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ELEZIONI. Adottare la tattica della destra, cioè coalizzarsi al di là delle differenze di programma e non solo, è l’unica via per avere almeno un’opposizione significativa

Senza unità tra rossoverdi e M5S sconfitta sicura Urne - LaPresse

La sinistra deve abbandonare il piccolo cabotaggio, hanno ragione Guendalina Anzolin e Loris Caruso che lo hanno scritto sul manifesto. Deve impegnarsi per l’uguaglianza, l’ambiente, la pace, i diritti elaborando strategie e proposte realizzabili. Deve affrontare un paradosso epocale: i subalterni, quelli che dovrebbe rappresentare, quando votano, perlopiù votano altrove. Deve insomma ricomporre un blocco sociale e costruire un’egemonia.

Per questo è necessario impegnarsi nelle periferie sociali, nei luoghi di lavoro compreso quello povero, frammentato e precario, costruire reti di partecipazione e percorsi di mobilitazione, contribuire a rendere possibile quel conflitto sociale strutturato che è la condizione necessaria dell’inclusione sociale e della stessa democrazia. Tutto questo, d’altra parte, richiede una forza politica organizzata, con una massa critica consistente. L’assenza di un partito di sinistra è l’altro paradosso epocale dell’Italia di oggi.

Si sono persi anni, almeno tutta questa legislatura, nonostante le promesse dei dirigenti prima delle elezioni del 2018, e ci ritroviamo di nuovo a votare, con un mese di tempo per presentare le liste. L’argomento di chi dice “facciamo come Mélenchon” – costruiamo una proposta autonoma e quando avrà forza sufficiente potrà trattare e allearsi – ha le sue ragioni ma non ha i tempi necessari nemmeno per essere formulata.

La vittoria della destra è quasi certa ed è noto che con questa pessima legge elettorale se le altre forze vanno in ordine sparso può conquistare quasi tutti i seggi uninominali. Più la parte proporzionale. Adottare la tattica della destra, cioè coalizzarsi al di là delle differenze di programma e non solo, è l’unica via per avere almeno un’opposizione significativa, una presenza parlamentare che è una delle condizioni necessarie anche per quella navigazione nel mare aperto della società di cui si parlava, e per cercare di costruire una proposta politica.

Conte, al di là della buone ragioni di contenuto, forse avrebbe potuto votare in extremis la fiducia, Letta avrebbe potuto pronunciare qualche se e qualche ma nel difendere Draghi. Ruggini e rancori sono anche comprensibili, ma non c’è alternativa ragionevole.

Se questo non avviene, se nel Pd vince la linea renziana e si profila una proposta centrista sulla cosiddetta agenda Draghi (una proposta minoritaria: in Italia non c’è Mélenchon ma non c’è neppure Macron; ci sono Di Maio, Gelmini e Brunetta) occorrerà un piano B. E l’interlocutore per quello che c’è di rosso e di verde in Italia – i partitini più o meno alleati, le liste civiche che in molti comuni e regioni hanno avuto risultati significativi, il mondo del sindacato e dell’associazionismo – non può che essere il Movimento 5 Stelle. Per i contenuti che ha espresso, dai temi sociali a quelli internazionali e, ancora di più, perché quelli che la sinistra dovrebbe rappresentare in qualche modo li ha rappresentati.