubbiamente, si ampliano le possibilità per tante persone di ottenere permessi di soggiorno, soprattutto coloro che in passato godevano della cosiddetta protezione umanitaria, e inoltre la convertibilità dei permessi di altro tipo in permessi di lavoro si è allargata, e c’è maggiore protezione, con l’impossibilità di espellere i richiedenti asilo che nei paesi di origine subiscano persecuzioni “di genere”. Molte persone destinate, secondo il Salvini-pensiero, a un destino di irregolarità senza senso alcuno, probabilmente avranno qualche possibilità in più di essere fra “i salvati”. 

Doverosamente detto ciò, e davvero pensiamo che non sia poco, bisogna riflettere con attenzione alle insufficienze e agli aspetti negativi – e preoccupanti – della nuova disposizione. Sono tre i punti sui quali bisogna esercitare il dovere di critica e auspicabilmente di mobilitazione.  

La gestione delle frontiere rimane per ora pessima, non si affronta di petto – come invece si dovrebbe – la questione della riforma del Regolamento di Dublino, e sostanzialmente si verificherà una situazione in cui la preoccupazione principale  dei singoli paesi sarà quella di ridurre al minimo arrivi e  accoglimento delle domande  d’asilo. Fra l’altro, quelli che vengono definiti “luoghi idonei nelle disponibilità della Pubblica Amministrazione” verranno presumibilmente disposti solo sulle frontiere, senza portare quindi nessun sollievo alle popolazioni delle zone già oggi sotto pressione e con il rischio che si creino “campi”, che proprio nessuno vorrebbe, del tipo  di quelli esistenti nelle isole greche. 

La presenza di gruppi di soccorso, ONG o altri, che hanno salvato la vita a migliaia di persone, non viene riconosciuta e tanto meno auspicata. Certo, si è lontani un bel po’ da quella demenziale logica di criminalizzazione che portava a istituire di fatto il “reato di solidarietà”, ma rimane un atteggiamento di critica e di fastidio verso tali soggetti, tanto è vero che rimangono stabilite in una certa misura sanzioni e restrizioni per chi effettua vigilanza, ricerca  e soccorso in mare e in terra, anche se dovrà essere la magistratura a decidere caso per caso se applicarle e probabilmente in molti casi non si ravviseranno gli estremi per comminare multe o altre ingiunzioni. 

E poi il processo di costruzione di una vera accoglienza è tutto da (ri)costruire. La distruzione, da parte dei decreti Salvini, del sistema SPRAR, ha lasciato solo macerie e in un certo senso riportato all’anno zero non solo la nostra organizzazione dell’accoglienza, ma anche la nostra cultura giuridica in questo campo. E senza una mobilitazione vera, che sappia fare pressione nelle sedi giuste, non è detto che le Amministrazioni Locali muoiano dalla voglia di mettersi a studiare le soluzioni più avanzate, sostenibili ed umanamente adeguate. Anche perché il quadro politico non brilla certo né per stabilità né per convinzione solidaristica. Non solo l’attuale maggioranza parlamentare è complessivamente assai tiepida nell’affermare i principi che si dovrebbero affermare (e ricordiamoci che la “frana” nella filiera salvataggio-accoglienza-integrazione ebbe inizio tanto tempo addietro, e subì un’accelerazione particolare durante un governo di centrosinistra, con i decreti Minniti-Orlando), ma anche perché lo spettro di una maggioranza futura prossima di destra aleggia concretamente. Nel qual caso, non osiamo pensare (ma probabilmente lo immaginiamo bene) quali potrebbero essere le conseguenze.

Pippo Tadolini

Pippo Tadolini ha svolto per tutta la vita, e a Ravenna dal 1980, la professione di medico ospedaliero e territoriale. Ha militato nel PCI negli anni '70, poi nei Verdi, nel movimento pacifista e nel volontariato. Ha preso parte e coordinato per molti anni consecutivi missioni medico-chirurgiche in Guatemala con il gruppo "Amici di Rekko 7". E' consigliere territoriale della lista civica "Ravenna in Comune" nel forese sud, dove vive attualmente con la moglie Mirna e sette gatte.