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Prepariamoci a una lunga marcia Uno spoglio elettorale - Ansa

Le reazioni indignate e preoccupate per la rozza scivolata di Berlusconi contro il capo dello Stato (“Se entrasse in vigore il presidenzialismo, Mattarella dovrebbe dimettersi”), dovrebbero aver fugato ogni dubbio residuo sui rischi autoritari – un vero e proprio scasso del sistema costituzionale- di una vittoria delle destre. (Anche se l’idea dell’uomo solo al comando ha attraversato una stagione traumatica del Pd).

Tuttavia questo allarme democratico, molto frequentato a parole, non ha cambiato di una virgola i comportamenti reali di chi avrebbe potuto provare a mettervi riparo. Tant’è che vedendo i programmi elettorali dipinti con la vernice rossa (vedi alla voce scuola con Letta che promette stipendi europei per tutti gli insegnanti), e leggendo tra i nomi dei candidati figure impegnate sul fronte della società (Elly Schlein, Ilaria Cucchi, Aboubakar Soumahoro), sembra di rivedere un’antica, eppure non gioiosa, macchina da guerra. E siamo solo all’inizio, probabilmente altre meraviglie ci attendono.

Certo, gli autori del libro dei sogni sono gli stessi che tutti i sondaggi danno per perdenti. Ai quali

la probabile sconfitta sembra solo un dettaglio, sopravanzato dalla promessa più incredibile che proprio gli artefici dell’annunciato disastro elettorale vanno propalando urbi et orbi: vinceremo, e il Pd sarà il primo partito. Dove l’accento cade sul partito piuttosto che sul Paese.

Naturalmente la realtà è ben diversa. Quando si costruisce una strada, in salita e piena di buche, poi arrivano le ditte in appalto per stendere un manto di asfalto, fermo restando che alle prime piogge autunnali riemergerà il dissesto di sempre. Più o meno è lo scenario della débacle che si paleserà il 26 settembre, quando si apriranno le urne elettorali e saremo spettatori della grande festa della destra. Una diretta conseguenza dell’indecoroso fallimento delle alleanze costruite dal Pd di Enrico Letta, con il consueto metodo tafazziano.

Tanti elettori di sinistra incerti e smarriti, allertati dal rischio di una vittoria a valanga della destra, anziché assistere alla composizione delle alleanze necessarie, hanno visto, nel volgere di pochi giorni, il naufragio dell’unico “campo largo” davvero in grado di tenere testa all’invincibile armata a tre punte di Meloni, Salvini e Berlusconi.

Un argine democratico affossato dal Pd grazie alla chiusura verso i 5Stelle, dettata dalle principali correnti del Nazareno, più che altro interessate a perpetuare il ceto politico delle zone Ztl. E ora rafforzato dalla candidatura dell’economista Cottarelli (sperando che non si dedichi ai tagli, ma ad una saggia lista della spesa con i soldi del Pnrr).

Un No quello verso i grillini, tanto pretestuoso da non poter essere spiegato e compreso dalla maggior parte degli elettori, come dimostra il fiume di reazioni nella rete dei social, e nel nostro piccolo, anche le moltissime lettere giunte al nostro giornale. Testimonianza di rabbia e disorientamento, per il comportamento e le scelte di una forza politica, come il Partito democratico, che non solo è il principale responsabile di una deriva, sociale e politica, centrista, ma ora anche di una pronosticata (stando agli istituti di ricerca) catastrofe elettorale.

Sia chiaro: non siamo Cassandre e nessuno qui si augura una pesante sconfitta per la sciocca soddisfazione del “l’avevamo detto”. E non solo speriamo che le previsioni elettorali siano sbagliate, ma ci batteremo ogni giorno per difendere i valori democratici che hanno fatto la storia del Paese. Tuttavia, abbiamo la netta sensazione di andare in battaglia con una mano legata dietro la schiena.

L’unica vera incognita, che nessun guru dei numeri può svelare, è il comportamento della marea astensionista che, al netto dello zoccolo duro del non voto, negli ultimi anni comprende un vasto elettorato di sinistra, politicamente orfano e parcheggiato, nel 2013 e nel 2018, nel consenso ai 5Stelle, e poi rifluito nel nell’astensione. D’altra parte il 72 per cento dei ceti medio-bassi e bassi non partecipa alle elezioni, mentre man mano che si sale nella scala sociale aumentano progressivamente le percentuali di votanti, a dimostrazione del fatto che l’astensionismo ha una netta connotazione economica e culturale.

Domando: perché questa parte del Paese dovrebbe improvvisamente trovare la spinta per votare il 25 settembre? E, nel caso, non è assai probabile che si diriga verso quel partito dei cosiddetti “scappati di casa”, che, con il reddito di cittadinanza, gli ha assicurato di non finire per strada?

Sfumata un’intesa credibile e competitiva, che verosimilmente avrà conseguenze e riverberi nelle leadership, bisogna comunque attrezzarsi, perché sarà una campagna elettorale breve, durissima, contro un nemico forte e unito, che se vincerà a mani basse, non farà prigionieri.

Il nostro impegno è far sì che la possibile sconfitta sia meno dolorosa e traumatica, superando quanto prima le incertezze e lo sperdimento evocati da Anna Foa in una intensa intervista a Repubblica. E preparandoci, in ogni caso, ad una nuova lunga marcia.