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Mattarella non aprirà al voto prima della legge di bilancio e della tempistica del Pnrr. Con l’esecutivo che c’è, con sufficienti voti, o con un rimpasto, o con un governo “di scopo”

draghi

Talvolta la politica si pone su un piano inclinato che rende difficile o impossibile frenare i processi in atto. Questo è quanto accade con l’uscita di M5S dall’aula al momento del voto sul decreto-legge “Aiuti”, dopo l’intimazione in nove punti di Conte a Draghi.
Era scritto, già quando si decise per Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi, che il governo avrebbe navigato in acque via via più agitate. Era anche chiaro che il punto di sofferenza poteva essere M5S. Nell’arco della legislatura, il non-partito ha disperso i consensi ottenuti nel 2018. Avrebbe potuto consolidarli se avesse avuto un vero gruppo dirigente, capace di costruire un vero progetto politico oltre le bandiere identitarie e la sommatoria di proteste. Non è accaduto. Nel documento Conte si delinea un Movimento sotto attacco. Ma il dissolversi del tesoretto elettorale non si può addebitare ad altri. E la scissione dimaiana ha solo messo in chiaro un processo comunque in atto.

Ora la battaglia navale è iniziata, con l’uscita dall’aula di M5S e Draghi al Colle. Diffide incrociate. Due cose sembrano ragionevolmente certe. La prima: Mattarella non aprirà al voto subito, per garantire l’approvazione della legge di bilancio e la tempistica di attuazione del Pnrr. Questo si può avere o con l’esecutivo che c’è a Palazzo Chigi con sufficienti voti, o con un rimpasto che adegui la composizione del governo ai comportamenti parlamentari delle forze politiche, o ancora con la formazione di un nuovo governo “di scopo” (rumors su un governo Franco). La specifica modalità forse rileva solo ai fini di un nuovo possibile governo Draghi dopo il voto.

La seconda ragionevole certezza è che nel clima in atto, superate le scadenze di bilancio e Pnrr, si imbocchi subito la via delle urne, bruciando i pochi mesi che sarebbero ancora disponibili. Fin da ora nessuna forza politica vorrà lasciare ad altri la possibilità di piantare bandiere su cui lucrare elettoralmente. In specie, si dice a sostegno dei nove punti che la comunità M5S “pretende” discontinuità. Nessuno concederà a M5S il vantaggio che questa si realizzi secondo i desideri del Movimento. Forse qualcosa, attraverso vie parallele come l’incontro con i sindacati. Certo non tutto. E dunque questa formula, se rigidamente sostenuta, si traduce nella anticipazione di una uscita dalla maggioranza di governo, subito o comunque in tempi brevi.

Dopo i nove punti tutti avanzeranno richieste, per non essere da meno. Ad esempio, la Lega ha già richiamato l’autonomia differenziata come obiettivo prioritario. Ma è probabile – e nel caso dell’autonomia anche auspicabile – che tutti rimangano fermi al palo. Niente jus soli, o jus scholae, o cannabis. E soprattutto nemmeno legge elettorale con passaggio al proporzionale.
Il favor del centrodestra per il Rosatellum era già noto. Il collegio uninominale maggioritario offre a un centrodestra unito la prospettiva di un sostanziale cappotto sul 36% dei seggi, e alla Lega in specie quella di riguadagnare qualche posizione nell’arco del Nord. Si aggiunge ora che con il proporzionale il Pd potrebbe più facilmente svincolarsi dal campo largo, e M5S riguadagnare identità e qualche percento di consensi. A parte il conto profitti e perdite delle forze politiche, rileva che il Rosatellum renderebbe ancor meno rappresentativo un parlamento già colpito dallo sciagurato taglio degli eletti.

Preoccupano allora i passi indietro sui possibili correttivi. Il 29 giugno, rispondendo a una interrogazione del deputato Magi sulla attuazione della piattaforma pubblica per la raccolta delle firme online per referendum e proposte di legge di iniziativa popolare, il ministro Colao afferma che l’online non si estende alla “autenticazione delle firme o alla raccolta dei certificati elettorali che sono disciplinate ancora in maniera analogica”. Cosa vuol dire? Cosa si fa online? A che serve una digitalizzazione parziale? Rimarrà possibile il ricorso alla piattaforma privata già utilizzata? O i referendum eutanasia e cannabis rimarranno uno storico e irripetibile esperimento di vasta partecipazione popolare?

Avremmo capito e apprezzato se M5S avesse incluso nella discontinuità richiesta la questione firme online. Ma a quanto sappiamo non c’è. Sul tema, il ministro Colao afferma di dare seguito a pareri dell’Autorità privacy e del Ministero della giustizia volti a tutelare i diritti dei cittadini. Sarebbe davvero un paradosso se si volessero garantire cancellandone uno.