C’è un forte sentore di gas, petrolio e polvere da sparo nell’imminente viaggio di Biden in Israele e Arabia saudita, due Paesi avviati, in maniera sotterranea, sul sentiero del Patto di Abramo anti-Iran, già stretto tra alcune monarchie arabe e lo Stato ebraico.

Lo stesso sentore (armi escluse) che si respira nella visita improvvisa a Roma e in Vaticano del ministro degli esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian. Un tentativo della diplomazia italiana di riprendere un minimo di iniziativa dopo l’inchino di Draghi al Sultano Erdogan.

Ma ora tocca a Biden fare il suo inchino.

In questo caso al principe assassino Mohammed bin Salman (Mbs): al di là della retorica sugli sbandierati valori occidentali, ogni giorno trangugiamo forti dosi di realpolitik e cinismo. La guerra in Ucraina e la crisi nei rifornimenti energetici dalla Russia mettono in moto una diplomazia contraddittoria che non ferma i conflitti, non abolisce (ancora) le sanzioni a Teheran ma si agita assai e per una semplice ragione: la sopravvivenza economica occidentale e quella politica dei suoi leader.

È proprio Biden a spiegare, in un articolo sul Washington Post, perché va a incontrare Mbs, mandante dell’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, che lui stesso aveva ostracizzato definendolo un «pariah».

«Abbiamo bisogno di Paesi come l’Arabia saudita per la sicurezza nazionale e per rispondere all’aggressione della Russia», scrive il presidente sul medesimo giornale dove pubblicava i suoi articoli Khashoggi, fatto a pezzi nel 2018 dentro al consolato saudita di Istanbul.

Tradotto: i cittadini americani ormai pagano la benzina oltre 5 dollari al gallone (3,8 litri) e si avviano nell’incertezza alle elezioni di midterm mentre si prevede negli Stati uniti – e ancora di più in Europa – un inverno in cui la rottura con la Russia crea mancanza di energia, inflazione e disoccupazione.

Sul mondo occidentale si sta addensando una tempesta perfetta mentre stati come Israele e Arabia saudita, pur condannando l’aggressione all’Ucraina, si sono ben guardati dall’imporre sanzioni a Mosca e nel caso di Riyadh non hanno messo in discussione né gli accordi militari con Putin né la partecipazione russa a’Opec+, lo storico cartello petrolifero che per ora frena significativi incrementi di produzione e contribuisce all’impennata delle quotazioni energetiche.

Il capo della Casa bianca punta a un consistente aumento della produzione petrolifera da parte dell’Arabia saudita e dei suoi alleati del Golfo nel tentativo di raffreddare prezzi e inflazione prima delle elezioni di medio termine per il rinnovo del Congresso, in cui il partito democratico rischia una severa batosta.

Il viaggio di Biden è talmente critico che verrà accompagnato da un gesto concreto e simbolico al tempo stesso.

Venerdì 15 luglio, dopo una visita a Gerusalemme est e nei Territori, Biden partirà dall’aeroporto Ben Gurion per atterrare direttamente in Arabia saudita: è il primo volo di un presidente Usa da Israele verso uno Stato arabo non riconosciuto dall’alleato mediorientale.

Atterrando a Gedda, Biden parteciperà al Consiglio di cooperazione del Golfo (allargato a Egitto, Iraq e Giordania). E qui ci sarà il faccia a faccia con l’anziano re Salman al quale parteciperà anche il tenebroso principe Mbs, indicato come il mandante dell’omicidio Khashoggi dalla stessa intelligence americana.

La retromarcia di Biden sul principe va inquadrata nell’orizzonte degli Accordi di Abramo che hanno contribuito a ridisegnare il Medio Oriente.

L’intesa firmata nel 2020 tra Israele, Emirati e Bahrein (cui si è poi aggiunto il Marocco) ha ricevuto il benestare di Riyadh che tuttavia finora non ha voluto farne parte, nonostante le forti pressioni dell’allora presidente Trump e le aspettative dello stesso Stato ebraico.

Nelle scorse settimane, in vista della missione di Biden, sulla stampa si è parlato di una «road map per la normalizzazione» delle relazioni tra Israele e Saud sulla quale gli Usa sono impegnati a lavorare. A partire dalla mediazione di Washington tra Arabia saudita, Israele ed Egitto per il trasferimento della sovranità dal Cairo a Riyadh su due isole strategiche nel Mar Rosso, Tritan e Sanifar, con il via libera dello Stato ebraico. E si lavora pure a un accordo che permetta a Israele di usare lo spazio aereo saudita per i voli verso India e Cina e voli diretti tra i due Paesi per i pellegrini musulmani.

Ma è niente rispetto al capitolo sui armamenti e accordi strategici. Alla fine di giugno il ministro della difesa Benny Gantz ha rivelato che Israele è impegnato, con il sostegno degli Usa, nella creazione di una «Middle East Air Defense Alliance» – già in parte operativa – per rafforzare la cooperazione con i Paesi arabi contro l’Iran.

Ecco perché il premier ad interim Yair Lapid e i monarchi arabi srotolano il tappeto rosso a Biden: si aspettano dagli Usa nuove armi, sistemi anti-missile, anti-drone e caccia. Da schierare contro l’Iran ma anche contro Hezbollah (Israele) e gli Houthi yemeniti (Arabia saudita), tutti alleati di Teheran considerata una minaccia per i suoi programmi nucleari e che Israele, il poliziotto regionale, tiene nel mirino facendo fuori scienziati e generali iraniani.

Il fatto singolare è che in Occidente riteniamo tutto questo legale, così come l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Senza mai applicare sanzioni allo Stato ebraico. Se bin Salman la fa franca per l’assassinio di Khashoggi, Israele la passerà liscia per l’uccisione a Jenin della giornalista di al Jazeera, Shireen Abu Akleh.

I palestinesi speravano in una chiara condanna di Washington mentre il dipartimento di Stato ha concluso che la reporter è stata uccisa dai soldati «ma non intenzionalmente»: una formula pilatesca e insoddisfacente. Si va avanti così, con un inchino al principe, uno al Sultano e un altro a Israele, sempre in nome dei «valori occidentali», naturalmente.